domenica, febbraio 22, 2009

IL PD - DARIO FRANCESCHINI E SUO DISCORSO DI ROTTURA

Non si è andati alle primarie subito, la base, ad ampia maggioranza non ha voluto. Ha voluto invece eleggere Franceschini a segretario fino al congresso e le primarie di ottobre pv.

Sembrerebbe il “suicidio” che avevo paventato nel mio articolo precedente, ma a giudicare dal suo discorso di “rottura” anziché di “continuità” e dagli impegni nuovi cui s’incarica di portare a termine, si riaccende la speranza. Su questo ha già guadagnato gli strali dei Berluscones!

Come segnali forti, comincia dalla nostra Costituzione sulla quale “giurerà” come segretario del PD “marcando” simbolicamente la prima differenza con Berlusconi che invece vuole “distruggerla”.

Continua con la questione della “laicità” dello Stato che va “riaffermato” salvaguardando la libertà di scelta di tutte le persone. Chi più di un ex-dc cattolico può difendere la laicità dello Stato? Nessuno meglio di un cattolico democratico può accollarsi la responsabilità di difendere la laicità dello Stato anche se ciò può significare mettersi contro i Vescovi e il Vaticano, come la storia insegna.

Infine dichiara di “azzerare” tutti gli incarichi al centro e alla periferia (con le dimissioni di Veltroni sono tutti delegittimati) e non si farà influenzare da nessuno e che prenderà tutte le “decisioni” che lui riterrà servano al partito. Non consentirà più i “contrasti” sui media e sulla stampa ma all’interno del partito per “costruire” una posizione comune oppure a maggioranza e il partito tornerà a parlare con una “sola voce” a tutto il Paese.

Se farà tutto questo e/o sarà messo nella condizione di farlo (non lo è stato per Veltroni, ma le sue dimissione ora le permette), allora si aprirà una fase nuova e forse determinante per il PD e per il Paese nella quale "recuperare" da subito la sua funzione di “opposizione” efficace a Berlusconi ed in prospettiva a "riguadagnarsi" la fiducia di tutti quegli elettori che non vogliono consegnare l’Italia al Cavaliere e vogliono invece avviare una lunga stagione di vere riforme.
Raffaele B.

snaplinx
21 febbraio 2009
Dario Franceschini Nuovo segretario parla all'Assemblea Nazionale del PD 21/02/2009
(1 parte di 4)


Vi sono le altre 3 parti nei video correlati.

REPUBBLICA
Pd, l'Assemblea ha scelto l'orgoglio e la speranza
di EUGENIO SCALFARI
22 febbraio 2009

IL GIORNO dopo le sue dimissioni da segretario del Partito democratico tutti i giornali aprirono la prima pagina con il titolo: "Veltroni si dimette e chiede scusa". Titolo ineccepibile perché nel suo discorso di addio domandò scusa almeno tre volte, all'inizio, alla metà e ancora alla fine.

Chiese scusa e ringraziò. Prese su di sé tutta la responsabilità dell'insuccesso, anzi degli insuccessi. Aggiunse: "Non ce l'ho fatta". E questa è stata l'impressione ricevuta dai lettori, gran parte dei quali si limita a sfogliare leggendo i titoli e scorrendo velocemente i testi.

Ma chi ha letto o ascoltato quel discorso sa che c'era molto di più delle scuse e dei ringraziamenti. Non era affatto l'addio di chi ripiega la bandiera e se ne va. Era un discorso di rilancio del partito, che forniva ai successori la piattaforma politica e programmatica dalla quale ripartire. Quella già indicata al Lingotto dell'ottobre 2007, allora accolta da tutti, dentro e fuori del Pd come una forte discontinuità rispetto al passato ed una suggestiva apertura verso il futuro.

Veltroni ha spiegato dal suo punto di vista perché quell'inizio così promettente è poi andato declinando giorno dopo giorno. Lasciamo pure da parte la guerriglia che si è quasi subito scatenata contro di lui e sulla quale lui stesso ha avuto il buongusto di non insistere. C'è stato un suo errore caratteriale da lui stesso ammesso: la mediazione per tenere insieme a qualunque costo le varie anime del partito. Forse è meglio dire i vari pezzi del partito: laici e cattolici, socialisti e moderati, tolleranti e intransigenti, puri e duri e pragmatici.

Veltroni ha impiegato gran parte del suo tempo a cercare punti di sintesi che erano piuttosto cuciture fatte col filo grosso, con la conseguenza che quei vari pezzi e quelle varie ispirazioni e provenienze sono rimaste in piedi senza dar vita ad una cultura nuova e unitaria. Con un'aggravante: nel Sud le classi dirigenti locali, fatte alcune rare eccezioni, hanno un basso livello etico e politico, non sono gattopardi ma volpi e faine. In tutti i partiti e in tutti i clan. A destra, al centro e a sinistra. Con frequenti mutamenti di casacche secondo le convenienze del momento e del luogo.

Questo è stato l'errore di Veltroni, ammesso da lui stesso. Francamente non saprei trovarne un altro, ma questo è certamente di notevole rilievo. Il programma c'era ed è adeguato alle contingenze attuali. La linea politica c'era e anch'essa è tuttora adeguata. Le critiche politiche e programmatiche formulate da D'Alema nella sua importante intervista rilasciata l'altro giorno al nostro giornale ci sembrano prive di consistenza. Quella che è mancata è stata la leadership. Gli era stata data da tre milioni e mezzo di elettori alle primarie di quell'ottobre, ma lui non l'ha usata.

Le dimissioni sono giunte inaspettate ma hanno avuto un effetto dirompente: hanno coinvolto l'intero gruppo dirigente, quello che dentro e fuori dal Pd è stato battezzato l'oligarchia, cioè il governo di pochi. Dopo aver impiegato sedici mesi per tenerla unita, in un colpo solo le dimissioni del segretario l'hanno delegittimata e spazzata via tutta insieme. Fuori lui e fuori tutti. Il partito c'è ancora, la necessità di una forza politica riformista di sinistra esiste più che mai, ma il gruppo dirigente non c'è più, non ha più legittimazione.

Ci sono singoli individui apprezzabili per la loro onestà intellettuale, il loro coraggio, la loro biografia, utilizzabili in quanto individui. Come personale di governo, se e quando l'eventualità di un governo di centrosinistra si materializzasse. Ma non più come gruppo politico dirigente. Veltroni si è dimesso e ha dimissionato l'oligarchia. Non so se ne sia stato consapevole ma questo è ciò che è accaduto.
* * *
Ci hanno spiegato che il congresso su due piedi tecnicamente è impossibile, si farà ad ottobre come previsto. Ci hanno spiegato che anche le primarie immediate sono, se non impossibili, tecnicamente difficili, i candidati non avrebbero neppure il tempo di presentarsi ai loro elettori come avviene in tutte le primarie serie, specie per i candidati nuovi, cioè non provenienti dal vecchio gruppo dirigente.

