giovedì, aprile 22, 2010

PROCESSO MILLS - BERLUSCONI CORRUTTORE

Striscia Rossa dell'Unità di oggi (fonte bene informata sebbene di parte) riporta che Berlusconi stesso aveva giurato così: "Giuro da Presidente del Consiglio che vado a casa un minuto dopo ed esco dalla politica se dovesse venire fuori un documento di versamento, una dimostrazione di una donazione di 600 mila dollari a questo signor Mills." Silvio Berlusconi, 12 marzo 2006.
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Ora è provato con la sentenza no.15208 delle sezioni unite penali della Cassazione, la sede più alta della giustizia italiana e ancora prima dal Tribunale e dalla Corte D’appello che Mills fu effettivamente ‘corrotto’ dal Presidente del Consiglio Berlusconi per $ 600.000 affinché ‘tacesse’ (come poi fece) sulle transazioni illegali ed evasioni fiscali off-shore che permise al Cavaliere di mantenere le sue proprietà e gli ingenti profitti illecitamente conseguiti all’estero e la destinazione di una parte degli stessi ai suoi figli Marina e Piersilvio.

Minzolini prendi esempio da sky tg 24!!!!
markfer25 — 21 aprile 2010

La Cassazione non assolse Mills ma annullò la condanna di appello a 4 anni e 6 mesi solo per intervenuta ‘prescrizione’ perché si fece valere una data più antecedente la consumazione del reato. Insomma il reato di corruzione c’è stato ma è scaduto per legge la cui prescrizione era stata accorciata proprio dal governo di Berlusconi ovvero del corruttore medesimo!

Nel TG1 di Minzolini del 25 febbraio scorso era stata data la notizia di ‘assoluzione’ anziché ‘prescrizione’ distorcendo ad arte la verità come è tipico di un vassallo quale è lui ed è per questo che è stato messo alla guida del notiziario pubblico più diffuso d’Italia.

È proprio qui che avviene il corto circuito perché Berlusconi ‘controlla’ i media principali e più diffusi sia direttamente come proprietario di Mediaset che come governo sulla RAI. Inoltre come padrone di Publitalia ‘controlla’ molti altri e giornali attraverso la distribuzione della pubblicità.

In Italia è rimasto poco fuori dal suo controllo: il TG3, qualche testata di giornale e qualche TV locale con scarso seguito. Si può dire che siamo alla ‘quasi’ dittatura mediatica. In queste condizioni arriva l’informazione manipolata oppure non arriva affatto.

Ed è forse anche per questo che nessuno si ‘scandalizza’ di questa notizia. In altri paesi democratici avanzati avrebbe fatto scalpore e indotto il Capo del Governo alle dimissioni immediate. Qui invece non accade! Tutto resta come prima, come se non fosse mai accaduto.

Non esiste più nemmeno chi s’indigna per un Capo di Governo che corrompe per evadere il fisco e per arricchirsi illecitamente. Tutte cose che un Governo serio deve ‘impedire’ ai suoi cittadini.

Se c’è una cosa che ‘indigna’ veramente a questo punto è proprio la mancanza d’indignazione a cui il nostro Paese è tragicamente caduto. Si potrà un domani rialzare?
Raffaele B.


ILMESSAGGERO
Cassazione: «Mills favorì Berlusconi,
fu teste reticente sulle società offshore»

«Giusta la condanna inflitta in ottobre dai giudici di Milano»
Confermato risarcimento a Palazzo Chigi per danni immagine


ROMA (21 aprile) - «Il fulcro della reticenza di David Mills, in ciascuna delle sue deposizioni, si incentra nel fatto che egli aveva ricondotto solo genericamente a Fininvest, e non alla persona di Silvio Berlusconi, la proprietà delle società offshore, in tal modo favorendolo in quanto imputato in quei procedimenti». Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni, depositate oggi, con le quali lo scorso 25 febbraio ha dichiarato prescritto il reato di corruzione in atti giudiziari nei confronti dell'avvocato inglese David Mills, negandogli però l'assoluzione.

