giovedì, aprile 26, 2007

L’ACQUA – LA MADRE DI TUTTE L’EMERGENZE

È INNEGABILE CHE A CAUSA DEL CAMBIAMENTO DEL CLIMA E CON LA SUA ESTREMIZZAZIONE L’ACQUA COMINCI A SCARSEGGIARE LADDOVE VI ERA IN ABBONDANZA E VICEVERSA.

CON LA PROSPETTIVA DEL GRAN CALDO IN ARRIVO MENTRE TUTTI I FIUMI E LAGHI SI SONO ABBASSATI DI LIVELLO INSIEME ALLO SCIOGLIMENTO DELLA NEVE SUI MONTI C’È NE ABBASTANZA PER PREOCCUPARSI SERIAMENTE.

PER FORTUNA IL GOVERNO E LA PROTEZIONE CIVILE SI STANNO GIÀ ATTIVANDO DICHIARANDO L’EMERGENZA SU TUTTO IL TERRITORIO. MA POTREBBE NON ESSERE SUFFICIENTE.

VI SONO INCREDIBILI SPRECHI E UNA RETE IDRICA VECCHIA ED OBSOLETA CHE FA “ACQUA” DA TUTTE LE PARTI E SU CUI BISOGNERÀ METTERCI MANO. UNA CRIMINALITÀ CHE IN MOLTE PARTI DEL SUD DEL PAESE SFRUTTA IL PROBLEMA REALIZZANDO IGNOBILI PROFITTI.

L’ACQUA È UN BENE PRIMARIO INDISPENSABILE ALLA VITA DI TUTTI E DI TUTTO. ESSA È IMPORTANTE COME L’ARIA. ELEMENTI QUESTI GRAVEMENTE A RISCHIO INQUINAMENTO DA CUI LA NOSTRA SALUTE.

SIAMO DI FRONTE ALLA MADRE DI TUTTE L’EMERGENZE CHE NON DOBBIAMO SOTTOVALUTARE PERCHÉ SE LE CONDIZIONI AMBIENTALI SI AGGRAVANO SENZA POSSIBILITÀ DI RECUPERO AVREMO UN DIFFICILE FUTURO DAVANTI GRAVIDO DI RISCHI TERRIBILI.
Raffaele B.

ANSA
Aduc: gli italiani e gli sprechi di acqua
2007-04-25 16:57

ROMA - Circa 1,4 miliardi di persone non ha acqua potabile a sufficienza, 1 miliardo beve acqua non sicura, 3,4 milioni muoiono ogni anno per malattie trasmesse dall' acqua. I dati sono riportati dall'Aduc, l'Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori, il cui segretario, Primo Mastrantoni, osserva: "il 71% del globo terrestre è ricoperto di acqua. Sembrerebbe sufficiente per evitare carenze, conflitti ed epidemie. Purtroppo le acque dolci rappresentano solo il 2% dell'acqua disponibile mentre il restante 98% è acqua salata. Di quel 2% l'acqua utilizzabile è solo l'1%, perché il resto sta nei ghiacci polari (75%) o nel sottosuolo (24%), ed è mal distribuita e mal utilizzata. Se per le esigenze di vita bastano 2,5 litri al giorno, in realtà nel nostro paese ne consumiamo ben 215. Si prevede che nel 2020 3 miliardi di persone non avranno accesso all'acqua. La dotazione minima d'acqua per vivere è di circa 50 litri al giorno.
.
Un africano fortunato di una regione rurale subsahariana ne consuma meno di 20. Siamo quindi responsabili del cattivo uso di una risorsa indispensabile? In parte sì, ma il nostro apporto al consumo è minimale". Aduc ricorda che nel 2005 si consumavano 188 litri pro-capite l'anno di acqua in bottiglia con una spesa di 260 euro/anno a famiglia, per un giro d'affari nazionale di 2.840.000.000 euro e una produzione di 100.000 tonnellate di plastica. Questa è la ripartizione percentuale del consumo di acqua potabile in una famiglia italiana: 1. Il 23% per pulizie personali (bagno, doccia, denti e mani); 2. il 14% per lavaggio (vestiti, biancheria, piatti e pentole); 3. il 13% per usi di cucina (cottura, verdura, frutta); 4. il 28% negli sciacquoni di gabinetto; 5. il 14% nelle annaffiature; 6. l'8% in perdite di impianti. "Fa una certa impressione - conclude Mastrantoni - constatare quanta ne buttiamo!".

LEGAMBIENTE
Siccità: ecco le 12 città che buttano l'acqua
24/04/2007 12:17 - In Italia la rete idrica perde tra il 30 e il 40%

A Cosenza, Latina, Campobasso, Pescara, Vibo Valentia, Rieti, Bari, Siracusa, Nuoro, Agrigento, Sassari e Belluno apri il rubinetto e per l’acqua che esce se n’è persa altrettanta. In questi 12 capoluoghi di provincia, più del 50% dell’acqua immessa in rete sparisce nel nulla.

Sul banco degli imputati dell’emergenza siccità ci sono prima di tutti i consumi agricoli e industriali, che occorre riorganizzare, razionalizzare e ridurre. Così come è indispensabile affrontare il problema delle perdite di rete che riguarda buona parte delle città italiane, il 44% delle 89 città per cui è stato possibile fare una stima nel rapporto Ecosistema Urbano 2007, perde più del 30% dell’acqua che immette in rete.

Ma è nelle regioni meridionali che la situazione è drammatica: a Cosenza l’acqua dispersa è il 70% di quella immessa in rete, a Campobasso il 65%. Emblematico il caso di Agrigento, una città che ha una disponibilità idrica superiore alla media nazionale, ma dove l’acqua viene tutt’oggi erogata ogni 4-10 giorni in relazione al periodo dell’anno e alla zona della città. E’ evidente che il problema è legato alla fatiscenza e alla irrazionalità della rete, fatta di condotte vecchie e realizzate per pezzi nel corso dei decenni, non un circuito chiuso come sarebbe normale, ma serbatoi completamente isolati.

Ma anziché investire su una rete colabrodo, il Commissario regionale all’emergenza idrica ha pensato bene di costruire un dissalatore che aumenta la dotazione d’acqua della città di un altro 30%, acqua che ovviamente finisce nella suddetta disastrata rete cittadina.Dulcis in fundo gli agrigentini comprano l’acqua per cucinare, 10 litri di acqua potabilizzata a 1euro nei “negozi specializzati” sparsi per la città.

Il paradosso di Gela non è meno significativo: l’acqua potabile del lago va allo stabilimento dell’Eni, mentre ai cittadini viene distribuita quella erogata dal dissalatore.Ma nelle grandi città, anche se il dato è meno eclatante, la situazione degli sprechi non è meno significativa, ci sono capoluoghi spreconi, come Palermo che perde il 47% della dotazione idrica, Catania (42%), Napoli (38%) e Roma (35%), e altri messi meglio, come Milano al 10%: in generale però anche in presenza di perdite contenute, l’alto numero di abitanti contribuisce al dato nazionale.

Il consumo giornaliero di acqua potabile in Italia è di circa 200 litri a testa (dai 106 di Ascoli Piceno ai 360 di Milano). Molto di più di quella che ci serve davvero. E' acqua che è stata prelevata da pompe, talvolta trattata in impianti, analizzata in laboratori sofisticati, distribuita in tutte le nostre case e che, infine, dovrà essere depurata prima di venire restituita ai fiumi o al mare. Sprecare questo bene prezioso è più facile di quel che si creda: un rubinetto che perde una goccia ogni 5 secondi, a fine anno ne ha buttati 2 mila litri. Se poi a perdere è il rubinetto dell'acqua calda, è come se avessimo sprecato anche una decina di metri cubi di metano.