Ma c'è soprattutto una ragione politica che ha sconsigliato le primarie immediate. Per almeno un mese il partito avrebbe dovuto ripiegarsi su se stesso e un altro mese sarebbe poi passato per insediare il nuovo segretario. Significa che fino a maggio il partito sarebbe di fatto stato senza una guida e quindi in piena anarchia.

Nel frattempo la vita politica e parlamentare proseguirà, sarà necessario decidere come fronteggiare la crisi economica che proprio tra marzo e maggio raggiungerà il suo culmine, quale sarà l'atteggiamento del Pd sui temi della sicurezza, della riforma della giustizia, del testamento biologico, del referendum; bisognerà designare migliaia di candidati alle elezioni amministrative e formare le liste per le elezioni europee, organizzare la campagna elettorale che culminerà nell'"election day" del 6 giugno.

Un lavoro immane, impossibile da svolgere con un partito privo di fatto di guida politica. Era pensabile una soluzione di questo genere? O si trattava di un "cupio dissolvi" verso il quale il cosiddetto popolo di sinistra poteva precipitare? Bertinotti ha ravvisato un parallelismo tra la crisi che ha già dissolto la sua sinistra e quella che si profilava nella sinistra riformista. La previsione è stata per fortuna scongiurata dai riformisti e la ragione ha prevalso su precarie emotività.

Così è avvenuto con il voto dell'assemblea che a larghissima maggioranza ha scelto la soluzione Franceschini per colmare il vuoto lasciato dalle dimissioni di Veltroni. È una scelta di continuità oppure di rottura rispetto alla fase conclusa l'altro ieri?
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Il nuovo segretario proviene dall'ala cattolica del Pd, è stato fin qui il numero due del partito condividendo con Veltroni la linea politica e la gestione. Tuttavia il suo discorso all'assemblea di ieri non è stato di continuità ma di rottura. Si è impegnato ad azzerare tutti gli incarichi al centro e alla periferia. Ha preso una posizione decisamente laica sul tema scottante del testamento biologico.

Per lui questa scelta non è inconsueta: fu il promotore e il primo firmatario del documento pubblicato un anno fa, sottoscritto dalla quasi unanimità dell'ala cattolica impegnata nel Pd, che rivendicava la piena autonomia delle scelte rispetto alla precettistica della gerarchia ecclesiastica. Una linea che cominciò da De Gasperi e proseguì fino ad Aldo Moro e poi a De Mita. Del resto nessuno meglio di un cattolico democratico può accollarsi la responsabilità di difendere la laicità dello Stato, la libertà dei cittadini e la loro eguaglianza di fronte alla legge anche se sostenendo questi principi ci si discosta dalle posizioni dei Vescovi e del Vaticano.

Vedremo in che modo il nuovo segretario adempirà agli impegni presi di fronte all'assemblea che lo ha eletto. Dovrà servirsi della sua oggettiva debolezza politica per farne una forza. Se ci riuscirà avrà come premio il merito di consegnare al futuro congresso un partito che ha superato una "tempesta perfetta" senza implodere nell'anarchia e nello sconforto. Questo è il suo compito ma per svolgerlo avrà bisogno del sostegno della base, soprattutto dei nuovi dirigenti che dovrebbero emergere durante questi mesi di procellosa navigazione.
* * *
Nel frattempo Casini è uscito dal fortilizio che ha difeso finora con tenace volontà e si è lanciato in una guerra di movimento. La situazione dal suo punto di vista gli è favorevole dopo il successo in Sardegna della sua lista apparentata con Berlusconi. Il Pd è in crisi e una parte dell'ala cattolica propugna da tempo un'alleanza con l'Udc non escludendo una possibile scissione.

Ma tra il dire e il fare ci sono tuttavia molti ostacoli. Il primo sta nel fatto che Casini non ha alcun interesse a stipulare un'alleanza nazionale col Pd, che è pur sempre un partito con un seguito molto più numeroso del suo. Alleanze locali laddove siano vincenti sì, ma un patto di unità d'azione nazionale certamente no.

L'obiettivo di Casini è di fare un grande partito centrista che assembli i moderati del Pd e i liberali del Pdl. Grande rispetto all'attuale Udc che ottiene il 10 per cento nei luoghi in cui si allea con Berlusconi ma ritorna al suo 5-6 quando va da sola. L'obiettivo di Casini dovrebbe portare il suo partito di centro verso un consenso a due cifre, oltre il 10 per cento, in una forchetta da lui auspicata tra il 12 e il 15. Il modello che ha in mente è quello di Kadima, il partito israeliano fondato da Sharon e ora guidato da Tzipi Livni, che ha frantumato il Labour ed ha ottenuto alle recentissime elezioni una discreta affermazione in un quadro che registra un massiccio spostamento verso la destra e l'estrema destra dell'opinione pubblica di quel paese, con alcune punte dichiaratamente razziste.

Il quadro politico italiano non è paragonabile a quello di Israele, tuttavia il riferimento a Kadima lo fanno esplicitamente Casini e Buttiglione. Qualche ragione ci sarà. Lo schema mentale di Casini è quello d'un partito di centro cattolico, moderato e liberale che alimenti il cosiddetto regime dei due forni e cioè tre partiti sulla scacchiera, uno a destra, l'altro a sinistra un terzo al centro e quest'ultimo come ago della bilancia che decida quando e con chi di volta in volta allearsi. Non a caso questo schema, quest'ipotesi di lavoro è sostenuta da gran parte dei "media" che danno voce a interessi forti la cui moneta è rappresentata dallo scambio dei favori e dalla reciproca protezione.

Nei mesi che ci stanno alle spalle abbiamo assistito ad una campagna di delegittimazione sistematica nei confronti di Veltroni e del Pd, rei di non piegarsi a sufficienza alla connivenza con il centro e con la destra. Veltroni ha commesso un errore e l'abbiamo già indicato, ma ha resistito a quella pressione che però ha infine raggiunto l'obiettivo che perseguiva ottenendo il suo ritiro. Non è tuttavia riuscita a far implodere il Partito democratico e personalmente mi auguro che non ci riuscirà.