«Mills favorì Berlusconi». Inoltre le sezioni unite penali della Cassazione - nella sentenza 15208 - spiegano che Mills, con le sue deposizioni ai processi "Arces" e "All Iberian", aveva favorito Berlusconi tacendo la riconducibilità a lui delle società del cosiddetto comparto B del gruppo Fininvest. Questo in quanto «si era reso necessario distanziare la persona di Silvio Berlusconi da tali società, al fine di eludere il fisco e la normativa anticoncentrazione, consentendo anche, in tal modo, il mantenimento della proprietà di ingenti profitti illecitamente conseguiti all'estero e la destinazione di una parte degli stessi a Marina e Piersilvio Berlusconi».

«Razionale la sentenza della Corte d'appello». Per la Cassazione, quindi, la sentenza con la quale la Corte d'appello di Milano, lo scorso 27 ottobre, aveva confermato la condanna a quattro anni e sei mesi di reclusione nei confronti dell'avvocato inglese David Mills, accusato di corruzione in atti giudiziari per aver ricevuto 600mila dollari in cambio di testimonianze reticenti in due procedimenti sul gruppo Fininvest, ha una «struttura razionale» sorretta da un «apparato argomentativo logico e coerente, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo». Invece, i legali di Mills si sono limitati a «sollecitare la rilettura del quadro probatorio» senza dimostrare le «asserite carenze argomentative» e suggerendo una «diversa ricostruzione del fatto, non »proponibile« in sede di giudizio di legittimità.

«Giusto il risarcimento di 250mila euro a Palazzo Chigi». La Cassazione, spiegando perché ha confermato la condanna a carico di Mills a risarcire con 250mila euro Palazzo Chigi, afferma che l'avvocato inglese «con il suo comportamento configurante reato, ha cagionato alla pubblica amministrazione un danno di natura non patrimoniale» per la lesione «all'integrità della propria immagine» nei confronti della società e delle istituzioni.