Perdite di rete - % di acqua non consumata per usi civili, industriali agricoli/acqua immessa(Fonte: Ecosistema Urbano 2007 di Legambiente)
Belluno……………….52%
Sassari……………….53%
Agrigento…………….54%
Nuoro…………………54%
Siracusa……………...55%
Bari …………………...57%
Rieti…………………...58%
Vibo Valentia…………60%
Pescara……………….61%
Campobasso…………65%
Latina………………….66%
Cosenza………………70%
L’ufficio stampa 06 86268399

mercoledì, aprile 25, 2007

BERLUSCONI E RITORNO DI BIAGI IN TV

SE IL POSTUMO RICONOSCIMENTO A BIAGI DA PARTE DI BERLUSCONI “PRELUDESSE” AD UN TENTATIVO DI CHIUDERE UNA “PAGINA INDEGNA” DELLA STORIA POLITICA E DEL GIORNALISMO ITALIANO, CI ASPETTEREMMO CHE BERLUSCONI LO VORRÀ “ESTENDERE” ANCHE AGLI ALTRI QUALI DANIELE LUTTAZZI E CARLO FRECCERO, PURE VITTIME DELLA STESSA INFAMIA, CHE ANCORA RIMANGONO ESCLUSI DALLA RAI, TV DI STATO TUTTORA NELLE MANI DEGLI STESSI PERSONAGGI CHE HANNO ESEGUITO SUPINAMENTE L'EDITTO DI BERLUSCONI DALLA BULGARIA.
Raffaele B.

QUOTIDIANO.NET
L'EDITTO BULGARO
Giulietti: "Pagina infamante
Ora si è pentito"

Roma, 24 aprile 2007 - "L'editto bulgaro con il quale Silvio Berlusconi chiese ed ottenne la testa di Enzo Biagi, Carlo Freccero, Daniele Luttazzi e Michele Santoro resta una delle pagine piu' brutte e infamanti per la politica e per il giornalismo" afferma Beppe Giulietti dell'Ulivo, intervistato da Radio radicale.

E aggiunge: "fu un vero e proprio monumento al conflitto di interessi. Non solo fu grave l'editto di Berlusconi, ma ancora piu' grave fu il fatto che dirigenti della Rai che siedono ancora al loro posto ne diedero immediata esecuzione. In ogni caso il fatto che oggi Silvio Berlusconi trovi il modo e il tempo per dire, con un eufemismo, che si calco' un po' troppo la mano lo ritengo un fatto positivo".

"Mi auguro- prosegue Giulietti- che a suo modo sia un tentativo di chiudere una indegna pagina della storia della politica e del giornalismo in Italia. Mi auguro anche che Berlusconi voglia estendere questo suo postumo riconoscimento anche a Daniele Luttazzi e a Carlo Freccero e mi auguro che tutto il centro destra voglia cogliere questo segnale per mettere fine ad un clima non piu' tollerabile nel sistema della comunicazione italiana. Staremo a vedere quel che accadra'".

lunedì, aprile 23, 2007

AFGHANISTAN – LA GROTTESCA ACCUSA AD HANEFI

CIÒ CHE SI DELINEA A SEGUITO DELLA LIBERAZIONE DI MASTROGIACOMO NON PUÒ CHE ESSERE UNA MERA “RITORSIONE” O MEGLIO “VENDETTA” AI DANNI SIA DI EMERGENCY CHE DEL GOVERNO ITALIANO.

CIÒ AVVIENE A SPESE DI HANEFI QUALE “AGNELLO SACRIFICALE” IN MODO PIÙ “SOFISTICATO” DI QUANTO FATTO A CALIPARI IN IRAQ DOPO LA LIBERAZIONE DELLA SGRENA.

TROPPO FACILE E SCONTATA L’ACCUSA NEI CONFRONTI DI UN MEDIATORE DI EMERGENCY CHE HA DOVUTO OPERARE A NOME DEL GOVERNO ITALIANO IN UNA DIFFICILE SITUAZIONE SOTTO IL CONTROLLO DEI GUERRIGLIERI TALEBANI CHE RISPONDONO SOLO ALLA LORO LEGGE.

SE POI CONSIDERIAMO CHE L’IMPUTATO NON HA NESSUNA POSSIBILITÀ DI DIFESA ESSENDO TOTALMENTE NELLE MANI DEI SERVIZI SEGRETI AFGHANI (FILIALE IN GESTIIONE DALLA CIA AMERICANA) IL GIOCO È FATTO.

INFATTI LA LEGGE AFGHANA IN QUESTO CASO, ANCHE SE PREVEDE LA “PENA DI MORTE”, NON PREVEDE (INCREDIBILE) PER L’IMPUTATO NESSUNA GARANZIA DI DIFESA! GUARDA UN PO’, COME A GUANTANAMO!

TUTTO CIÒ RENDE ABBASTANZA EVIDENTE IL “GIOCO SPORCO” IN ATTO A TAL PUNTO CHE NESSUNA PERSONA E/O GOVERNO RAGIONEVOLI POSSONO CREDERE A QUESTA “GROTTESCA” MONTATURA. QUI IL GOVERNO ITALIANO E L’EUROPA INTERA DEVONO FARE SENTIRE LA LORO VOCE IN MODO FORTE E DETERMINATO.

NEL FRATTEMPO EMERGENCY, NON FIDANDOSI DELLE “VERE” INTENZIONI DEL GOVERNO AFGHANO, FA BENE A TENERSI ALLA LARGA!
Raffaele B.

CORRIERE DELLA SERA
Mediatore di Emergency, accusa di omicidio
Fiorenza Sarzanini
23 aprile 2007


Hanefi accusato di concorso in omicidio: «Lasciò l'interprete di Mastrogiacomo ai talebani»

ROMA — È la contestazione che può pregiudicare definitivamente la soluzione della vicenda. Il sospetto più pesante. Perché Rahmatullah Hanefi, il mediatore di Emergency che ha negoziato il rilascio di Daniele Mastrogiacomo, adesso è accusato di concorso in omicidio. Secondo i servizi segreti afghani, che lo avevano arrestato per partecipazione al sequestro, sarebbe stato lui a consegnare ai talebani guidati dal mullah Dadullah, Adjmal Nashkbandi, l'interprete sgozzato dai terroristi venti giorni dopo la liberazione dell'inviato di Repubblica. Invece di portarlo in salvo come era stato stabilito, dicono, lo ha lasciato nelle mani della banda che alla fine lo ha ammazzato. «Si tratta di un reato che mette a rischio la sicurezza nazionale — hanno spiegato le autorità di Kabul alla nostra diplomazia — e per il nostro ordinamento in questi casi non è prevista l'assistenza di un legale».
.
Hanefi rischia la pena di morte. La scorsa settimana i responsabili dell'organizzazione guidata da Gino Strada hanno ribadito che chiuderanno gli ospedali e lasceranno definitivamente il Paese, se non sarà rilasciato. Ma anche loro sanno che di fronte a questo tipo di contestazioni difficilmente le porte del carcere potranno aprirsi. E lo sa il governo italiano che in queste settimane ha ribadito di aver fatto pressioni sul governo dell'Afghanistan, ma senza ottenere alcun risultato. La fase finale del sequestro Mastrogiacomo rimane un mistero. Il primo accordo siglato con i sequestratori prevede che in cambio del giornalista e del suo interprete, il governo scarcererà tre talebani. La consegna deve avvenire all'alba del 18 marzo. Ma poche ore prima accade qualcosa di imprevisto, i rapitori rilanciano chiedendo altri due detenuti, minacciano di sgozzare gli ostaggi. Di quelle istanze si fa portavoce proprio Hanefi che fino a quel momento ha tenuto i contatti tra le parti. Il governo italiano convince il presidente Hamid Karzai ad accettare le nuove condizioni. Quello stesso pomeriggio la Farnesina chiude la partita con una nota: «Tutte le condizioni sono state rispettate».
.
I detenuti sono già a disposizione di Emergency. Il patto è chiaro: cinque contro due. E i due sono Daniele e Adjmal. «Sul luogo dello scambio andiamo da soli — impone Strada — senza gli uomini dell'intelligence o altri». Va Hanefi, ma all'ospedale di Lashkar Gah riporta solo Daniele. «Anche l'interprete è libero — assicura subito il giornalista — gli hanno tolto le catene, l'ho visto andare via». In realtà due giorni dopo il mullah Dadullah fa sapere che Adjmal è ancora nelle sue mani. E per rilasciarlo vuole la scarcerazione di altri tre detenuti. «Non cederemo a nuovi ricatti», afferma pubblicamente Karzai. L'8 aprile, il giorno di Pasqua, l'interprete viene «giustiziato». Perché Hanefi non ha preteso la consegna di entrambi gli ostaggi? A questa domanda, che le autorità italiane continuano a porsi, il mediatore non ha mai potuto rispondere. Gli 007 di Kabul lo hanno arrestato la mattina dopo il rilascio di Mastrogiacomo e da allora non hanno consentito a nessuno, se non ad un funzionario della Croce Rossa che doveva verificare le sue condizioni di salute, di poterlo incontrare. «Non lo ha fatto perché era complice dei talebani», assicurano i servizi segreti afghani. In Italia a quest'accusa non sembra credere nessuno. Il governo gli ha dato piena fiducia concedendo ad Emergency totale autonomia e imponendo al Sismi e ai carabinieri del Ros di tenersi fuori dalla trattativa. Ma gli stessi uomini dell'intelligence non hanno mai espresso dubbi sul suo operato, spiegando che per poter garantire la sicurezza in quella zona a sud dell'Afghanistan bisogna essere in grado di dialogare con tutti anche con i talebani.