La politica dei due forni d'altra parte è irrealizzabile per una decisiva ragione. Essa presuppone che i due forni, cioè i due piatti della bilancia, siano solidi e di forza equivalente. Quello di destra è in realtà fortissimo, almeno fino a quando il populismo di Berlusconi farà presa sulla maggioranza degli elettori. Quello di sinistra è fragile, alla ricerca di una identità nuova che superi le storie antiche e ormai inservibili. Senza una sinistra salda non esiste l'ago della bilancia perché non esiste la bilancia. Ci sarebbe soltanto un centro aggregabile alla destra o relegato al margine della scacchiera. La sinistra scomparirebbe in una palude di sabbie mobili lasciando senza rappresentanza politica una massa di ceti sociali privi di poteri di negoziazione e inchiodati ad un rapporto perverso tra padroni e servi. Con una regressione sempre più rapida della Chiesa verso un ruolo lobbistico colluso con un governo di atei devoti.

Con l'elezione del nuovo segretario del Pd comincia l'ultimo atto di un percorso accidentato ma forse più consapevole e più partecipato. È auspicabile per la democrazia italiana che da qui si riparta con nuova lena e intatte speranze.

venerdì, febbraio 20, 2009

IL PD E LA SVOLTA DEL DOPO VELTRONI

Dopo le dimissioni di Veltroni il partito si trova ora ad affrontare i suoi “nodi irrisolti”, pena la disintegrazione di sé e di tutti gli sforzi fatti finora per costruire un grande partito capace di conquistare la maggioranza e quindi il governo del Paese per cambiarlo sul serio.

Questo processo si è interrotto prematuramente per le troppe divisioni interne che erano state nascoste e sottovalutate. Nel caso Englaro la componente cattolica-integralista (Bianchi e Binetti) impone la sua linea e non quella del PD che è laica riconosciuta anche dai cattolici non integralisti. Nel caso della identità partito e suo rinnovamento, i gruppi dirigenti sono rimasti tutti più o meno arroccati sulle loro origini avendo evitato la fusione effettiva e questo impedisce di conseguenza il rinnovamento con nuovi dirigenti.

Il partito deve scrollarsi di dosso tutta la “zavorra” che gli impedisce di decollare e di rappresentare senza tentennamenti una reale alternativa a Berlusconi e alla sua politica di disintegrazione della Repubblica.

Il partito nuovo e pluralista che il PD deve essere, non vuol dire che ognuno può decidere in ordine sparso come votare in parlamento o in commissioni su leggi che poi si applicano a tutti. In questi casi il partito decide “laicamente” con il voto la scelta da fare.

La sostituzione di Ignazio Marino (chirurgo cattolico-laico) con Bianchi (cattolica-integralista) in commissione sanità ha rappresentato un colpo di mano che ha violato la sua scelta laica, un’ennesima incoerenza. È chiaro che la componente integralista non ci può stare in un partito pluralista proprio perché l’integralismo ne è l’antitesi.

La scelta per la candidatura di persone esenti da pendenze legali non è stata portata avanti fino in fondo (vi sono ancora molti con pendenze penali). Non sono stati allontanati tutti quei dirigenti che hanno “tradito” eticamente il partito: solo Villari lo è stato, non Latorre colto con le mani nel sacco. Perché?

Solo la massima apertura democratica con le primarie subito e la elezione di un nuovo segretario che rivoluzioni l’intero gruppo dirigente potrà salvare il PD dalla sua fine prematura che ci sarà certamente se invece prevarrà la linea di “prendere tempo” ed aspettare ottobre prossimo per fare il congresso come sembra essere l’orientamento dei gruppi dirigenti attuali. Leggi su Repubblica
Franceschini verso la reggenza.

A questo punto solo la “base” potrà fare questa rivoluzione. Vedremo se ciò accadrà.
Raffaele B.

Ignazio Marino la verità sulla legge del testamento biologico di Berlusconi Anno Zero
da
ItalianSpot
12 febbraio 2009


UNITA
Sul testamento biologico Pd diviso
di ro.ro.
19 febbraio 2009

E sul testamento biologico il Pd, o quello che ne rimane, si è spaccato nuovamente. In commissione Sanità del Senato il disegno di legge Calabrò, che dovrebbe diventare il nuovo testo base per la discussione in Aula, ha ricevuto 13 sì e 6 no e tre astenuti. Tra questi il capogruppo del Pd Dorina Bianchi, Daniele Bosone (Pd) e Claudio Gustavano (Pd). La senatrice cattolica Bianchi pochi giorni fa aveva preso il posto di Ignazio Marino proprio come capogruppo Pd in Commissione Sanità. Una sostituzione già programmata da tempo ma che comunque aveva sollevato più di un malumore all’interno del partito e tra gli iscritti del Pd.

La Bianchi ha motivato la scelta dell’astensione «anche per un atto di fiducia verso la disponibilità mostrata dalla maggioranza ad accogliere gli emendamenti dell'opposizione. Ci è sembrato di cogliere nelle parole di Raffaele Calabrò – ha riferito ancora la Bianchi - la volontà di valorizzare la posizione dell'opposizione su alcuni punti. Certo, poi si vedrà al momento degli emendamenti. Siamo all'inizio, e quello di oggi non è un sì al ddl Calabrò. Ci poniamo in una posizione di dialogo senza scontri ideologici».

Di diverso avviso il senatore Marino. «Il relatore del ddl sul testamento biologico, Raffaele Calabrò, ha detto no a tutti i punti da me indicati, su cui c’è disponibilità a lavorare da parte dell’opposizione – ha detto il chirurgo - . Se questo è l'atteggiamento, ne prendiamo atto e ci daremo da fare per portare avanti un'azione di contrasto parlamentare rigorosa con tutti gli strumenti a disposizione».

«Il discorso che ho pronunciato oggi – ha spiegato ancora Marino - è stato di grande apertura e disponibilità e sono rimasto molto sorpreso dal riscontrare una totale chiusura da parte del senatore Calabrò». Tra i vari punti di lavoro indicati da Marino vi è quello che riguarda il nodo della nutrizione ed idratazione, l'inserimento di articoli sui disabili e la terapia del dolore, e «il fatto che il peso della maggioranza rende di fatto reato la disattivazione di qualsiasi atto sanitario che consenta la morte del paziente. C'è stato detto di no su tutto - conclude - ma noi non molliamo e il capogruppo dovrà prendere una decisione».

Nel pomeriggio ci sarà una riunione dei membri del Pd della commissione Sanità per valutare gli emendamenti, il cui termine per presentarli scade lunedì 23. Martedì 24 alle 14 è previsto l'ufficio di presidenza e il 5 marzo il testo dovrebbe arrivare all'aula di Palazzo Madama.

giovedì, febbraio 19, 2009

GAFFE - ENNESIMA DEL CAVALIERE SUI DESAPARECIDOS

Il 13 febbraio scorso, durante la campagna elettorale in Sardegna, il Presidente del Consiglio Berlusconi nella foga del discorso pronunciato in un comizio ha fatto un’ennesima gaffe ai danni, questa volta, dei desaparecidos in Argentina, provocando un altro incidente diplomatico. Il Governo argentino se n’è accorto ed ha così convocato l’ambasciatore italiano.