L’ANTEFATTO
La Cassazione conferma: Mills fu corrotto per proteggere Berlusconi
22 aprile 2010
di Peter Gomez e Antonella Mascali
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E adesso "restituitemi l’onorabilità calpestata": questo scriveva Silvio Berlusconi in una lettera al Corriere , il 21 ottobre del 2001, ottenendo prontamente le scuse di Massimo D’Alema. Due giorni prima i giudici della sesta sezione della Cassazione lo avevano assolto "per insufficienza probatoria" nel processo per le mazzette versate dalla Fininvest alla Guardia di Finanza. E quel verdetto era così diventato la prova del complotto. L’attuale capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, aveva chiesto una "commissione parlamentare sull’uso politico della giustizia". L’avvocato Carlo Taormina, allora sottosegretario, aveva domandato "l’arresto dei pubblici ministeri". Mentre Maurizio Gasparri, oggi capogruppo degli azzurri al Senato, con la consueta moderazione si era limitato a parlare di una sentenza che era la dimostrazione della "persecuzione giudiziaria del premier su cui bisognerà fare piena luce".
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Oggi la luce è finalmente arrivata. Il complotto c’era, ma non era stato ordito dai magistrati di Milano. Il presidente del Consiglio quella celebre assoluzione, trasformata nel leit-motiv di tante interviste e di tante campagne elettorale, se l’era infatti conquistata a suon di mazzette. Perché davvero l’avvocato inglese David Mills, testimone chiave nel processo per le tangenti versate dal Biscione alle Fiamme Gialle, è stato corrotto con 600 mila dollari. E la sua deposizione reticente è stata decisiva per far ottenere a Berlusconi la patente di perseguitato.
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A dirlo sono le sezioni unite della Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza, depositate ieri, con cui il 25 febbraio hanno confermato la condanna di Mills al pagamento di 250 mila euro di risarcimento dei danni allo Stato e, per soli tre mesi, hanno considerato prescritto il reato da lui commesso. Nel documento si spiega come "il fulcro della reticenza di Mills...s’incentra in definitiva nel fatto che egli aveva ricondotto solo genericamente a Fininvest, e non alla persona di Silvio Berlusconi, la proprietà delle società off shore" da lui create. E come questa bugia abbia avuto delle conseguenze importanti. I giudici del dibattimento Guardia di Finanza, si legge a pagina 27 delle motivazioni, erano infatti stati costretti "a procedere in via induttiva, con la conseguenza che proprio la carenza di prova certa sul punto aveva determinato, nel processo Arces ed altri (mazzette Fininvest, ndr), l’assoluzione di Silvio Berlusconi in secondo grado e, definitivamente, in sede di giudizio di Cassazione".
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La faccenda diventa più chiara se si va rileggere che cosa accadde. Berlusconi, allora accusato di quattro diverse tangenti alle fiamme gialle, insieme al direttore centrale dei servizi fiscali Fininvest Salvatore Sciascia (poi condannato e oggi nominato parlamentare), esce con le ossa rotte dal primo grado. In appello però c’è il primo colpo di scena.
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Grazie alla concessione delle attenuanti generiche il Cavaliere ottiene la prescrizione per tre capi d’imputazione e viene assolto ai sensi dell’articolo 530 secondo comma (la vecchia insufficienza di prove), da un quarto. Quello che riguarda una bustarella versata da Sciascia a una pattuglia che stava indagando sulla reale proprietà di Telepiù, la prima pay tv italiana, fondata proprio da Berlusconi. Quei soldi infatti erano sì stati allungati nel 1994 perché gli investigatori chiudessero gli occhi. Ed era altrettanto certo che se l’indagine avesse dimostrato come Berlusconi, attraverso una complicata rete di società off shore e prestanome, controllava la maggioranza dell’emittente, per lui il rischio di essere sanzionato con la revoca delle concessioni di Canale 5, Italia 1, e Rete 4, sarebbe stato altissimo. Ma dopo aver ascoltato Mills ai giudici di appello era rimasto un’incertezza: la "fittizia" intestazione delle quote di Telepiù a Berlusconi per loro, non era dimostrata al 100 per cento.
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Nella pay tv erano infatti presenti pure altre soci e quindi, almeno in via d’ipotesi, anche loro e potevano avere l’interesse a un indagine poco approfondita. Nel dubbio era così scattata l’assoluzione che, a cascata, aveva portato la Cassazione a pronunciarsi allo stesso modo sulle altre tangenti.
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Oggi però la motivazione delle sezioni unite sul caso Mills rimette le cose a posto. E ricorda pure come il premier, solito ripetere "sono sempre stato assolto", in realtà si sia salvato grazie alla prescrizione dalla condanna per i 21 miliardi di lire versati estero su estero nel 1991 all’allora segretario del Psi, Bettino Craxi.
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In attesa della minacciata riforma della giustizia, un bello smacco per un leader politico che ancora lo scorso 9 dicembre, davanti all’assemblea del Ppe, spiegava così la sua fin qui fortunata parabola giudiziaria: "In Italia solo una parte dei giudici sta con la sinistra, mentre i giudici soprattutto del secondo e terzo livello sono giudici veri come negli altri Paesi". Oggi i "giudici veri" si sono pronunciati. Il leader del Pdl è uno che l’ha fatta franca. Pagando, s’intende.

giovedì, aprile 15, 2010

IL GOVERNO ITALIANO ED EMERGENCY

Ora anche l’ONU interviene chiedendo a Kabul garanzie. Gino Strada, il fondatore, torna ad attaccare il governo italiano chiedendosi che cosa abbia scritto nella lettera inviata a Karzai con una pungente ironia.

wwwc6tv — 11 aprile 2010
Arresto in Afghanistan. Gino Strada: 'Emergency colpita perché testimone scomodo
Milano. Dopo che tre connazionali impegnati nell'ospedale di Emergency a Lashkar Gah in Afghanistan sono stati arrestati dai servizi segreti afgani Gino Strada accusa il governo Karzai di avere voluto colpire Emergency in quanto testimone scomodo delle violazioni al diritto internazionale perpetrate dalle forze internazionali nella regione. Servizio di Fabio Butera.