martedì, aprile 17, 2007

BUSH E L’ENNESIMA STRAGE AL CAMPUS

IL PRESIDENTE BUSH HA ESPRESSO, BONTÀ SUA “INORRIDIMENTO PER L’ASSURDA STRAGE AL CAMPUS DELLA VIRGINIA, MA ALLO STESSO TEMPO HA “RIBADITO” CHE TUTTI I CITTADINI AMERICANI HANNO IL “DIRITTO” DI PORTARE LE ARMI COME D’ALTRONDE PREVEDE LA COSTITUZIONE USA. NATURALMENTE DICE, TUTTI DEVONO RISPETTARE LE LEGGI E QUANTO FATTO DAL MASSACRATORE È OVVIAMENTE ILLEGALE.

UNA LOGICA INECCEPIBILE MA CHE S’INCEPPA QUANDO LA GIUSTIZIA, PERSINO QUELLA CHE PREVEDE LA PENA DI MORTE, NON PUÒ CHE PROCEDERE A POSTERIORI QUANDO CIOÈ CI SONO GIÀ LE VITTIME.

È EVIDENTE CHE FIN QUANDO DURERÀ QUESTO “DIRITTO DI PORTARE LE ARMI” QUESTO RISCHIO RIMANE ALTO E COSÌ ANCHE I PROFITTI DELL’INDUSTRIA DELLE ARMI.

SAREBBE STATA L’ENNESIMA OCCASIONE PER “RIVEDERE” LA LEGGE E INTERROMPERE COSÌ LA SEQUELA DEI MASSACRI CHE SI SONO SUCCEDUTI DA 1966 FINO AI GIORNI NOSTRI.

MA BUSH HA DETTO “NO” ANCHE SE GLI “DISPIACE”, RIAFFERMANDO UN ANACRONISTICO DIRITTO E INCHINANDOSI PERÒ ALLA RICCA LOBBY DELLE ARMI.
Raffaele B.

L’UNITÀ
Virginia, di nuovo Columbine Massacro nel campus: 32 morti
Pubblicato il: 16.04.07
Bush ribadisce: diritto di portare le armi

Alla fine il bilancio della duplice sparatoria in un campus universitario della Virginia è pesantissimo: 32 studenti uccisi tra cui, l’attentatore di appena 20 anni e di un'altra trentina di feriti. Un bilancio da record negativo che sconvolge l'America.

Due sparatorie ma un solo killer. La prima è avvenuta in un dormitorio della università, prima delle otto del mattino, e secondo le dichiarazioni della polizia, ha causato la morte di una persona ed il ferimento di un'altra. La seconda sparatoria, invece, è avvenuta poco dopo in un'altra area del campus, la Norris Hall, dove vengono tenute lezioni di chimica e di ingegneria. Qulo studente è entrato in un aula e ha aperto il fuoco nelle classi uccidendo altri studenti e insegnanti prima di essere a sua volta ucciso.

La dinamica della strage è confusa ma quello che è certo è che il bilancio è addirittura più tragico del massacro del 20 aprile del 1999 nella Università di Colombine (da cui nel 2002 il documentario di Michael Moore Bowling for Columbine): allora due studenti, Eric Harris e Dylan Klebold, uccisero tredici persone (dodici studenti e un insegnante) e ne ferirono altre ventuno prima di togliersi la vita.

La sparatoria di lunedì 16 aprile è avvenuta nel Virginia Tech, uno dei politecnici più prestigiosi e famosi di tutti gli Stati Uniti, forte dei suoi 28 mila studenti e oltre mille insegnanti. Un luogo comunque non nuovo a fatti di sangue simili a quello avvenuto ora. Soltanto nell'agosto dell'anno scorso le lezioni furono cancellate e il politecnico chiuse i battenti quando un evaso entrò nell'area della scuola. Un vice-sceriffo che gli dava la caccia fu ucciso in uno dei sentieri vicini al campus. Non solo. Soltanto la scorsa settimana le facoltà di chimica e ingegneria del Virginia Tech erano state evacuate dopo due minacce anonime.

Ma l'elenco delle stragi nelle scuole e nelle università è lunghissimo negli Usa, da quando nel ’66, sempre in un campus ad Austin, in Texas dopo essere salito sulla torre della scuola superiore Charles Whitman uccise 15 persone, inclusa sua madre e sua moglie e ne ferì 31.

«Inorridito» dalla strage di Virginia Tech, il presidente George W. Bush si inchina comunque alla lobby dei pistoleri e ribadisce che gli americani «hanno il diritto di portare armi». Bush «crede nel diritto della gente a portare armi», ma «tutte le leggi vanno seguite», ha detto la portavoce della Casa Bianca Dana Perino mentre negli Stati Uniti cresceva lo shock. «Portare una pistola a scuola, in un dormitorio e sparare all'impazzata, questo è contro la legge, e chi è responsabile dovrebbe essere punito», ha detto Perino rispondendo alle insistenze dei giornalisti.


CORRIERE DELLA SERA
SCHEDA DELLE ALTRE STRAGI NELLE SCUOLE AMERICANE
16 aprile 2007
Dal massacro del 1966 compiuto nell'Università del Texas all'eccidio degli studenti Amish del 2006

WASHINGTON - Colpi d'arma da fuoco, raffiche, vittime e feriti tra gli studenti delle scuole e delle università americane. Una scia tragica di episodi tra i quali il più noto alle cronache, anche perché al centro di un filmdi Michael Moore, è quella avvenuto all'interno della Columbine High School di Denver.

1 agosto 1966: Charles Whitman si appostò su una torre dell'Università del Texas, ad Austin, e uccise 15 persone, tra cui sua madre e sua moglie, e ne ferì 31.

1 dicembre 1997: uno studente di 14 anni spara all'impazzata nell'atrio della Heath High School a Paducah (Kentucky). Otto muoiono sul colpo, tre poco dopo.

24 marzo 1998: due ragazzini di 11 e 13 anni attirano, con un falso allarme incendio, i compagni all'esterno di una scuola media di Jonesboro (Arkansas). Sparano solo sulle ragazze, uccidendone quattro, oltre a un'insegnante. Undici i feriti.

20 aprile 1999: due studenti della Columbine High School di Denver (Colorado), di 17 e 18 anni, aprono il fuoco e uccidono 12 compagni ed un insegnante prima di togliersi la vita. Dall'inchiesta emerge la loro simpatia per le idee neonaziste.

16 gennaio 2002: Alla Appalachian School of Law, piccola università della Virginia, uno studente straniero bocciato uccide a colpi di pistola il rettore, un insegnante ed una studentessa. Durante la fuga il ragazzo ferisce gravemente altri tre studenti prima di essere bloccato e consegnato alla polizia.

