giovedì, settembre 25, 2008

GIUSTIZIA – DOPO LODO ALFANO IL LODO CONSOLO

Ci risiamo, non contenti del “Lodo Alfano” ripartono di nuovo all’arrembaggio della Giustizia con un’altra “leggina” per “proteggere” tutti i “ministri” questa volta. È l’anticamera della reintroduzione della immunità parlamentare abolita nel 1993 dopo Tangentopoli.

Si tratta di un disegno di legge di due articoli presentato per tempo dal deputato di AN e PDL
Giuseppe Consolo l’8 maggio 2008 scorso e rimasto fra le varie proposte ancora da valutare in commissione ma improvvisamente diventato urgente in questi giorni!

Il deputato Giuseppe Consolo è l’avvocato del ministro delle infrastrutture Altero Mattioli nella foto. Il ministro è alle prese con un processo per un reato consumato al di fuori delle responsabilità ministeriali come sentenziato dal tribunale dei ministri della toscana ma nonostante ciò è riuscito a fermarlo perché divenuto nel frattempo senatore convinse il parlamento ad attribuire alla Consulta la decisione di bloccarlo o meno. Evidentemente il nostro ministro non si sente “sicuro” ed ecco che la proposta di legge diventa urgente!

Ovviamente la legge, pur riguardando tutti i ministri, in realtà ora serve solo a lui. Quindi un’altra legge ad personam!

Insomma la solita “strategia” della difesa dal “processo” anziché nel “processo” che solo persone con la “coscienza sporca” ma “potenti” possono concepire. D’altro canto non si fa che ripercorrere la stessa strada fatta per il Capo del Governo Berlusconi che con la scusa d’immunizzare le 5 massime cariche dello Stato, lui è l’unico ad averne bisogno!

Se continua così presto avremo un potere politico al di sopra della legge ed inattaccabile qualsiasi reato commettano come nella tradizione delle peggiori monarchie assolute!
Raffaele B.


REPUBBLICA
Giustizia, nuovo blitz del Pdl in arrivo l'immunità per i ministri
Il responsabile delle Infrastrutture è sotto processo per favoreggiamento a Livorno

Dopo il lodo Alfano, pronto il lodo Consolo per salvare Altero Matteoli
Il parlamentare, che è anche legale del ministro, ha preparato un apposito ddl


di LIANA MILELLA
25 settembre 2008

ROMA - Un lodo Alfano per il premier Silvio Berlusconi. Per bloccare i suoi processi Mills e Medusa. Quello è già fatto. È alle spalle. Adesso serve un lodo Consolo per il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, di cui Consolo è pure avvocato. Aennino il ministro, aennino il proponente. Tutto in famiglia. Com'è stato per il lodo Alfano. Uno scudo protettivo per fermare i processi alle alte cariche dello Stato fresco di pochi mesi. Un disegno di legge, pensato e scritto dal deputato Giuseppe Consolo, affidato alle cure del capogruppo di Forza Italia Enrico Costa, nelle prossime "priorità" della commissione Giustizia della Camera.


Una nuova porta aperta verso il definitivo ripristino dell'immunità parlamentare in stile 1948 per tutelare e mettere al riparo chi è già nei guai con la giustizia. In comune con il lodo Alfano la solita norma transitoria, quella che disciplina l'utilizzo di una legge, e che, anche in questo caso come per tutte le leggi ad personam, stabilisce che il lodo Consolo "si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge".

Giustizia di casa nostra per tutto il governo Berlusconi. Stavolta per i suoi ministri. Per Matteoli in particolare, visto che a Livorno c'è un suo processo per favoreggiamento. Ma vediamo prima la proposta e poi la persona e il processo a cui si applica. Che si va a inventare Consolo per il suo cliente? Una leggina, due articoli in tutto, che rivoluziona le regole costituzionali per i reati ministeriali, quelli commessi da soggetti che sono, o sono stati, ministri. Un giochetto facile facile.