Effettivamente non si capisce cosa impedisca al governo di richiederne il rilascio immediato. Gli americani e tutti i governi che collaborano con la Nato in Afghanistan l’hanno fatto e lo farebbero senza esitazioni. Il nostro ha esitato in modo ignobile. Ha perfino creduto che i nostri connazionali medici fossero davvero in combutta con i terroristi come se la storia di Emergency non fosse nota ormai da molti anni.

Questi medici rischiano la vita tutti i giorni per salvare vite umane, tutte le vite, e forse questa potrebbe essere la ragione di tanto accanimento. Infatti Emergency, a differenza di altre organizzazioni umanitarie, fa sentire la sua voce contro gli orrori e le ingiustizie della guerra, di tutte le guerre che si scaricano maggiormente sulla popolazione debole in particolare i bambini. Leggi la
lettera di Gino Strada in 'Curiamo tutti, non taceremo mai di fronte agli orrori della guerra'.

Il governo dopo i primi tentennamenti cerca di correre ai ripari chiedendo garanzie e difese legali in un paese in cui non c’è ancora alcuna legalità e che tutto si compie in base ai rapporti di forza esercitati in loco. Tutti sanno che li la legalità è una farsa. Se finora i nostri non sono stati uccisi è perché l’Italia è parte della coalizione Nato.

Ma non facciamoci alcuna illusione perché li
qualcuno vuole giocare forte. Quel qualcuno è sicuramente la Nato (tra cui anche l’Italia) che sta dietro a tutto questo, altro che afghani. Si vuole eliminare una voce critica contro la guerra e il modo in cui viene condotta in quel paese che falcidia la popolazione civile tra cui bambini. In parte ci sono già riusciti impadronendosi dell’ospedale senza i medici di Emergency.

Non è ancora dato conoscere cosa succederà ancora e il tentennamento del governo italiano è generato senza dubbio dal suo doppio ruolo in questa partita. Se la vicenda però gli dovesse sfuggire di mano potrebbero esserci gravissime conseguenze oltre che diplomatiche anche politiche. Per il momento ci auguriamo almeno la salvezza dei nostri concittadini anche se purtroppo l’ospedale è andato perduto così come i testimoni della guerra, secondo me a tutto danno della popolazione locale e della libera informazione.
MANIFESTAZIONE A ROMA SABATO 17 A PIAZZA S. GIOVANNI ALLE 14:30
Raffaele B.



RAINEWS24
Strada: fossero americani sarebbero già liberi
15/04/2010

Gino Strada torna ad attaccare il governo italiano. "Io non lo so che cosa c'e' scritto nella lettera, se 'rilasciate immediatamente i nostri connazionali' oppure 'buon compleanno'. Non ho proprio nessuna idea", ha detto ad Affariitaliani.it il fondatore di Emergency riferendosi alla lettera inviata da Silvio Berlusconi al presidente afghano, Hamid Karzai.

"Io sono soddisfatto -aggiunge- semplicemente se questi vengono liberati. Punto. Tutto il resto non mi interessa. Visto che si tratta di una montatura che cerca di screditare il lavoro di Emergency che invece e' riconosciuto da tutti. E' una montatura che tra l'altro scredita in modo vergognoso l'Italia".