21 marzo 2005: un ragazzo di 16 anni uccide il guardiano e poi spara su compagni e insegnanti del liceo Red Lake High School, nella riserva indiana di Red Lake (Minnesota), uccidendone sei e ferendone 14 prima di suicidarsi. Le vittime appartenevano alla tribù Chippewa. Prima di compiere l'incursione nella scuola, il ragazzo aveva ucciso suo nonno e la sua compagna.

27 settembre 2006: un uomo di 54 anni, armato, prende in ostaggio sei studentesse nel liceo Platte Canyon High School di Bailey (Colorado). L'uomo libera quattro ragazze, ma la polizia compie un blitz dopo aver saputo che il sequestratore aveva abusato sessualmente di una ragazza. Alla vista degli agenti l'uomo uccide uno degli ostaggi e poi si suicida.

2 ottobre 2006: un uomo di 32 anni, armato, prende in ostaggio alcuni studenti della scuola di Nickel Mines, un villaggio Amish della contea di Lancaster (Pennsylvania), fa uscire i ragazzi e gli adulti e lega le ragazze con funi e manette. Prima dell' intervento della polizia, l'uomo, che non appartiene alla comunità Amish, uccide cinque giovani alunne e ne ferisce altre cinque, infine si suicida con un colpo di pistola alla testa

martedì, aprile 10, 2007

LA PENA DI MORTE E IL SILENZIO DEL PAPA

LA CHIESA SI “PRODIGA” CON GRANDE SFORZO GIUSTAMENTE A DIFESA DELLA “VITA” DAL CONCEPIMENTO ALLA MORTE NATURALE, “OPPONENDOSI” A TUTTO CIÒ CHE LO “MINACCIA”: DALLA FECONDAZIONE ASSISTITA, AL CONTRACCETTIVO, ALL’ABORTO, ALL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO ED OVVIAMENTE ALL’EUTANASIA.

SE LA VITA UMANA È UN DONO DI DIO ED È “INVIOLABILE” A TUTTI GLI UOMINI COSÌ COME AGLI “STATI”, RISULTA “INCOMPRENSIBILE” IL SILENZIO DELLA CHIESA ED IN PARTICOLARE DEL PAPA IN OCCASIONE DELLA MARCIA PER LA MORATORIA SULLA PENA DI MORTE.

QUESTA STRIDENTE CONTRADDIZIONE “DELUDE” AMPIAMENTE E LA SORTE DI MOLTI CONDANNATI POTREBBE DIPENDERE PROPRIO DALLE PAROLE DEL PAPA PER LA SUA INFLUENZA SULLA SCENA DEL MONDO.

SEBBENE LA PENA DI MORTE SIA SPESSO GIUSTIFICATA COME DETERRENTE, DIVERSI STUDI HANNO DIMOSTRATO CHE ESSA NON GARANTISCE ALLA SOCIETÀ NÉ PROTEZIONE NÉ BENEFICI.

IN GENERE, LA PENA CAPITALE TENDE AD ESSERE INFLITTA A QUEGLI INDIVIDUI CHE COSTITUISCONO LA PARTE PIÙ VULNERABILE DELLA SOCIETÀ: POVERI, MALATI MENTALI E MEMBRI DI MINORANZE ETNICHE, RAZZIALI O RELIGIOSE, CITTADINI STRANIERI INCLUSI.

LA PENA DI MORTE È APPLICATA IN MODO SPROPORZIONATO NEI CONFRONTI DI PERSONE SOCIALMENTE SVANTAGGIATE, CON CONDANNE CAPITALI IMPOSTE SU CHI NON SAREBBE MAI ANDATO INCONTRO ALLA MORTE SE FOSSE APPARTENUTO ALLE CLASSI PIÙ AGIATE DELLA SOCIETÀ.
Raffaele B.

CORRIERE CANADESE
Migliaia in marcia per la moratoria: «Delusi dal Papa»
Martedì 10, Aprile, 2007

ROMA - La Marcia di Pasqua "per la moratoria subito delle esecuzioni capitali", se da una parte ha ottenuto un successo di partecipazione con migliaia tra cittadini, politici ed esponenti delle istituzioni, che hanno sfilato per le vie di Roma, e ottenuto una valanga di autorevoli adesioni, ha deluso le aspettative di quanti, radicali in testa, si aspettavano che il Papa spendesse la sua autorevolezza per rivolgere un appello ai potenti della terra.

E non è un caso che, partita dal Campidoglio, che ancora una volta con il sindaco Walter Veltroni in testa ha dato il suo patrocinio all'iniziativa, la Marcia si sia conclusa a piazza san Pietro proprio nel momento in cui Papa Benedetto XVI rivolgeva la sua benedizione "Urbi et Orbi" in attesa di un esplicito messaggio papale.

Il Pontefice «sa quanto è influente e quanto può essere determinante per la sorte di migliaia di vite, vittime di omicidi di Stato. La loro sorte - ha affermato Emma Bonino, unico ministro del governo Prodi presente alla Marcia - può dipendere dalle sue parole.
Molte vittime nel braccio della morte aspettano una parola del Papa». Ma dal Pontefice nemmeno un cenno.
Un silenzio, che se «non ha sorpreso e men che mai deluso» il leader radicale Marco Pannella, che contro la pena di morte è anche in sciopero della fame dal 21 marzo scorso, ha invece "stupito" il capogruppo della Rosa del Pugno alla Camera Roberto Villetti, tra i presenti a piazza san Pietro anche perché «il Papa, a differenza del suo predecessore non solo è rimasto in silenzio sull'abolizione della pena di morte, ma non ha neppure rivolto un cenno di saluto a coloro che, credenti e non, erano a piazza San Pietro».

venerdì, aprile 06, 2007

LE STRANE COINCIDENZE DELL’11 SETTEMBRE

Saranno solo coincidenze? Chi lo sa!
Ma qui il numero 11 sembra essere una costante...
E' DAVVERO INCREDIBILE... DA LEGGERE DAVVERO TUTTO.....
.
Fatevi una vostra idea......
1) New York City ha 11 lettere

2) Afghanistan ha 11 lettere
3) Ramsin Yuseb (il terrorista che minacciò di distruggere le Torri gemelle nel 1993) ha 11 lettere.
4) George W Bush ha 11 lettere
5) Le due torri gemelle formano un 11.
.
Questa può essere un pura coincidenza, ma ora si fa più interessante...

1) New York è l'11° Stato
2) Il primo aereo schiantatosi contro le torri gemelle era il volo n° 11
3) Il volo n° 11 portava 92 passeggeri. 9+2=11
4) Il volo 77, che si schiantò anche contro le torri, portava 65 passeggeri 6+5=11
5) La tragedia si verificò l'11 settembre, o 9/11 (data americana) è uguale al numero dell'emergenza americano 911. 9+1+1=11.

Coincidenza? Continuate a leggere e fatevi un'idea:
1) Il totale del numero delle vittime negli aerei dirottati era 254. 2+5+4=11
2) L'11 settembre è il giorno n° 254 nel calendario dell'anno. 2+5+4=11
.
Di nuovo...