Rendere obbligatoria la richiesta di autorizzazione anche per i reati che, a parere del tribunale dei ministri, non meritano una copertura ministeriale e quindi, stando alle norme attuali, devono essere valutati e investigati dalla procura. Se, a parere dei pm e dei giudici, il delitto è stato commesso, il soggetto va a processo come un normale cittadino.
Eh no, questo a Consolo non sta affatto bene.
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Anche perché c'è giusto il suo compagno di partito e legalmente assistito, il ministro Matteoli, ex capogruppo di An al Senato nella scorsa legislatura, e prima ancora ministro dell'Ambiente, che nel 2005 viene messo sotto inchiesta dalla procura di Livorno per aver informato l'allora prefetto della città Vincenzo Gallitto che c'erano delle indagini sul suo conto per l'inchiesta sul "mostro di Procchio", un complesso edilizio in costruzione a Marciana, nell'isola d'Elba.
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Il tribunale dei ministri del capoluogo toscano decise che quel reato non aveva niente a che fare con la funzione di ministro ricoperta da Matteoli e rispedì le carte alla procura. Matteoli non si dette per vinto. Divenuto nel frattempo senatore convinse la Camera a sollevare un conflitto di attribuzione contro Livorno per la "ministerialità" del reato. La Consulta lo considera ammissibile e dovrà pronunciarsi. Nel frattempo il processo è congelato. Adesso Consolo lo vuole ibernare definitivamente.

Nel giorno in cui il Guardasigilli Angelino Alfano, alla Camera, strizza l'occhio all'opposizione, in particolare ad Antonio Di Pietro, e dice che si può "aprire un confronto su norme che vietino la candidabilità di persone che siano state condannate con sentenza passata in giudicato" e mentre il Senato, all'opposto, blocca la richiesta di arresti per il pidiellino Nicola Di Girolamo, ecco che si materializza il lodo Consolo, presentato per tempo l'8 maggio 2008, ma rimasto tra le proposte da valutare in commissione. All'improvviso esplode l'urgenza.


Con una legge che mette sullo stesso piano chi è ministro e ha commesso un reato nell'ambito delle sue funzioni, e quindi, in base all'articolo 96 della Costituzione, gode di una parziale tutela in quanto spetta alla Camera o al Senato dare il via libera all'indagine, con chi invece è pur sempre ministro, ma ha commesso un delitto nelle vesti di normale cittadino. Consolo pretende che il tribunale dei ministri trasmetta il fascicolo "con relazione motivata al procuratore della Repubblica per l'immediata rimessione al presidente della Camera competente".

Una surrettizia autorizzazione che verrebbe garantita a un comune cittadino giudicabile per un reato commesso in coincidenza con la funzione di ministro, ma al di fuori del suo lavoro di membro del governo. Un'indebita protezione ad personam, una sorta di invito a delinquere, perché tanto le Camere, come la storia cinquantennale dell'autorizzazione a procedere dimostra ampiamente, sono sempre pronte a negare ai giudici la possibilità di indagare.

domenica, settembre 21, 2008

EVASIONE FISCALE - LA MADRE DI TUTTI I MALI D'ITALIA

Ieri alcuni quotidiani sono usciti con questa notizia bomba sull'entità della evasione fiscale in base allo studio fatto da un'agenzia Krls Network of Business Ethics.

Tra questi ho scelto
RAINEWS24 e il CORRIERE DELLA SERA. Gli articoli hanno lo stesso contenuto e stesse cifre. Il totale della evasione arriva a €300 Miliardi annui con una dettagliata articolazione del fenomeno, che coinvolge perfino il crimine organizzato, ed è stata equiparata a più di dieci manovre finanziarie.

Una cosa inaudita ed unica rispetto ad altri paesi sviluppati che di fatto spiega la ragione che sta alla base delle difficoltà di questo nostro paese a diventare un paese normale come gli altri con i quali ci misuriamo.