La cosa più inquietante però non è la gaffe in sé ma il fatto che non è stata riportata in nessuna notizia né in radio né in televisione in Italia. La notizia è riportata solo nei giornali non controllati da Berlusconi. Non solo, ora che è diventata notizia per la reazione del Governo argentino, il Cavaliere e i suoi uomini si apprestano come al solito a “smentire” fornendo una “diversa interpretazione” su quanto detto.

Per fortuna esiste il video di Youtube “Berlusconi ironizza sui "voli della morte" sotto-riportato che lo riprende proprio in quel comizio mentre pronuncia quella frase che lo inchioda alle sue responsabilità. Egli non avrebbe dovuto fare quella battuta per “scherzare” sulle vittime fatte scomparire dalla dittatura fascista argentina nemmeno se fosse stato un semplice cittadino. Leggi il commento di R. Cotroneo sull’Unità
“Berlusconi, Videla e le battute sui desaparecidos”.

Ma si sa ora che alla maggioranza degli italiani non importa molto che Berlusconi faccia gaffe e si comporti come una persona rozza ed insensibile per cui può fare ciò che vuole come un “monarca assoluto” a patto che vengano pubblicizzate solo le sue “smentite” ed “accuse” ad altri di “storcere” le sue parole. Su questo Berlusconi non ha problemi: controlla i mezzi d’informazione radio e tv come sta dimostrando (manca internet ma non per molto forse…).

Per questa ragione siamo già alla “dittatura dell’informazione” premessa necessaria per “estorcere” nonostante tutto, i consensi di coloro, numerosi, che si alimentano dai suoi poderosi mezzi di comunicazione per arrivare infine alla sua incoronazione. La nostra Repubblica potrebbe avere i giorni contati se il Paese non dovesse reagire in qualche modo per salvare la sua democrazia gravemente in pericolo.

Mi domando fino a quando potremo continuare a raccontare i fatti e ad esprimere le nostre opinioni senza essere multati o condannati. Chiediamocelo!
Raffaele B.

Berlusconi ironizza sui "voli della morte"
Da
karmelo7777
18 febbraio 2009
Quinews.it e chi scrive, per la propria responsabilità morale di far parte della nazione Italia, chiede scusa a tutti agli argentini ed a tutti i soggetti coinvolti nella tragedia dei Desaparecidos e di quegli anni bui della dittatura. Il video che state vedendo è rilasciato con licenza Creative Commons Attribution 2.5 Italy Il video e' tratto dal sito di Radio Radicale.

TGCOM
Argentina convoca ambasciatore Roma
Per frasi Berlusconi su desaparecidos

18/2/2009

Il ministero degli Esteri argentino ha convocato l'ambasciatore italiano, Stefano Ronca. L'incontro era teso ad esprimere "la profonda preoccupazione" per le presunte frasi attribuite al premier, Silvio Berlusconi, sulla tragedia dei desaparecidos. Berlusconi avrebbe detto delle persone sequestrate dai militari: "Erano belle giornate, li facevano scendere dall'aereo...". Fonti del governo di Roma hanno precisato che si tratta di un grande equivoco.

Tutto ha avuto inizio sabato scorso, durante la campagna elettorale a Cagliari, quando il premier Silvio Berlusconi ha ''scherzato'' sulla vicenda dei desaparecidos in Argentina e sulla fine delle persone sequestrate dai militari. Lo riporta il quotidiano di Buenos Aires Clarin, in una corrispondenza da Roma che cita un servizio dei giorni scorsi del quotidiano l'Unità.

''Erano belle giornate, li facevano scendere dall'aereo...", avrebbe detto, secondo quanto scrive Clarin basandosi sul servizio dell'Unità, il premier. Il riferimento è ai famigerati voli della morte, tramite i quali i militari argentini gettavano nelle acque del Rio de la Plata i sequestrati ancora vivi e addormentati. L'articolo di Clarin, mezza pagina, definisce Berlusconi, "macabro con i desaparecidos", e precisa che ''non è chiara la ragione'' per la quale il premier avrebbe parlato cosi'' dei desaparecidos.

L'articolo del quotidiano è stato ripreso dall'agenzia locale Telam ed ha subito avuto ampia eco nelle tv e gli on-line a Buenos Aires, dove la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto, ha per esempio detto di ''sentirsi offesa'' dopo aver letto quanto riferito dal quotidiano. "Nei confronti degli argentini - ha ricordato - c'è sempre stata grande solidarietà, sia dai precedenti governi italiani sia da parte della giustizia''.

Palazzo Chigi: "Un attacco calunnioso"
'Un attacco calunnioso e assolutamente ingiustificato, che provoca indignazione''. E' questa la reazione di Palazzo Chigi alle ''polemiche gonfiate su un finto 'caso Argentina''', si legge in una nota diffusa dalla presidenza del Consiglio che fa riferimento ad un servizio del quotidiano 'Clarin' in merito ad alcune affermazioni del presidente del Consiglio sui desaparecidos. ''Le parole del Presidente del Consiglio sono state, infatti, completamente stravolte e addirittura rovesciate, quando era chiarissimo che egli stava sottolineando la brutalità dei 'voli della morte' messi in opera dalla dittatura argentina di quel tempo'', conclude la nota.

mercoledì, febbraio 18, 2009

GIUSTIZIA – QUANDO L’IMMUNITÀ È IMPUNITÀ

La sentenza del processo sul caso di corruzione è stata pronunciata con la condanna del corrotto avvocato inglese David Mills da parte del corruttore Silvio Berlusconi, attuale Presidente del Consiglio, immune dal provvedimento per la provvidenziale legge Alfano che non a caso è stata fatta proprio per proteggerlo da questa imminente sentenza.

Naturalmente il condannato ricorre in appello e sarà molto difficile che si potrà raggiungere la sentenza definitiva prima della prescrizione prevista per febbraio 2010, anche questa per via di un’altra legge provvidenziale ad hoc per cancellare questo reato.

Se la legge Alfano dovesse essere cancellata per incostituzionalità, per Berlusconi si dovrà addirittura ripetere l’intero processo con la ripetizione di tutte le procedure e richieste di nuove rogatorie e dulcis in fundo con nuovi giudici che dovranno ristudiarsi l’intero caso, grazie a nuove leggi ad hoc. Tutto questo allungherebbe tanto i tempi da raggiungere la nuova prescrizione prima della sentenza, cancellando il reato.