3) L'attentato di Madrid accadde l'11/03/2004. 1+1+3+2+4=11
4) La tragedia di Madrid accadde 911 giorni dopo quella delle torri gemelle.
.
Ed è qui che le cose si fanno parecchio misteriose:
Il simbolo + riconosciuto per gli USA, dopo le Stelle&Strisce, è l'Aquila.
Il versetto seguente è preso dal Corano, il Libro Sacro islamico:"Perchè è scritto che un figlio d'Arabia sveglierà una terribile Aquila. La collera dell'Aquila si sentirà attraverso le terre di Allah, mentre alcune persone tremarono disperate ancora più allietate: perchè la collera dell'Aquila ripulì le terre di Allah e ci fu pace."
Questo è il verso n° 9.11 del Corano.
.
Non siete ancora convinti?
Provate questo:
.
Aprite Microsoft Word ed eseguitelo (fatelo sul serio......)
1. Scrivete in stampatello Q33 NY. E' il n° del primo volo schiantatosi contro le torri gemelle...
2. Evidenziate il Q33 NY
3. Cambiate la dimensione del carattere in 48.
4. Cambiate l'attuale carattere in WINGDINGS 1.
.
Provate a vedere cosa compare...
Sono strane coincidenze, non credete?

martedì, aprile 03, 2007

COGNE E LA DIFESA DI FRANZONI

LA LINEA DIFENSIVA DELL'AVV. PAOLA SAVIO, BASANDOSI SU TRE "SE" E SUL "RECUPERO" DELLA FIGURA DEL BAMBINO SAMUELE, GRANDE ASSENTE NELLA SCENA DI QUESTI 5 ANNI PER FAR POSTO ALLA MADRE, SFIDA TUTTE LE LOGICHE DELLA RAGIONE. PENSATECI.

1. SE L'ARMA E' UN SABOT...
2. SE LE TRACCE DI SANGUE INDICANO LA VIA DI FUGA...
3. SE L'ASSASSINO NON INDOSSAVA IL PIGIAMA...


SE NE DEDUCE ALLORA CHE LA FRANZONI NON È COLPEVOLE, È STATO QUINDI UN ESTRANEO! "LOGICA" CONCLUSIONE DI UNA "ILLOGICA" PREMESSA!

ORA, AL DI LA DEL FATTO CHE QUEI TRE "SE" SONO STATI SPAZZATI VIA DAL PRIMO PROCESSO, CHE RAGIONE AVREBBE POTUTO AVERE UN ESTRANEO AD UCCIDERE UN BAMBINO IN QUEL MODO (7 O PIÙ COLPI), NELLA SUA CASA, SUL LETTO E SPARIRE SENZA LASCIARE TRACCIA IN MENO DI 5 MINUTI?

SE POI A TUTTO QUESTO AGGIUNGIAMO LE ACCUSE INFONDATE AI “VICINI” E LE "FALSE PROVE" TESE AD AVVALORARE PROPRIO LA TESI DELL'ESTRANEO, DELL'AVV. TAORMINA PER IL QUALE È INDAGATO, IL QUADRO SI DELINEA NELLA SUA SCONCERTANTE CHIAREZZA.

LA RICERCA DELLA VERITÀ È CIÒ CHE SI VUOLE, NON TANTO LA CONDANNA PERCHÈ IL FIGLIO ERA IL SUO. ORBENE QUESTO È STATO IMPEDITO IN TUTTI I MODI POSSIBILI RICORRENDO AGLI STRUMENTI "IMPROPRI" DELLA GIUSTIZIA (SENZA CONTRADDITTORIO), DAI TALK SHOW, ALLA STAMPA, AI LIBRI, GRANDE DISPONIBILITÀ DI DENARO E APPOGGI POLITICI E NON, FINO AD ARRIVARE ALLE "FALSE PROVE" DELL’IMPUDENTE TAORMINA.

SPERIAMO SOLO CHE LA GIUSTIZIA NON SI FACCIA "PIEGARE" DA QUESTA “PRESSANTE MOLE” PROCEDENDO FINO IN FONDO ALL'ACCERTAMENTO DELLA VERITÀ AD ASSICURARE LA GIUSTA PENA PER L'OMICIDA E A TUTTI GLI ALTRI RESPONSABILI CHE LO HANNO "COPERTO" FINORA.
Raffaele B.

ANSA
Cogne: assassino estraneo a famiglia
Ripresa a Torino arringa avvocatessa Paola Savio

(ANSA) - TORINO, 3 APR - La persona che ha ucciso a Cogne il piccolo Samuele Lorenzi e' un terzo estraneo alla casa della famiglia. Cosi' l'avvocato Paola Savio. Il difensore di Annamaria Franzoni ha ripreso stamani la sua arringa: 'se l'arma e' un sabot, ha aggiunto, se le tracce di sangue non analizzate dagli inquirenti indicano la via di fuga (l'ingresso principale della villetta - ndr), se l'assassino non indossava il pigiama, e' un terzo estraneo alla casa. E allora Annamaria non e' colpevole'.

lunedì, aprile 02, 2007

IL CONGRESSO DS E LA MINORANZA

ALL'INDOMANI DEL CONGRESSO DS SULLE TRE MOZIONI CHE HA SANCITO LA VITTORIA DEL "PARTITO DEMOCRATICO" LEGGIAMO CHE LA MINORANZA "CONTRARIA" DI MUSSI NON HA NESSUNA INTENZIONE DI FARNE PARTE E PAVENTA LA CREAZIONE DI UNA NUOVA FORMAZIONE DI SINISTRA.

IL CONGRESSO È STATO RICHIESTO PROPRIO DALLA MINORANZA INSIEME AL VOTO SEGRETO. AD ESSO HANNO PARTECIPATO 250.000 ISCRITTI, 50.000 IN PIÙ DEL CONGRESSO PRECEDENTE CON UN'AMPIEZZA FORMIDABILE, HANNO DISCUSSO LE MOZIONI ED HANNO DECISO IN MODO DEMOCRATICO CON IL VOTO SEGRETO.

IL COMPORTAMENTO DELLA MINORANZA CHE COSÌ DIMOSTRA DI NON RICONOSCERE LA DECISIONE DEL CONGRESSO RISULTA INCOMPRENSIBILE E PONE ALCUNI INTERROGATIVI:

1. PERCHÈ CHIEDERE IL CONGRESSO E POI NON RICONOSCERSI NELLA SUA DECISIONE?
2. PERCHÈ DIRE CHE ...NON SI SA CHE COSA È IL PD
3. PERCHÈ DIRE CHE ...SCOMPARE LA SINISTRA
4. PERCHÉ DIRE CHE ...VIENE A MANCARE L'AGGANCIO AL SOCIALISMO EUROPEO
5. PERCHÈ DIRE CHE ...VA BENE LA MINORANZA DENTRO DS MA NON NEL PD

AL PUNTO 1. È INCOMPRENSIBILE A MENO CHE SI RIFIUTI LA DEMOCRAZIA DI PARTITO OPPURE CHE SE NE AVESSE GIÀ L'INTENZIONE DI SEPARARSI E CHE SI SIA VOLUTO PER QUESTO IL CONGRESSO, PER MISURARE LA PROPRIA FORZA PER UN USO DIVERSO. AMBEDUE I CASI SI QUALIFICANO "POCO NOBILI".

AL PUNTO 2. TUTTI SANNO CHE COSA È IL PD, ESSO È L'ULIVO CHE DIVENTA UN SOLO PARTITO DOPO 15 ANNI DI ESPERIENZA POLITICA ASSIEME, LE NUOVE GENERAZIONI CONOSCONO DI PIÙ PROPRIO L'ULIVO. QUESTO MUSSI "NON POTEVA NON SAPERLO" MA FA FINTA DI IGNORARLO PER "DRAMMATIZZARE".

AL PUNTO 3. TUTTI SANNO CHE LA SINISTRA NON SCOMPARE AFFATTO PERCHÈ ESSA È NEL CARATTERE DELLO STESSO ULIVO CHE GOVERNA E FA POLITICA NEL CAMPO DELLA SINISTRA CHE COMPRENDE PARTE DEL CENTRO FINO ALLA SINISTRA RADICALE. ESSO È RISULTATA SEMPRE VINCENTE CONTRO IL CENTRODESTRA DI BERLUSCONI, OGNI VOLTA CHE SI PRESENTA UNITO. SOTTO QUESTO PUNTO DI VISTA L'ULIVO RAPPRESENTA LA SINISTRA PERCHÈ SENZA DI ESSO, LA SINISTRA PERDE! POI QUESTA DECISIONE È STATA VOTATA DALLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI ISCRITTI NON MENO DI SINISTRA DEGLI ALTRI E COSTORO CONFLUIRANNO NELLA NUOVA FORMAZIONE CON QUESTI CARATTERI POLITICI. PURE QUESTO MUSSI NON PUÒ NON SAPERLO, EPPURE "DRAMMATIZZA" ANCHE QUI.