É evidente che se non si risolve questo "problema" in modo serio e permanente, nessun altro problema potrà essere affrontato seriamente. Essendo questa la madre di tutti i mali, ne consegue che tutte le altre questioni dipendono direttamente dalla sua soluzione.

Il fenomeno è antico ed è ormai entrato nella "cultura" dei cittadini in particolare di coloro che stanno economicamente meglio, lo studio lo evidenzia. Lo Stato viene visto da questi come un "nemico" da combattere dimostrando che il loro "amore per la patria" in quanto “italiani” in realtà non esiste affatto.

Lo Stato, per parte sua, nella migliore delle ipotesi, fa poco per "giustificare" il prelievo e nella peggiore, lo ha “avallato” consentendo inauditi privilegi. Oscilla fra una timida lotta alla evasione ai più incredibili ed ingiusti condoni.

Per recuperare il terreno perduto c'è un lavoro enorme da fare, quasi al limite dell'impossibile, perchè si tratta di fare una seria lotta alla evasione che porti a "cambiare" la cultura di un popolo in particolare di quella parte che produce facendolo diventare "nazione".

Naturalmente per fare tutto questo bisogna cambiare registro. Ci vuole una classe politica autorevole di ambedue gli schieramenti al di fuori di ogni sospetto ed ineccepibile dal punto di vista sia della legalità che dell'amore di patria.

Purtroppo la classe politica attuale è al contrario troppo "screditata" per i troppi connubi e conflitti d'interesse da poter risolvere questo problema. Anzi, quella al governo, addirittura non lo pensa nemmeno!
Raffaele B.

RAINEWS24
La radiografia dell'evasione in Italia, mancati introiti per 300 miliardi di euro
Roma 20 settembre 2008

L'imponibile evaso in Italia e' di circa 300 miliardi di euro l'anno, mentre in termini di imposte dirette sottratte all'erario siamo nell'ordine dei 115 miliardi di euro. E' questa la stima calcolata da Krls Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it, elaborando dati ministeriali e dell'Istat.
Cinque sono le aree di evasione fiscale analizzate: l'economia sommersa, l'economia criminale, l'evasione delle società di capitali, l'evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese.

L'economia sommersa sottrae al fisco italiano un imponibile di circa 105 miliardi di euro l'anno, con un esercito di lavoratori in nero composto da circa 2 milioni di persone.
L'economia criminale realizzata dalle grandi organizzazioni mafiose avrebbe un giro di affari non 'contabilizzati' sui 120 miliardi di euro l'anno, con un'imposta evasa di 40 miliardi.
La terza area e' quella composta dalle società di capitali, escluse le grandi imprese, per le quali si stima un'evasione fiscale attorno ai 15 miliardi di euro l'anno.
La quarta area e' quella composta dalle big company: una su tre chiude il bilancio in perdita e non paga le tasse.
Inoltre il 92% delle big company abusano del 'transfer pricing' per spostare costi e ricavi tra le società del gruppo trasferendo fittiziamente la tassazione nei paesi dove di fatto non vi sono controlli fiscali sottraendo al fisco italiano 27 miliardi.

Infine c'e' l'evasione dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese dovuta alla mancata emissione di scontrini, di ricevute e di fatture fiscali che sottrae all'erario circa 8 miliardi di euro l'anno.

CORRIERE DELLA SERA
Evasione fiscale, 300 miliardi all'anno
20 settembre 2008
È l'ammontare dell'imponibile. Imposte dirette evase per 115 miliari di euro, 40 per la criminalità organizzata. Pari a dieci manovre finanziarie.

MILANO - Dieci finanziarie ogni anno. È l'ammontare dell'evasione fiscale in Italia: ogni anno circa 300 miliardi di euro di imponibile vengono sottratte all’erario. Di queste, l'evasione di imposte dirette è 115 miliardi di euro, l'economia sommersa sottrae 105 miliardi, la criminalità organizzata 40 miliardi e 25 miliardi chi ha il secondo o terzo lavoro. La stima è stata fatta da Krls Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it, Associazione contribuenti italiani, elaborando dati ministeriali e dell’Istat.