Tutto questo porterà certamente ad un nulla di fatto dal punto di vista giudiziario ma dal punto di vista politico l’impatto sarà di una gravità inaudita perché risulterà evidente che il “corruttore” è Berlusconi e che egli però sarà “graziato” o dalla sua “immunità” oppure dalla “prescrizione” volute dalle sue leggi ad personam. E qui il cerchio si chiude!
Raffaele B.

Mills condannato! Berlusconi salvato dal lodo Alfano
17 febbraio 2009
David Mills condannato a 4 anni e 6 mesi
l'avvocato Mills sarebbe stato corrotto da Silvio Berlusconi per dichiarare il falso
nei processi alla Guardia di Finanza e All Iberian

LASTAMPA
IL PROCESSO A MILANO
Mills condannato a 4 anni e sei mesi: "E' stato corrotto con 600mila dollari"
17/2/2009 (14:59)

MILANO - Dopo cinque ore di riunione in camera di consiglio il collegio presieduto da Nicoletta Gandus, il giudice che Silvio Berlusconi aveva cercato inutilmente di ricusare, legge la sentenza: David Mills è responsabile di corruzione in atti giudiziari e condannato a 4 anni e 6 mesi, e, ironia della sorte, dovrà risarcire la Presidenza del consiglio dei ministri, parte civile, con 250 mila euro. In più c’è l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, pressoché automatica in casi del genere.

I giudici danno ragione al pm Fabio De Pasquale che aveva chiesto una pena di 2 mesi superiore, 4 anni e 8 mesi, accogliendo in sostanza la sua tesi: Mills fu corrotto da Silvio Berlusconi «con almeno 600 mila dollari» in cambio di false testimonianze in due processi, tangenti alla GDF e All Iberian, dove era imputato il fondatore della Fininvest. Dall’ottobre scorso Berlusconi è stato il coimputato fantasma di questo processo dopo lo stralcio della sua posizione in attesa che la Corte Costituzionale decida sulla legittimità del lodo Alfano che consente di non procedere contro le quattro più alte cariche dello Stato.

E proprio a Berlusconi fa riferimento Federico Cecconi, difensore di Mills, quando commentando la sentenza dice: «La presenza dell’altro soggetto in qualità di coimputato ha impedito serenità ai giudici». Per Cecconi «non ci sono prove documentali, non ci sono riscontri, ricorreremo sicuramente in Appello. Restiamo convinti dell’innocenza dell’avvocato Mills». E la prescrizione? «In questo momento non è al centro dei miei pensieri» risponde Cecconi. Ma la prescrizione scatterà per Mills a febbraio dell’anno prossimo e sarà molto difficile che entro quella data ci sia la sentenza definitiva della Cassazione. Mills da Londra aggiunge : «Sono molto deluso ovviamente da questo verdetto, sono innocente ma questo è un caso dalla forte valenza politica. I giudici non hanno ancora dato la loro motivazione per la decisione, così non posso dire come abbiano gestito l’ammissione dello stesso pm di non avere prove. Spero nel ricorso in Appello».

Il processo a Berlusconi, nel caso in cui la Corte Costituzionale dovesse invalidare il lodo Alfano, riprenderà con altri giudici, perché Gandus, Caccialanza e Dorigo sono diventati incompatibili essendosi già espressi con la sentenza sugli stessi fatti. La Consulta comunque non ha ancora fissato la data in cui discutere del lodo e non lo farà secondo i boatos prima del prossimo autunno. Su Berlusconi, questo va ricordato, c’è un problema di utilizzabilità della prova, la confessione di Mills in procura a Milano nel 2004 (poi ritrattata). L’avvocato inglese non venne a ripeterla in aula e i legali del Cavaliere non prestarono il consenso. Va anche considerato che con ogni probabilità gli avvocati di Berlusconi non riterranno valida l’attività istruttoria svolta nel processo Mills per cui bisognerà rifare tutte le rogatorie internazionali.

Il processo Mills intanto dà origine a un’altra inchiesta incentrata sulla presunta falsa testimonianza di Benjamin Marrache. I giudici infatti hanno deciso di trasmettere all’ufficio del pm di Milano le dichiarazioni rese in aula dall’uomo d’affari di Gibilterra. Probabilmente si tratta del passaggio in cui Marrache affermava di non sapere nulla del conto dal quale erano partite 1 milione 125 mila sterline, una delle piste indicate dall’accusa per spiegare la provenienza dei 600 mila dollari con cui Berlusconi avrebbe «comprato» le testimonianze di Mills. La sentenza di oggi mette un primo punto fermo in una vicenda giudiziaria nata come costola dell’inchiesta sui diritti tv sfociato in un altro processo dove Berlusconi risponde di frode fiscale, anche questo sospeso causa lodo. Il premier poi è indagato per appropriazione indebita nel fascicolo stralcio su Mediatrade, controllata al 100 per cento da Mediaset. Mills invece è indagato per falsa testimonianza in relazione alla deposizione resa a Londra nel processo Sme nel 2003, ma quell’accusa va verso l’archiviazione.

sabato, febbraio 07, 2009

CASO ELUANA E SCONTRO ISTITUZIONALE

Dopo un lungo silenzio sul caso durato anni, Berlusconi ora va allo scontro con il Capo dello Stato con la pretesa della “difesa della vita” contro chi invece “difenderebbe la morte”.

Napolitano “respinge” il decreto del Governo perché avrebbe “bloccato” una sentenza della Cassazione, inconcepibile in uno Stato democratico, quindi manifestamente “incostituzionale”. La indipendenza dei poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario sono il fondamento dello Stato democratico ed una garanzia dei diritti di tutti i cittadini di ogni credo nel Paese.

Se tutti i “poteri” cadessero sotto il controllo diretto o indiretto di un solo uomo, per quanto votato dalla maggioranza, produrrebbe di fatto una “dittatura” come la storia insegna. Per questa ragione viene rivolto un invito all’
Appello di "Libertà e Giustizia":"La democrazia è in bilico: salviamola"

Berlusconi ha avuto modo di dimostrare di non sopportare un “potere” che lo limiti e lo controlli come appunto la “Magistratura” e il suo Presidente che è anche quello della Repubblica. Il Parlamento è già sotto il suo controllo con la decretazione d’urgenza!

La sua idea è un “potere” presidenziale “assoluto” e senza controllo una volta “eletto” dal popolo (influenzato dalle sue TV) . Quindi il caso Englaro si presta quale ghiotto pretesto per tentare di “cambiare” la Costituzione e per spodestare il Capo dello Stato sull’onda emotiva rappresentata dall’approssimarsi del suo epilogo ed al dramma della sua famiglia.