"Fossero stati tre cittadini americani -prosegue- erano liberi in tre minuti. Fossero stati tre cittadini tedeschi, francesi, spagnoli o dei paesi scandinavi erano liberi in quattro minuti. Gli italiani invece si può lasciarli li' per giorni senza nemmeno vedere un avvocato. Il governo ha la responsabilità di proteggere i propri connazionali, non c'e' dubbio. O non l'ha fatto o non gli e' stato consentito di farlo dagli afghani ma questa e' una ragione in più per far la voce grossa. Se la sicurezza afghana avesse arrestato tre americani -conclude- un quarto d'ora dopo ci sarebbero stati cento marines che sarebbero entrati e li avrebbero liberati. Punto. Questione risolta in mezz'ora".

CORRIERE DELLA SERA
Emergency, Berlusconi scrive a Karzai
E Frattini chiede di accelerare le indagini
L'IDV ATTACCA: «DA LUI SILENZIO ASSORDANTE, IGNOBILI LE ACCUSE DEI MINISTRI ALL'ASSOCIAZIONE»
Anche il premier si mobilita per gli operatori arrestati. Uno degli operatori verso la liberazione

14-Apr-2010

ROMA - Una lettera del premier Silvio Berlusconi sarà recapitata al presidente dell'Afghanistan Hamid Karzai. L'inviato del ministro degli esteri Franco Frattini, Attilio Iannucci, in arrivo a Kabul, consegnerà - riferiscono fonti diplomatiche italiane - una missiva del presidente del Consiglio italiano, insieme ad un «messaggio personale» del ministro Frattini. Non sono stati resi noti i dettagli del messaggio.

«ACCELERARE LE INDAGINI» - Frattini, invece, ha chiesto al governo di Kabul di accelerare le indagini. E ha rivelato che uno dei tre operatori di Emergency «potrebbe essere liberato, se non ci sono altri elementi di prova». Il ministro lo ha detto nel corso del suo intervento a Montecitorio, dove si è recato a riferire al Parlamento sulla vicenda dei tre cooperanti italiani arrestati sabato a Lashkar Gah, nella provincia di Helmand. «Il presidente Berlusconi ed io - ha spiegato il ministro degli Esteri - abbiamo fatto presente alle autorità afghane che come paese amico l'Italia si aspetta il rispetto di tutti i diritti, compresa la presunzione di innocenza». Frattini ha ribadito che l'Italia si muoverà secondo due principi: «tutelare i nostri connazionali» e «aiutare il Paese cui siamo legati da amicizia verso la stabilizzazione». Frattini non ha poi risparmiato una critica a Gino Strada, fondatore di Emergency: per il ministro, alcune dichiarazioni fatte «fuori da questo parlamento», come quelle di «Gino Strada, in cui, in questi momenti, si accusano gli Usa, la Nato e l'Isaf», di certo «non aiutano l'azione diplomatica».

LE ACCUSE - Il responsabile della Farnesina ha ammesso però di non essere «soddisfatto della risposta che abbiamo ricevuto finora dalle autorità afgane. I tre connazionali, ha aggiunto, sono stati «accusati di detenzione consapevole di esplosivi e di armi da guerra» e di «essere coinvolti in un complotto in due fasi», che prevedeva l'esecuzione di un attentato contro civili e in una seconda fase un attentato suicida contro il governatore provinciale di Helmand, durante una visita organizzata nell'ospedale di Emergency. I tre non sono stati comunque «incriminati», ha precisato.

PAGANI VERSO IL RILASCIO - Più tardi il direttore dell'Aise, Adriano Santini, ha spiegato che l'operatore di Emergency che potrebbe presto tornare libero sarebbe Matteo Pagani. Secondo quanto si apprende, le accuse nei confronti del tecnico della logistica dell'ospedale di Lashkar Gah sarebbero più leggere rispetto a quelle che riguardano gli altri due medici, Marco Garatti e Matteo Dall'Aira.