CINQUE AREE - Le aree di evasione fiscale analizzate nello studio sono cinque: l’economia sommersa, l’economia criminale, l’evasione delle società di capitali, l’evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese. I lavoratori in nero sono circa 2 milioni, di questi 800 mila sono dipendenti che fanno il secondo o il terzo lavoro (con un'evasione d’imposta di 25 miliardi di euro). La seconda area di evasione è quella dell’economia criminale realizzata dalle grandi organizzazioni mafiose che, in almeno tre regioni del Mezzogiorno, controllano buona parte del territorio. Il giro di affari della criminalità è di 120 miliardi di euro all’anno con un’imposta evasa di 40 miliardi di euro.

SOCIETÀ DI CAPITALI - La terza area è quella composta dalle società di capitali, escluso le grandi imprese: secondo i dati del ministero dell’Economia e delle Finanze, il 78% circa delle società di capitali italiane dichiara redditi negativi (52%) o meno di 10 mila euro (26%). In pratica su un totale di circa 800 mila società di capitali il 78% non versa quanto dovuto di imposte dirette. Si stima un’evasione fiscale attorno ai 15 miliardi di euro l’anno. La quarta area è quella composta delle big company. Una su tre chiude il bilancio in perdita e non paga le tasse. Inoltre il 92% delle big company abusano del «transfer pricing» per spostare costi e ricavi tra le società del gruppo trasferendo fittiziamente la tassazione nei Paesi dove di fatto non vi sono controlli fiscali sottraendo al fisco italiano 27 miliardi di euro. Infine c’è l’evasione dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese dovuta alla mancata emissione di scontrini, di ricevute e di fatture fiscali che sottrae all’erario circa 8 miliardi di euro l’anno. «Di fronte a un fenomeno così diffuso», afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it, «bisogna riformare la macchina dell’amministrazione finanziaria, puntare su interventi congiunti di tax compliance, incentivare i controlli da parte della Guardia di finanza ed estendere gli studi di settore a tutte le imprese».

sabato, settembre 20, 2008

BERLUSCONI - RICUSAZIONE NONOSTANTE L’IMMUNITÀ

La notizia pubblicata da ILGIORNALE (di proprietà di Paolo, fratello del Cavaliere) sul processo di corruzione in atti giudiziari che vede come imputati Berlusconi e l’avvocato inglese David, riporta insieme alla nomina dell’avvocato d’ufficio Chiara Zardi, anche della “ricusazione” del giudice Nicoletta Gandus in quanto di “sinistra” e “prevenuta” e del “lodo Alfano” che rende “immune” l’imputato n.1 Berlusconi e pertanto il processo per lui è al capolinea! (Scritto in rosso).

Nel commento di Giuseppe D’Avanzo pubblicato da
REPUBBLICA si “evidenzia” il comportamento del Cavaliere per la “apparente stranezza” della ricusazione del giudice dal momento che lui non può più essere processato. Il processo quindi, se non vi saranno altri intoppi, proseguirà per l’altro imputato David Mills come “corrotto”.

Cosa potrà succedere se il processo andrà avanti? Che verrà fuori la “verità processuale” sulla “corruzione”, sia per il “corrotto” e ovviamente per il “corruttore” Berlusconi. Questi non potrà essere “condannato” per via della sua legge ad-personam, ma perderà la “faccia” di fronte alla opinione pubblica nazionale ed internazionale! E questo non se lo può certamente permettere!

Il Cavaliere sapeva da tempo che la sua legge non gli poteva evitare la “figuraccia” da questo processo ed ecco perché la ricusazione del giudice. Con questa procedura egli conta di trasferire la decisione alla Cassazione nella speranza di affossare il processo con tutte le pressioni e i ricatti politici di cui sarà capace dalla sua posizione politica!