AL PUNTO 4. LO STESSO SOCIALISMO EUROPEO SI TROVA IN FASE DI CAMBIAMENTO PER RISPONDERE PIÙ EFFICACEMENTE ALLE NUOVE SFIDE DELLA GLOBALIZZAZIONE. PER QUESTO I PARTITI SOCIALISTI EUROPEI GUARDERANNO CON PIÙ INTERESSE AL NUOVO PD CHE AD UN IMPROBABILE FORZA DI SINISTRA PRODOTTA DALLA SCISSIONE. ANCHE QUESTO NON PUÒ NON ESSERE NOTO A MUSSI CHE PERÒ CONTINUA A "DRAMMATIZZARE".

AL PUNTO 5. PERCHÈ NON FARE LA MINORANZA IN PD? L'UNICA DIFFERENZA È CHE ESSENDO IL PARTITO PIÙ GRANDE SI "CONTA" DI MENO PROPORZIONALMENTE (MENO POLTRONE) E QUINDI NON "CONVIENE" ALLA MINORANZA PER PURO INTERESSE DI BOTTEGA, MA NEMMENO QUESTO È NOBILE.

LA SCISSIONE PER CREARE UNA NUOVA FORMAZIONE, NELLA GIÀ VARIEGATA GALASSIA DI SINISTRA DOVE SI TROVANO UN CERTO NUMERO DI SOGGETTI TUTTI "ORGOGLIOSI" DELLA LORO “IDENTITÀ” E PER NIENTE INCLINI A UNIRSI IN UN UNICO SOGGETTO SIGNIFICATIVO, SI DIMOSTRERÀ UNA INUTILE FATICA ANCHE PERCHÈ ALLA FINE DOVRÀ COMUNQUE "SCENDERE A PATTI" CON IL PD PER IL GOVERNO DEL PAESE.
Raffaele B.

L’UNITÀ
D’Alema: no alle scissioni preventive
Umberto De Giovannangeli

La sfida per la pacificazione dell'Afghanistan. La scommessa del Partito Democratico. In questa intervista esclusiva a l'Unità, Massimo D'Alema si muove a tutto campo, da ministro degli Esteri a presidente dei Ds. A Silvio Berlusconi dice: "A essere variabile è lui, non certo la maggioranza". E al leader della sinistra Ds, Fabio Mussi, dice: "Quella che si sta delineando è una scissione senza pathos".

Anche dopo l'approvazione definitiva del decreto legge sul rifinanziamento delle missioni all'estero, l'Afghanistan resta al centro dell'attenzione. Giovedì scorso c'è stato un nuovo attacco, il terzo, contro una pattuglia italiana a Herat. Al di là delle polemiche interne, non pensa che l'inasprimento delle azioni armate dei Talebani, imponga un ripensamento della missione in Afghanistan?

Certamente noi siamo preoccupati per il moltiplicarsi di episodi di violenza, di guerriglia, di terrorismo in Afghanistan. In verità, questo non e' purtroppo un fatto nuovo. È del tutto strumentale da parte della destra affermare che siamo di fronte a un cambiamento di situazione sul campo. È drammatico doversi riferire ad una tragica contabilità, ma non possiamo dimenticare che nel corso della missione sette valorosi militari italiani hanno perso la vita ed un numero elevato di essi sono rimasti spesso seriamente feriti in attacchi contro il contingente italiano. Ciononostante, mai da parte di chi era allora al Governo si e' ritenuto di dover fornire non so quali equipaggiamenti speciali e men che meno di dover cambiare la natura della missione. Questo tema del mutamento delle sfide su terreno, piu' o meno repentino e addirittura riferito all'arco di pochi giorni, è stato enormemente enfatizzato per fini poco nobili. Tutti sappiamo che il vero cambiamento non riguarda la situazione in Afghanistan, ma piu' banalmente il diverso scenario dei numeri tra la Camera e il Senato. Si e' cercato di colpire il Governo al Senato dove la maggioranza è piu' ristretta, speculando cinicamente sulla situazione bellica dell'Afghanistan. Ciò posto, non si può negare che l'accresciuta iniziativa da parte dei Talebani, anche se non parlerei di un'offensiva generalizzata, incrementa i pericoli per le nostre forze armate. Noi ci siamo fatti carico di questa situazione e ci regoleremo prontamente anche sulla base delle richieste che in questi giorni farà lo stato maggiore, fornendo alle forze armate italiane i mezzi necessari per una loro piu' adeguata protezione. Al di là di questo aspetto, è tuttavia evidente che il deteriorarsi delle condizioni dell'Afghanistan, non solo nel campo della sicurezza, induce ad una piu' approfondita riflessione sulle prospettive della missione internazionale alla quale l'Italia partecipa e di cui l'aspetto militare rappresenta solo un elemento, pur importante. Mi pare che emerga l'esigenza di un forte rilancio dell'impegno a tutto campo della comunità internazionale. Sul piano militare, certamente è in corso un rafforzamento, perché arrivano nuovi contingenti; anche nella zona Ovest, di cui noi abbiamo la responsabilità, con un impegno in mezzi e uomini tra i piu' rilevanti, arriveranno rinforzi forniti da altri Paesi. La questione però non è soltanto quella di rafforzare il presidio militare. Si pone il problema di un rilancio politico, tema che noi abbiamo proposto già nella discussione in sede di Consiglio di Sicurezza del 20 marzo scorso. L'esigenza di questo cambio di passo ha trovato una prima risposta nella nuova risoluzione (n.1746) per il rinnovo della missione civile (UNAMA), che contiene diverse indicazioni interessanti. In primo luogo, essa riflette le nostre proposte di un'agenda politica internazionale in grado di impegnare maggiormente, in primo luogo, i Paesi della regione e piu' intensamente tutta la comunità internazionale a garantire il successo della difficile transizione afghana, sia sul piano politico-istituzionale che su quello della ricostruzione economica. Inoltre, la nuova risoluzione ci impegna ad assicurare pieno sostengo allo sforzo di riconciliazione nazionale con quelle forze disponibili ad abbandonare la violenza, il terrorismo e ad integrarsi in un processo democratico; un programma, vorrei ricordare, che e' stato lanciato dal Governo Karzai e che è oggi forse l'iniziativa politicamente piu' rilevante in corso in Afghanistan.

Dentro questa agenda c'è, ai primo posti per l'Italia, la Conferenza internazionale di pace. Per Berlusconi e Fini è una proposta impraticabile, velleitaria, agitata da D'Alema per tenere buona la sinistra radicale. Come intende smentirli?
Per il Dipartimento di Stato quella che abbiamo avanzato è "una proposta costruttiva, che merita di essere approfondita". Ed è ciò che in questo caso conta di piu', certo di piu' delle considerazioni strumentali. Noi abbiamo proposto in modo preciso un'iniziativa che riteniamo possa essere posta nell'agenda politica internazionale non nell'immediato, ma come un momento culminante di una serie di passaggi...

Quali?
Ne cito tre che hanno un particolare rilievo. La prima tappa sarà il vertice di fine maggio del G8 con l'Afghanistan e il Pakistan. La seconda - e si tratta di un'iniziativa italiana gia' in fase di realizzazione - la Conferenza sulla giustizia e sullo stato diritto, che promuoviamo in Italia con il governo afghano e con le Nazioni Unite: si tratta di un aspetto fondamentale nel processo di costituzione di uno Stato democratico. A seguire, la Conferenza di Islamabad sui temi dello sviluppo economico dell'intera Regione circostante l'Afghanistan. Dopo questi appuntamenti di grande rilevanza, siamo convinti che si potrebbe arrivare a una vera e propria Conferenza internazionale per la pace, che potrebbe rappresentare il momento culminante dell'agenda politica per l'Afghanistan nel corso del 2007.