«E' SUO DOVERE» - Secca la replica di Emergency alla notizia del messaggio di Berlusconi: «È il dovere del capo di un governo quando il capo di un governo alleato detiene, a quanto è dato di sapere, in modo illegale tre suoi cittadini» ha commentato il responsabile comunicazione di Emergency, Maso Notarianni. Per il portavoce, «dopo il tempo delle polemiche inutili è giusto che ci siano dei fatti che mirino ad ottenere risultati concreti per tre cittadini italiani».

LA MANIFESTAZIONE DI ROMA - Intanto sabato si svolgerà a Roma la manifestazione a sostegno di Emergency e per la liberazione dei tre operatori ancora trattenuti. Vi hanno già aderito la Cgil e numerosi deputati del Pd, oltre all'Italia dei Valori. Proprio i dipietristi avevano attaccato il governo: «Il silenzio di Berlusconi è assordante - ha detto il portavoce dei dipietristi, Leoluca Orlando -. Da quando i tre operatori italiani di Emergency sono stati ingiustamente rapiti e detenuti senza alcun capo d'imputazione, il presidente del Consiglio, impegnato a farsi bello davanti ai grandi, non ha detto una parola in favore dei tre italiani illegalmente detenuti. Le famiglie sono in ansia ma Berlusconi non se ne cura. Eppure sono volontari che si sono spesi per offrire cure e assistenze mediche alla popolazione afgana, lasciando casa e famiglia». In compenso, ha fatto notare Orlando, «ignobili sono stati gli attacchi ad Emergency da parte di ministri e capigruppo della maggioranza che, invece di attivarsi per chiedere la liberazione dei nostri connazionali, hanno addirittura ipotizzato un fiancheggiamento della ong con i terroristi».

ILMESSAGGERO
Un'infermiera di Emergency racconta la cronaca dell'arresto dei tre operatori
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ROMA (14 aprile) - «Siamo al buio, senza passaporti, non sappiamo dove sono trattenuti i nostri colleghi. La situazione è surreale». Così una delle infermiere dello staff italiano dell'ospedale di Emergency di Lashkar Gah, racconta telefonicamente a PeaceReporter, la situazione a Kabul.

Ricostruisce l'irruzione di sabato scorso precisando che i tre dello staff che sono stati fermati erano gli unici, tra lo staff italiano, presenti in quel momento nella struttura. «Sabato dopo pranzo l'amministratore del nostro ospedale ha fatto evacuare tutti noi internazionali dall'ospedale dicendo che c'era un allarme-bomba. Quindi siamo tornati tutti a casa. Dopo un po' l'amministratore ci ha detto che l'allarme era rientrato e che potevano tornare tutti al lavoro. Ma proprio in quel momento - spiega - ci ha chiamato l'infermiere afgano del pronto soccorso, dicendoci che dei militari erano entrati all'ospedale armi in pugno: Marco, Matteo e Matteo sono andati per vedere cosa stava succedendo, e noi cinque siamo rimasti a casa, in attesa di notizie».

«Noi stiamo bene, ma siamo molto preoccupati per i colleghi, di cui non sappiamo più nulla»,afferma la donna spiegando che «non li abbiamo più visti da sabato mattina e non sappiamo più niente di loro da quando l'ambasciatore ha potuto incontrarli, domenica». «Da allora buio assoluto. Tutta questa storia è una macchinazione vergognosa, e anche stupida».