Un “uso politico” di questo dramma a cui il Cavaliere ha sempre poco importato, non essendo certo lui né il paladino della morale sul valore della vita né quello della sofferenza. Paradossalmente ora la chiesa di Ratzinger non si vergogna di appoggiarlo e di spingerlo per imporre a tutti i cittadini di ogni credo la “privazione” dei propri e quella dei propri cari, dei “diritti di scelta” se volere o meno i “trattamenti terapeutici” (compresi l’idratazione e alimentazione ‘artificiali’) in casi estremi di malattia terminale o di stati vegetativi senza alcuna speranza di recupero alla vita cosciente. In questo modo “altri” scelgono per loro, prolungando inutilmente l’agonia e sofferenze del malato senza speranza.

Su questo cinico ed orribile sodalizio a danno dei cittadini si potrebbero sostenere e consolidare due “poteri” tra loro: quello di Berlusconi a capo supremo della nazione e quello del Vaticano a capo di tutti i cittadini “cattolici” che eleggono il dittatore. Un dittatore alle dipendenze del Vaticano per l’appunto, con la restaurazione dello Stato Confessionale di storica e triste memoria.

Ma a giudicare dai vari sondaggi tra cui quello di
Ipr Marketing per Repubblica.it sembra che gli italiani di destra e di sinistra, anche cattolici, siano più avanti e maturi dei loro rappresentanti politici e che con molta probabilità questa volta lo “scontro” istituzionale possa “rivelarsi” perdente per Berlusconi ed anche per la Chiesa di Ratzinger, già in gravi difficoltà su altri importanti fronti internazionali.
Raffaele B.

Eluana. Berlusconi: "Senza decreto torno dal popolo"
RaiNews24 06 febbraio 2009

ILSOLE24ORE
Una frattura istituzionale che divide le coscienze
di Stefano Folli
07 febbraio 2009

Per molti decenni, nella lunga storia del dopoguerra, l'equilibrio tra laici e cattolici è stato garantito in Italia, sia pure con qualche eccezione, dalla prudenza e dal senso dello Stato della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati. Si sono evitate le guerre di religione, le fratture fra italiani e gli strappi istituzionali: anche con il concorso della Santa Sede, nel complesso rispettosa della laicità della Repubblica e consapevole che il bene più prezioso era l'unità morale del Paese. Un patrimonio comune che, si poteva immaginare, nessuno avrebbe voluto disperdere.

Purtroppo da ieri questo scenario è andato in frantumi. Non solo le istituzioni sono ferite, anche la convivenza civile subisce un serio "vulnus" e non è chiaro chi e come potrà ricomporlo. Di sicuro ora lo Stato di diritto, cioè il fondamento delle garanzie democratiche, è più debole. Il tema cruciale della vita e della morte, che esige soprattutto sensibilità, rispetto delle coscienze e comprensione del dolore privato, è finito nel tritacarne dello scontro politico. Ed è difficile capire quanto abbiano pesato in questa sconcertante vicenda le questioni di principio e quanto le strumentalizzazioni di parte, volte a fini diversi da quelli dichiarati.

Di sicuro si sta compiendo ai danni della povera Englaro e della sua famiglia l'ultima crudeltà. Intorno a quelle sfortunate persone era tempo che si facesse silenzio e invece è esploso un clamore tanto assurdo quanto inutile. Assurdo perché è davvero singolare che il Parlamento abbia deciso di legiferare adesso, nel giro di poche ore, quando la legge sul testamento biologico è rimasta a prendere polvere nei cassetti per anni, mentre tutti i richiami al buon senso restavano lettera morta. La responsabilità delle forze politiche, sotto questo profilo, resta molto grave e non convince affatto che si sia voluto rovesciarla sul Quirinale, per via della mancata firma a un decreto dell'ultim'ora.

Quanto all'inutilità di questo atroce spettacolo, è penoso doverlo scrivere. Ma è evidente che, se la clinica di Udine va avanti nella procedura prevista (e gli avvocati della famiglia Englaro lo hanno confermato), il Parlamento non arriverà in tempo, per quanto si affretti, a varare lo stralcio del testamento biologico e a impedire che sia interrotta l'alimentazione prima del triste epilogo.

Comunque sia, alla fine resteranno solo le macerie della convivenza civile e i danni della rottura istituzionale. Non era proprio di questo che aveva bisogno l'Italia nel momento in cui sta affrontando una delle più gravi congiunture economiche e quindi sociali che la storia recente ricordi. L'idea di dividere il Paese con la spada, di qui i difensori della vita e di là i fautori della morte, è quanto di più pericoloso si possa immaginare. E sta accadendo. Ma c'è di peggio.
Quasi sempre le battaglie sui principi nascondono obiettivi politici che ai più sfuggono. Sarebbe interessante capire a chi giova lo scontro istituzionale tra Governo e presidenza della Repubblica. Senza dubbio a nessuno, ma può darsi che qualcuno ritenga di trarne vantaggio. E su questo punto è bene essere chiari.

Che la tensione tra i due palazzi romani stesse crescendo ben oltre i limiti, era lampante. Tuttavia si poteva supporre che sarebbe esplosa su di un altro terreno, più strettamente politico-costituzionale: ad esempio, la riforma della giustizia. Invece è deflagrata in tempi e modi imprevedibili, su di un aspetto etico di drammatica profondità; come tale in grado di lacerare i rapporti e di incrinare il patto di fondo che regola la Repubblica più di quanto sarebbe accaduto in circostanze tradizionali.

Può darsi che tutto dipenda da una sequenza di errori, in una spirale imprevedibile. Da un lato i ritardi del Governo, l'iniziale sottovalutazione del caso e poi il desiderio di venire incontro alle gerarchie ecclesiastiche e alle organizzazioni cattoliche. Dall'altro quella lettera scritta da Napolitano e recapitata prima del Consiglio dei ministri, che rendeva pubblica e ufficiale la contrarietà del Quirinale al decreto, con ciò mettendo in imbarazzo Berlusconi. O magari gli ha offerto l'arma per sferrare l'offensiva.

Ma non si sfugge alla sensazione che il caso Englaro abbia fatto emergere una crisi istituzionale comunque matura. Il presidente del Consiglio non ha mai nascosto la sua insofferenza per i vincoli e i limiti del suo mandato. Quella sorta di diarchia al vertice dello Stato, che la Costituzione in qualche misura impone, è sempre apparsa inaccettabile agli occhi di Berlusconi. E nessuno dimentica i conflitti con Scalfaro e le tensioni con Ciampi, lungo l'arco di un quindicennio. Così come nessuno ignora che il premier è determinato in cuor suo a sanare la contraddizione andando a occupare egli stesso la poltrona di Capo dello Stato in un futuro indistinto, ma forse nei suoi piani meno remoto di quanto non dica il calendario della legislatura.