L'Italia è impegnata attivamente per la liberazione di Adjmal Nashkbandi, l'interprete afghano rapito con Daniele Mastrogiacomo il 5 marzo. Se Kabul non tratta, e libera altri due Talebani, "uccideremo Adjmal", ha minacciato il mullah Dadullah.
Innanzitutto bisogna precisare che questa situazione interpella drammaticamente il governo afghano, così come e' avvenuto per le difficili scelte delle settimane scorse. Noi non avremmo certo potuto decidere in Italia quanto è stato fatto, perche' non era nelle nostre disponibilità. Per quanto ci riguarda, possiamo incoraggiare, sostenere, ma non spetta noi prendere decisioni che competono ad uno stato sovrano. Certamente ci siamo attivati, e lo stesso stiamo facendo ora anche nel chiedere al governo afghano spiegazioni sulle motivazioni dell'arresto del responsabile della vigilanza di Emergency, Rahmatullah Hanefi. Il nostro Ambasciatore a Kabul ha chiesto al governo afghano di poter visitare Ramatullah, perché, pur trattandosi di un cittadino afghano, e' indubbio che si tratta di una persona fortemente impegnata in un'iniziativa di solidarietà gestita da un'organizzazione umanitaria italiana. Allo stesso modo, abbiamo incoraggiato e salutato con favore la decisione della direzione di Repubblica di lanciare una sottoscrizione a favore della famiglia dell'autista di Mastrogiacomo barbaramente assassinato dai Talebani. Noi ci sentiamo pienamente coinvolti in questa tragica, dolorosa vicenda, nella quale vogliamo fare fino in fondo tutto ciò che è nelle nostre concrete possibilità, così come h anche sottolineato il presidente del Consiglio.

Il dibattito, e il voto, al Senato sul rifinanziamento delle missioni all'estero hanno fatto emergere "due opposizioni" e riproposto il tema della "maggioranza variabile". C'è chi la teme, chi la auspica. Per Massimo D'Alema?
Personalmente ho sempre votato per le missioni internazionali del nostro Paese, salvo l'eccezione motivata dell'Iraq, anche quando ero all'opposizione, e non mi sono mai sentito parte di una "maggioranza variabile". Io sono fermamente convinto che quello del sostegno alle missioni militari e civili dell'Italia nel mondo non sia un tema esclusivamente della maggioranza di governo. In un Paese civile è tema dell'intero arco delle forze politiche nazionali. L'anomalia semmai è il fatto che Berlusconi si è sottratto a questo dovere nazionale, per estremismo, per strumentalismo, per ragioni politicamente poco commendevoli. Dopo aver votato a favore alla Camera, si è astenuto al Senato, ma per il regolamento di Palazzo Madama cio' equivale ad un voto contrario. E' Berlusconi che è variabile, non la maggioranza; è variabile nel senso che è incostante, legato com'è ad obiettivi di natura tattica e non invece ad una coerenza di condotta politica per l'interesse nazionale. Naturalmente il problema, che è reale, è legato a due fattori. In primo luogo, al fatto che al Senato esiste una maggioranza molto ristretta anche a causa di una legge elettorale sgangherata e sciagurata, concepita apposta per rendere difficile la governabilità del Paese. In secondo luogo, perché alcuni dissidenti o obiettori, vengono meno a quello che definirei il dovere repubblicano di sostenere il Governo. Ciò naturalmente facendo salve le ragioni del dissenso, che rispetto. In Germania, dove la Spd ha governato con un solo voto di maggioranza per una intera legislatura, quando vi sono stati casi di obiezione di coscienza, chi dissentiva lo faceva pubblicamente, adducendole sue motivazioni, ma poi per disciplina sosteneva il Governo. Qui non c'entra il tema, che sento totalmente estraneo, delle maggioranze variabili. Detto questo, ritengo che l'Udc si sia comportata come un'opposizione democratica, responsabile, non diversamente da come si comportano le forze all'opposizione, di destra o di sinistra, in tutti i Paesi europei. Ma ciò che in Europa sarebbe semplicemente normale, nel contesto italiano merita un particolare encomio.

Un altro fronte caldissimo, che è stato al centro anche del vertice informale dei ministri degli Esteri della Ue qui a Brema, è quello mediorientale. Chiusura o dialogo con il nuovo governo di unità nazionale palestinese?
Ritengo che il governo di unità nazionale palestinese rappresenti indubbiamente un passo in avanti; tanto è vero che la sua formazione ha contribuito a sbloccare la situazione. Ciò per diverse ragioni. In primo luogo, ha determinato una frattura fra Hamas, o una parte di Hamas, e il fondamentalismo violento, terrorista. In secondo luogo, ha rafforzato la posizione del presidente Abu Mazen. Qui direi che avevamo ragione noi, Unione Europea, quando abbiamo incoraggiato questa soluzione, e lo abbiamo fatto - l'Italia e' stata tra i Paesi piu' attivi - anche attraverso il dialogo diretto con Abu Mazen, e anche di fronte a incertezze che vi erano nella leadership di Al-Fatah. Siamo pienamente consapevoli che nella sua piattaforma il governo di unità nazionale palestinese ha raccolto solo in parte le richieste che la comunità internazionale aveva avanzato, in particolare per quanto riguarda l'esplicito riconoscimento di Israele. Dobbiamo perciò continuare ad insistere con determinazione perché si arrivi al piu' presto ad una piena adesione ai principi che sono stati esposti dal Quartetto. Nel frattempo dobbiamo assumere nei confronti del Governo di unità nazionale un atteggiamento che dovrà tener conto di due elementi. In primo luogo, la necessità di adottare un approccio flessibile nei confronti della compagine di Governo e dei suoi singoli componenti. E' evidente che la comunità internazionale avrà rapporti con tutti quei ministri del governo palestinese che riconoscono Israele. Io stesso nei prossimi giorni riceverò Mustafa Barghuti (ministro dell'Informazione, ndr.), una personalità indipendente, che fa parte del governo, un uomo da sempre impegnato per il dialogo. E così si stanno comportando quasi tutti i Paesi europei. Anche gli Stati Uniti sembrano orientati su questa linea di pragmatismo. In secondo luogo, dobbiamo chiedere al Governo palestinese di agire con coerenza sul piano dei fatti. In particolare, dobbiamo esigere un fattivo impegno per fermare il lancio dei razzi Qassam da Gaza contro il territorio israeliano, e arrivare finalmente alla liberazione del caporale Shalit, che potrebbe rappresentare un segnale molto significativo di distensione e che potrebbe portare ad analoghi gesti generosi anche da parte israeliana, in particolare per quanto riguarda la liberazione necessaria dei parlamentari palestinesi detenuti in Israele.

E per quanto riguarda Israele?
Dobbiamo incoraggiare Israele a porre fine alle operazioni militari, che sono certamente divenute sporadiche, ma che tuttavia non si sono arrestate, nei territori palestinesi; ad estendere la tregua da Gaza alla Cisgiordania; e soprattutto ad accelerare il negoziato, il dialogo diretto, tra Abu Mazen e Olmert, che rappresenta in questo momento il fattore piu' importante di speranza. E la nostra speranza è che al piu' presto si passi da una discussione su temi importanti ma piu' immediati, come la sicurezza, e le misure volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione palestinese, a una discussione sui nodi aperti per quanto attiene alla definizione dello status finale. Perché è evidente che, anche per non perdere l'opportunità che deriva dal rilancio dell'iniziativa di pace araba, occorre accelerare il negoziato per definire i caratteri concreti di quella soluzione dei due Stati che ormai tutta la comunità internazionale individua come l'approdo, come la soluzione. Bisogna avere il coraggio di avviare una politica non di "gestione della crisi" ma di "soluzione della crisi". Altrimenti il tema dei due Stati rimane sospeso nell'alveo delle dichiarazioni di principio e non prende la concretezza necessaria per porre fine a questo troppo lungo e doloroso conflitto. Non bisogna perdere questa occasione: bisogna evitare che ancora una volta si avveri l'amara profezia di Abba Eban: "Il Medio Oriente, purtroppo, non si è mai perduta l'occasione per perdere l'occasione.