Perquisizioni nelle nostre case. L'infermiera - che con gli altri 5 membri dello staff è riuscita a rientrare a Kabul martedì mattina - racconta che anche le loro case sono state perquisite: «hanno preso radio, computer e hard disc esterni e li hanno messi tutti in una delle camere, che poi hanno chiuso e sigillato, dicendoci di non aprirla: La mattina dopo sono arrivati tre agenti in borghese che si sono qualificati come agenti della Nds (National Directorate of Security) che hanno esaminato file per file tutti i nostri computer per tre ore, facendoci un sacco di domande sulle foto e su vari documenti e altre strane domande sul numero dei militari afgani deceduti mentre erano ricoverati nel nostro ospedale. Poi se ne sono andati portandosi via i computer dicendoci che erano sospetti ma che ce li avrebbero restituiti in giornata. Ci hanno intimato di non lasciare la città fino alla fine delle indagini. Solo lunedì sera abbiamo saputo che l'indomani saremmo potuti tornare a Kabul»

LA LETTERA DI GINO STRADA
Curiamo tutti, non taceremo mai di fronte agli orrori della guerra
15 Aprile 2010

Caro direttore, si introducono - direttamente o con la complicità di qualcuno che vi lavora - alcune armi in un ospedale, poi si dà il via all'operazione... Truppe afgane e inglesi circondano il Centro chirurgico di Emergency a Lashkargah, poi vi entrano mitragliatori in pugno e si recano dove sanno di trovare le armi. A quanto ci risulta, nessun altro luogo viene perquisito. Si va diritti in un magazzino, non c'è neppure bisogno di controllare le centinaia di scatole sugli scaffali, le due con dentro le armi sono già pronte - ma che sorpresa! - sul pavimento in mezzo al locale. Una telecamera e il gioco è fatto.

Si arrestano tre italiani - un chirurgo, un infermiere e un logista, gli unici internazionali presenti in quel momento in ospedale - e sei afgani e li si sbatte nelle celle dei Servizi di Sicurezza, le cui violazioni dei diritti umani sono già state ben documentate da Amnesty International e Human Rights Watch.

Anche le case di Emergency vengono circondate e perquisite. Alle cinque persone presenti - tra i quali altri quattro italiani - viene vietato di uscire dalle proprie abitazioni. L'ospedale viene militarmente occupato.

Le accuse: "Preparavano un complotto per assassinare il governatore, hanno perfino ricevuto mezzo milione di dollari per compiere l'attentato". A dirlo non è un magistrato né la polizia: è semplicemente il portavoce del governatore stesso.

Neanche un demente potrebbe credere a una simile accusa: e perché mai dovrebbero farlo? La maggior parte dei razzi e delle bombe a Lashkargah hanno come obiettivo il palazzo del governatore: chi sarebbe così cretino da pagare mezzo milione di dollari per un attentato visto che ogni giorno c'è chi cerca già di compierlo gratuitamente?

Questa montatura è destinata a crollare, nonostante la complicità di pochi mediocri - che vergogna per il nostro Paese! - che cercano di tenerla in piedi con insinuazioni e calunnie, con il tentativo di screditare Emergency, il suo lavoro e il suo personale.

Perché si aggredisce, perché si dichiara guerra a un ospedale? Emergency e il suo ospedale sono accusati di curare anche i talebani, il nemico. Ma non hanno per anni sbraitato, i politici di ogni colore, che l'Italia è in Afghanistan per una missione di pace? Si possono avere nemici in missione di pace?

In ogni caso l'accusa è vera. Anzi, noi tutti di Emergency rendiamo piena confessione. Una confessione vera, questa, non come la "confessione choc" del personale di Emergency che è finita nei titoli del giornalismo nostrano.

Noi curiamo anche i talebani. Certo, e nel farlo teniamo fede ai principi etici della professione medica, e rispettiamo i trattati e le convenzioni internazionali in materia di assistenza ai feriti. Li curiamo, innanzitutto, per la nostra coscienza morale di esseri umani che si rifiutano di uccidere o di lasciar morire altri esseri umani. Curiamo i talebani come abbiamo curato e curiamo i mujaheddin, i poliziotti e i soldati afgani, gli sciiti e i sunniti, i bianchi e i neri, i maschi e le femmine. Curiamo soprattutto i civili afgani, che sono la grande maggioranza delle vittime di quella guerra.Curiamo chi ha bisogno, e crediamo che chi ha bisogno abbia il diritto ad essere curato.