Il presidenzialismo è nel carattere e nella natura di Berlusconi. Viceversa non lo è affatto il ritmo lento di un'azione di governo faticosa e quotidiana, costretta sul sentiero degli equilibri istituzionali. Anche per questo da ieri l'Italia è entrata in una crisi senza precedenti, da cui non sarà facile uscire. Il ruolo supremo di garanzia al di sopra delle parti, che è l'essenza della presidenza della Repubblica secondo l'attuale Costituzione, è stato scalfito e forse compromesso. A sostegno di Giorgio Napolitano c'è l'opposizione di centrosinistra, i radicali, l'estrema sinistra: nonché, ed è molto significativo, il presidente della Camera Fini. Dietro al presidente del Consiglio c'è la maggioranza, l'Udc di Casini, il Vaticano . Schieramenti inediti per una brutta storia dai contorni opachi, di cui non si conosce l'esito.

REPUBBLICA
Caso Englaro, un Paese oltre la politica
La maggioranza è con Napolitano

7 febbraio 2009
Il sondaggio di Ipr Marketing per Repubblica.it mostra che la gente ha idee molto chiare sulla vicenda e condivide la scelta della famiglia.
Sul conflitto Quirinale-Governo, la percentuale favorevole a Berlusconi è del 30%


ROMA - Lasciare andare Eluana Englaro, farla finita con l'uso politico della sua vicenda e piena ragione al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel conflitto istituzionale con il governo Berlusconi.

Sono i risultati del sondaggio in tempo reale di Ipr Marketing per Repubblica. it, condotto ieri sera con il sistema del "Panel telematico tempo reale" interrogando mille persone disaggregate per sesso, età ed area di residenza.

Ne esce un Paese con le idee piuttosto chiare su questa vicenda. Un Paese come sempre più avanti della politica e, in questo caso, anche delle posizioni espresse dalle gerarchie vaticane. I risultati, tra l'altro, non mostrano grandi differenze anche se si guarda alle preferenze politiche degli intervistati. Una trasversalità, dunque, che sembra corrispondere a un'opinione tanto salda quanto diffusa.

Alimentazione e idratazione. Le prime due domande riguardano esplicitamente il caso di Eluana. Il 61% è favorevole a interrompere alimentazione e idratazione della ragazza in coma da 17 anni; solo il 26% esprime contrarietà, il 13% non ha un'opinione in merito a testimonianza che anche il dubbio ha un suo spazio in questa drammatica vicenda. Dal punto di vista politico, non c'è praticamente differenza: gli elettori di centrodestra e quelli di centrosinistra sono favorevoli all'interruzione in percentuali pressoché identiche (62% e 63%). Risultati identici per quanto riguarda il concetto di "terapia medica" riferibile o meno all'alimentazione e all'idratazione di una persona nelle condizioni di Eluana. Per il 61%, in questo caso, si tratta di terapie mediche che, quindi, possono essere sospese. Il 27% la pensa diversamente e il 12% non ha opinione.

Testamento biologico. Sul testamento biologico, inteso come la possibilità di una persona di indicare in vita i limiti delle cure che s'intende ricevere in casi estremi, la maggioranza è addirittura schiacciante: l'84 per cento è a favore di un provvedimento in materia, appena il 7% è contrario e il 9% non ha opinione.

La politica e il conflitto Quirinale-Palazzo Chigi. La maggioranza degli intervistati condivide la scelta del capo dello Stato di non firmare il decreto e ritiene "non opportuna" la decisione di Berlusconi di intervenire con un decreto d'urgenza. Più in generale, il 50% del campione ritiene addirittura che sulla questione non si doveva intervenire per legge e che, semmai (27%) l'intervento spettava al Parlamento. Solo il 15% ritiene legittimo l'intervento d'urgenza dell'esecutivo. L'8% non ha opinione.

Più nel merito, il decreto d'urgenza di Berlusconi viene ritenuto "non opportuno" dal 56% del campione e "opportuno" dal 32%, mentre il 12% non ha opinione.

A una domanda esplicita sul conflitto istituzionale, il 55% condivide la scelta di Napolitano di non controfirmare il decreto e il 29% non la condivide. Il 16% non sceglie.

In entrambe queste domande, la trasversalità notata precedentemente, scende con l'elettorato di centrodestra che si divide praticamente a metà tra Colle e Palazzo Chigi. Quello di centrosinistra, ovviamente, è quasi tutto dalla parte di Napolitano.

mercoledì, febbraio 04, 2009

SHOAH - PAPA RATZINGER E IL NEGAZIONISMO

Oltre ad Israele che minaccia la rottura dei rapporti con il Vaticano, perfino il primo ministro Angela Merkel dello stesso paese del Papa, cioè la Germania, ha sentito la necessità di chiedere ulteriori chiarimenti a Benedetto XVI per avere riammesso nella chiesa i lefebvriani tra cui il negazionista Richard Williamson (vedere i filmati) oggi sotto inchiesta a Ratisbona, città bavarese perché negare la Shoah in Germania è un reato.

In sostanza la Merkel rimprovera al pontefice mentre afferma più volte che chi "nega la Shoah nega la croce" una stridente ambiguità nel riammettere proprio i negazionisti lefebvriani al suo interno. In pratica il papa afferma a "parole" ciò che smentisce con la sua "azione" di riammissione. Di solito di fronte ad ambiguità quello che conta di più sono le azioni e non le parole. Da qui la richiesta di ulteriori chiarimenti perchè a questo punto, dice la Merkel non si è più sicuri che la chiesa cattolica non sia negazionista.

A questo punto è ovvio che questa ambiguità non potrà essere risolta con altre "parole" che hanno comunque sempre un valore inferiore delle "azioni", ma da altrettante "azioni" in grado di annullare l'ambiguità. Se Benedetto XVI e la chiesa cattolica non imboccano questa strada, la rottura definitiva dei rapporti con i fratelli maggiori ebrei sarà inevitabile e con essa tutto lo sforzo fatto da Giovanni Paolo II per la riconciliazione con gli ebrei andrà perduto irrimediabilmente.
É questo ciò che vuole la nuova chiesa di Papa Ratzinger?
Raffaele B.