Dal ministro degli Esteri al presidente dei Ds. I Democratici di sinistra vanno ad un Congresso cruciale, per alcuni aspetti, drammatico. C'è davvero il rischio di una scissione?
Continuo a sperare che non accada e cercherò fino all'ultimo di evitarlo. Un partito è prima di tutto una comunità di donne e uomini che decidono di stare insieme perché condividono un'idea del Paese e un progetto di cambiamento. Davvero pensiamo che la nostra idea di cosa serve oggi all'Italia diverga a tal punto da doverci separare? Io non credo sia così. La scelta di separarsi apparirebbe come una sorta di scissione fredda, figlia più di una preconcetta volontà che non di una effettiva spinta. Noi abbiamo avuto un percorso congressuale ricco, che ha avuto un carattere democratico molto ampio. Vi hanno partecipato 250mila persone, 50mila persone in piu' dell'ultimo congresso. Si è chiesto un congresso democratico, soprattutto da parte della minoranza; si è chiesto il voto segreto, e il progetto del Partito democratico ha ricevuto il consenso, con il voto segreto, quindi senza neppure il sospetto di un condizionamento dall'alto, di oltre 200mila iscritti, che è un numero altissimo. Io penso che chi ha chiesto una discussione democratica di questa ampiezza, alla fine non potrà non tenere conto della volontà espressa con tale ampiezza, partecipazione e democraticità. Non si tratta di un progetto calato dall'alto, si tratta a questo punto della volontà di una larghissima maggioranza degli iscritti al nostro partito, che si sono pronunciati nel dibattito e nel voto nel modo piu' ampiamente democratico, e ritengo che tutto ciò meriti rispetto. Se invece l'idea era quella di andarsene comunque, non so perché si sia chiesto di discutere, di votare, e di votare col voto segreto. Insomma, sembrerebbe una linea di condotta non coerente che farebbe pensare si sia voluto il congresso non per discutere e per decidere insieme, ma soltanto per farne l'occasione per raccogliere delle forze per un'altra prospettiva. Io ho partecipato al congresso della mia sezione, innanzitutto. Ho discusso, ho ascoltato le motivazioni dei compagni che erano contrari: non c'è il clima della scissione. Non c'è. In quanti hanno obiettato sui caratteri, i contenuti, di questo nuovo partito, la scissione appare una "misura preventiva": siccome io ritengo che in questo partito non si ritroveranno i valori della sinistra, me ne vado. In tutto questo manca l'onere della prova. Non solo....

Cos'altro?
La scissione apparirebbe come un tentativo di fare una profezia che si autoavvera. E' chiaro che piu' si riduce la presenza di militanti della sinistra, piu' c'è il rischio che si riduca il peso dei valori della sinistra nel Partito democratico. Sarebbe una scissione senza pathos. Noi abbiamo vissuto il dramma dell'89: sinceramente siamo di fronte a qualcosa di cui non si riescono a capire le ragioni e non si riescono a cogliere neanche i sentimenti, se non il sentimento di distacco e di scetticismo. Ho sentito il mio amico Fabio Mussi pronunciare frasi molto enfatiche, che però non mi convincono nel merito. Vorrei discutere alcune delle sue affermazioni. Innanzitutto si dice: "Non si sa che cos'è il Partito Democratico". Il Pd è il punto d'arrivo dell'esperienza dell'Ulivo, cioè della piu' importante esperienza politica innovativa che ha segnato la storia italiana dell'ultimo quindicennio. In realtà c'è tutta una nuova generazione che non sa quali siano i partiti di cui parliamo io e Mussi, perché non li ha conosciuti, mentre sa benissimo che cosa è l'Ulivo. Si sa benissimo che cos'è il Partito democratico: è il compimento dell'esperienza politica e culturale che ha preso forma nell'Ulivo. Seconda affermazione enfatica, ma d'incerto fondamento: "Scompare la sinistra". Una frase drammatica che dà la sensazione che qui siamo di fronte ad un gioco di prestigio: puff, e la sinistra scompare... Non è così perché per la stragrande maggioranza degli italiani la forma moderna che ha assunto la sinistra in Italia, è esattamente l'Ulivo. E la novità vera è che la sinistra moderna che si è delineata in questa nuova stagione, l'Ulivo per l'appunto, si accinge ad assumere forma di partito. L'errore semmai lo compiono quelle componenti che hanno fatto parte dell'esperienza dell'Ulivo ma che in questo momento si sottraggono a questo impegno. C'è poi una terza affermazione enfatica...

Quale sarebbe?
Non può mancare in Italia una grande forza del socialismo europeo. A parte il fatto che è per circa cinquant'anni di storia repubblicana la più grande forza della sinistra non era una forza socialista, nel senso che il maggiore partito della sinistra si chiamava Partito comunista; vorrei anche dire che la scissione non produrrebbe una grande forza del socialismo europeo, semplicemente determinerebbe la presenza di un nuovo movimento di un'assai frammentata sinistra nella quale non mi pare proprio che ci sia l'idea di dare vita ad un partito socialista europeo. Il leader della principale forza di questa frammentata sinistra radicale, che è Fausto Bertinotti, alla domanda se voglia fare un partito socialista, ha risposto, del tutto legittimamente, io sono comunista... Noi abbiamo tentato di fare prima del Pds, poi dei Ds, una grande forza del socialismo europeo. E abbiamo dato vita ad una importante forza del socialismo europeo. Tuttavia ci siamo anche resi conto che i Ds non sono sufficienti ad imperniare su di sé il bipolarismo italiano, a differenza di quello che accade generalmente negli altri Paesi. Proprio per risolvere questo problema vogliamo fare il Pd, una forza che rappresenti in Italia quello che i grandi partiti socialisti rappresentano nel resto d'Europa, un grande partito di governo, riformatore, che possa aspirare a dare al Paese un asse di governo stabile, robusto. E a contribuire ad uscire dalla frammentazione di un sistema politico che genera un bipolarismo tanto rissoso quanto in difficoltà ad esprimere governi stabili e coerenti del Paese. E d'altra parte non è forse una scelta figlia della nostra storia di questi anni? Il partito dei Ds, è bene ricordarlo, è nato proprio con questi obiettivi. Ma progressivamente ci siamo resi conto che l'unica possibilità di riuscirci è di costruire questo partito insieme ai cattolici riformisti a partire dall'esperienza dell'Ulivo..

Ma le minoranze lamentano poca chiarezza sul rapporto col Pse. Il Pd vi aderirà o no?
Voglio dirlo ancora una volta con assoluta chiarezza: il Pd non sarà una terza forza tra socialisti europei e conservatori. Noi vogliamo, con il Pse ma anche con altre forze, dare vita a una nuova e più grande sinistra europea; il Pd italiano contribuirà ad un allargamento e ad un rafforzamento del campo riformista, e non lo si può certo fare senza il Pse. D'altro canto, i leader socialisti europei guardano al Partito democratico in Italia come a un loro interlocutore e non certo all'improbabile partito socialista che dovrebbe nascere da questa scissione. Trovo davvero molto piu' appassionante l'idea di partecipare alla costituente del Partito democratico per portare lì le idee, i progetti, i valori della sinistra di ispirazione socialista in Italia, in un confronto aperto con altre correnti culturali, che è esattamente quella prospettiva di incontro fra culture, di rinnovamento nella sinistra per la quale lavoriamo da oltre dieci anni. Voglio fare un ultimo appello alle compagne e ai compagni della minoranza: proviamo ancora una volta a lavorare insieme, a discutere, a confrontarci. Il PD ha bisogno delle idee e della passione di tutti. Non decidete oggi come il nuovo partito sarà domani. Partecipate alla sua costruzione, e forse tra qualche mese vi troverete in un partito che non sarà poi così diverso da come lo volete.

Pubblicato il: 01.04.07
Modificato il: 01.04.07 alle ore 14.07