Crediamo che anche il più crudele dei terroristi abbia diritti umani - quelli che gli appartengono per il solo fatto di essere nato - e che questi diritti vadano rispettati. Essere curati è un diritto fondamentale, sancito nei più importanti documenti della cultura sociale, se si vuole della "Politica", dell'ultimo secolo. E noi di Emergency lo rispettiamo. Ci dichiariamo orgogliosamente "colpevoli".
Curiamo tutti. In Afghanistan lo abbiamo fatto milioni di volte. Nell'ospedale di Lashkargah lo abbiamo fatto sessantaseimila volte. Senza chiedere, di fronte a un ferito nel pronto soccorso, "Stai con Karzai o con il mullah Omar?". Tantomeno lo abbiamo chiesto ai tantissimi bambini che abbiamo visto in questi anni colpiti da mine e bombe, da razzi e pallottole. Nel 2009 il 41 percento dei feriti ricoverati nell'ospedale di Emergency a Lashkargah aveva meno di 14 anni. Bambini. Ne abbiamo raccontato le storie e mostrato i volti, le immagini vere della guerra, la sua verità.

"Emergency fa politica", è l'altra accusa che singolarmente ci rivolgono i politici. In realtà vorrebbero solo che noi stessimo zitti, che non facessimo vedere quei volti e quei corpi martoriati. "Curateli e basta, non fate politica". Chi lo sostiene ha una idea molto rozza della politica.

No, noi ci rifiutiamo di stare zitti e di nascondere quelle immagini. Da tempo la Nato sta compiendo quella che definisce "la più importante campagna militare da decenni": la prima vittima è stata l'informazione. Sono rarissimi i giornalisti che stanno informando i cittadini del mondo su che cosa succede nella regione di Helmand. I giornalisti veri sono scomodi, come l'ospedale di Emergency, che è stato a lungo l'unico "testimone" occidentale a poter vedere "gli orrori della guerra". Non staremo zitti.

Emergency ha una idea alta della politica, la pensa come il tentativo di trovare un modo di stare insieme, di essere comunità. Di trovare un modo per convivere, pur restando tutti diversi, evitando di ucciderci a vicenda. Emergency è dentro questo tentativo. Noi crediamo che l'uso della violenza generi di per sé altra violenza, crediamo che solo cervelli gravemente insufficienti possano amare, desiderare, inneggiare alla guerra. Non crediamo alla guerra come strumento, è orribile, e mostruosamente stupido il pensare che possa funzionare. Ricordiamo "la guerra per far finire tutte le guerre" del presidente americano Wilson? Era il 1916. E come si può pensare di far finire le guerre se si continua a farle? L'ultima guerra potrà essere, semmai, una già conclusa, non una ancora in corso.
La risposta di Emergency è semplice. Abbiamo imparato da Albert Einstein che la guerra non si può abbellire, renderla meno brutale: "La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire". Nella nostra idea di politica, e nella nostra coscienza di cittadini, non c'è spazio per la guerra. La abbiamo esclusa dal nostro orizzonte mentale. Ripudiamo la guerra e ne vorremmo la abolizione, come fu abolita la schiavitù.

Utopia? No, siamo convinti che la abolizione della guerra sia un progetto politico da realizzare, e con grande urgenza. Per questo non possiamo tacere di fronte alla guerra, a qualsiasi guerra. Di proporre quel progetto, siamo colpevoli.

Ecco, vi abbiamo fornito le risposte. E adesso? Un pistoiese definì il lavoro di Emergency "ramoscello d'ulivo in bocca e peperoncino nel culo". Adesso è ora che chi "di dovere" lavori in quel modo, e tiri fuori "i nostri ragazzi". Può farlo, bene e in fretta. Glielo ricorderemo sabato pomeriggio, dalle due e mezza, in piazza Navona a Roma.