(Filmati)
Richard Williamson: Camere a gas? Mai esistite
Si nega l'esistenza delle camere a gas, e l'uccisione di 6 milioni di ebrei. I revisionisti parlano di 200.000 morti nei campi di concentramento.
27 gennaio 2009



Il Vaticano e la Shoah: a chi bisogna credere?
Moni Ovadia parla del caso della riabilitazione dei Lefebvriani, e delle posizioni contrastanti all'interno del mondo cattolico rispetto alla Shoah. http://www.youblob.org
27 gennaio 2009


ILSOLE24ORE
Merkel: più chiarezza sull'Olocausto
Mercoledí 04 Febbraio 2009

FRANCOFORTE - Raramente il tono di un alto dirigente politico europeo è stato così netto e così secco nei confronti di un Papa, almeno nel recente passato. Ieri il Cancelliere Angela Merkel ha rimproverato con insolita durezza Benedetto XVI, un suo compatriota, criticato per non chiarire con sufficiente fermezza che la Chiesa cattolica non è negazionista.

«È necessario che da parte del Papa e del Vaticano sia detto chiaramente che non può esserci negazione dell'Olocausto», ha avvertito la signora Merkel durante una conferenza stampa con il presidente kazako Nursultan Nazarbayev in visita a Berlino, sottolineando che dal suo punto di vista questo chiarimento è ancora "insufficiente".

La reazione è giunta dopo la decisione di Benedetto XVI di revocare la scomunica a quattro vescovi lefebvriani, tra cui Richard Williamson che ha negato l'esistenza delle camere a gas. Nel respingere le critiche subito fioccate, il Papa ha biasimato il prelato attraverso un portavoce – «Chi nega la Shoah non sa nulla né del mistero di Dio né della Croce di Cristo» – ma ha confermato la sua scelta.

«Se l'atteggiamento del Vaticano - ha continuato ieri il Cancelliere - può dare l'impressione che l'Olocausto può essere negato, allora siamo di fronte a questioni fondamentali». Nel contempo, la signora Merkel ha ricordato che «in linea generale» preferisce non commentare le decisioni della Chiesa cattolica romana. In un messaggio email, ieri sera il Vaticano ha risposto che la recente condanna dell'Olocausto da parte di Benedetto XVI non poteva essere «più chiara». La reazione della signora Merkel, figlia di un pastore protestante, è solo l'ultima di una serie.

Nel corso degli ultimi giorni, molte personalità cattoliche tedesche hanno criticato Benedetto XVI più o meno indirettamente. Gebhard Fürst, vescovo di Stoccarda, ha spiegato che la scelta di Benedetto XVI «ha allontanato molti credenti dalla Chiesa, provocato una perdita di fiducia nelle istituzioni cattoliche e peggiorato fortemente il dialogo tra ebrei e cristiani». In un commento intitolato Die Papastrophe, un gioco di parole tra Papa e catastrofe, il Financial Times Deutschland sottolineava ieri che Benedetto XVI può anche essere «un grande teologo», ma è «un pessimo politico».

Dietro alle prese di posizione dell'establishment tedesco si nasconde chiaramente il nervo scoperto dell'Olocausto. Negare la Shoah è in Germania un reato, tanto che lo stesso Williamson è oggi sotto inchiesta a Ratisbona, città bavarese in cui Benedetto XVI ha insegnato per molti anni.

LASTAMPA
IL CASO DEI LEFEBVRIANI
Israele minaccia rottura col Vaticano
1/2/2009 (7:40) di GIACOMO GALEAZZI
Il ministro Cohen: "E' una corporazione in cui stanno negazionisti e antisemiti"

CITTA’ DEL VATICANO
Dopo le relazioni messe in discussione dal Gran Rabbinato di Gerusalemme, la minaccia di rompere i rapporti con il Vaticano arriva anche dal governo israeliano. A tre mesi dalla programmata visita papale in Terra Santa, la riammissione del vescovo negazionista lefebvriano Richard Williamson attira sulla Chiesa ulteriori proteste dallo Stato ebraico. Ieri il ministro israeliano per gli Affari religiosi Yitzhak Cohen ha alzato la posta e ha chiesto all’esecutivo uscente (l’11 febbraio si vota) di porre fine alle relazioni diplomatiche con la Santa Sede. In un’intervista al settimanale tedesco «Der Spiegel», Cohen ha annunciato di aver sollecitato il suo governo «a rompere completamente i rapporti con una corporazione in cui sono presenti membri negazionisti dell’Olocausto e antisemiti».

L’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede Mordechai Lewy si chiama fuori dalla mischia: «Non posso pronunciarmi su frasi di un ministro israeliano, comunque io dipendo dal dicastero degli Esteri». Intanto, con un’altra decisione che ha suscitato polemiche in Austria, Benedetto XVI ha nominato vescovo ausiliare di Linz un prelato ultraconservatore, Gerhard Wagner, passato alle cronache per aver tacciato di «satanismo» i libri di Harry Potter e affermato che l’uragano Katrina è stato una punizione divina per l’immoralità di New Orleans. Ma a preoccupare la Santa Sede è soprattutto la pioggia di reazioni negative dal mondo ebraico per le tesi negazioniste di Williamson e le dichiarazioni di identico tenore di numerosi esponenti della comunità lefebvriana. Il vicepresidente della comunità ebraica tedesca, Salomon Korn, definisce la grazia accordata da Benedetto XVI «un ritorno agli oscuri secoli passati». Korn bolla come «imperdonabile» l’atto del Pontefice perché così «mette in discussione la riconciliazione con gli ebrei, portata avanti dal suo predecessore Karol Wojtyla».

Attacca Ratzinger anche Israel Meir Lau, ex rabbino capo di Israele e sopravvissuto al lager di Buchenwald: «Come può un negazionista ottenere la protezione e la riabilitazione dal capo della Chiesa cattolica?». Non meno dure le rimostranze all’interno della Chiesa. E’ molto pesante la critica al Papa anche da parte del presidente del Bundestag, il cristiano-democratico Norbert Lammert. Il leader del Parlamento tedesco imputa a Benedetto XVI di «mettere a rischio il dialogo con le organizzazioni ebraiche, qualificato espressamente come irrinunciabile dalla Santa Sede». Mentre anche l’ex segretario della Cdu, Heiner Geissler, denuncia la visione conservatrice di Benedetto XVI: «Si ha l’impressione che preferisca un vescovo cattolico antisemita e di estrema destra a un vescovo protestante donna». E il presidente della Conferenza episcopale tedesca, Robert Zollitsch, protesta che «nella Chiesa cattolica non c’è posto né per l’antisemitismo né per la negazione dell’Olocausto». 200 sacerdoti e teologi hanno espresso in una lettera alla Conferenza episcopale svizzera (dove hanno base i lefebvriani) la loro preoccupazione per la «svolta fortemente regressiva del pontificato».