Ecco perché non è strano che il Cavaliere “ricusi” il giudice sebbene non possa essere giudicato. Così oltre alla immunità salva pure la faccia!
Raffaele B.

ILGIORNALE
Chiara: «Io, per un giorno avvocato di Berlusconi
di Luca Fazzo
sabato 20 settembre 2008
da Milano

A Milano ci sono diciassettemila avvocati. Mille sono iscritti all’albo dei difensori d’ufficio. Non tutti, con licenza parlando, sono giovani e carini. E non tutti sanno parlare davanti ad una telecamera senza inciampare, senza perdersi nelle subordinate e aggrovigliarsi nelle consecutio temporum. Insomma, da un punto di vista puramente statistico, le possibilità che i destini di Silvio Berlusconi e di una come Chiara Zardi si intrecciassero erano pari a zero.
Invece, poiché il caso segue strade imperscrutabili, alle dieci di ieri mattina accade l'imprevedibile. E il presidente del Consiglio si ritrova difeso d’ufficio, davanti ai giudici milanesi, da una ventottenne fresca di laurea e di modi. Che dice, naturalmente, di essere sbalordita davanti a quel che l’è capitato. Ma catapultata in mondovisione se la cava senza una sbavatura, una frase fuori luogo, un’incertezza. E quando le chiedono se diventerà anche lei parlamentare, lancia indietro la frangetta e sorride: «Non credo proprio, è stato solo un giorno di gloria».
Il processo è quello per corruzione in atti giudiziari che vede imputato Berlusconi insieme all’avvocato inglese David Mills. Un processo difficile, segnato da una serie di asprezze: prima tra tutte la ricusazione del giudice Nicoletta Gandus, presidente del Collegio, accusata dai difensori del Cavaliere di essere priva - vista la sua conclamata militanza a sinistra - della serenità necessaria a giudicare il premier. Il processo, almeno per quanto riguarda Berlusconi, dovrebbe essere al capolinea: l’entrata in vigore del «lodo Alfano», la legge che sospende i processi alle cariche principali dello Stato, lo congelerà fino al termine della legislatura. Ma è in questo ultimo scampolo di processo che si innesca l’entrata in scena di Chiara.
Ieri i difensori del premier, Nicolò Ghedini e Pietro Longo, sono impegnati in Parlamento. Al loro posto in aula c’è un giovane collaboratore, ancora privo dell’abilitazione a indossare la toga. Si tratta solo di fissare una nuova udienza. Ma, codice alla mano, il giudice Gandus stabilisce che anche questo semplice incombente non può avvenire se l’imputato non ha un difensore. E inizia la caccia al legale d’ufficio. Prima in aula. Poi nei corridoi. Infine attraverso il call center dell’Ordine degli avvocati.
È a questo punto che entra in scena Chiara. Appena ha passato gli esami, due anni fa, si è iscritta all’elenco dei difensori d’ufficio. È la gavetta di chi non ha alle spalle lo studio di papà. «Un lavoraccio», ammette lei. «Più che difendere gli imputati il nostro ruolo di solito è mercanteggiare la pena», dice senza ipocrisie. È un lavoro che si fa nei piani bassi del palazzo, nelle aule delle direttissime, difendendo imputati senza soldi, senza casa, spesso senza volto. Così quando ieri la chiamano e le dicono che c’è da difendere Berlusconi «ovviamente ho pensato a uno scherzo. Poi ho visto la cancelliera agitatissima e ho capito che stava parlando sul serio»...
CONTINUA

REPUBBLICA
E' la giustizia creativa, bellezza! (COMMENTO)
di GIUSEPPE D'AVANZO
19 settembre 2008

Berlusconi ha dimostrato a sufficienza quanto la sua personale, privatissima giustizia possa essere creativa: negli anni, non c'è stata "stazione" del processo penale che non ne sia stata sconvolta (il reato, i tempi di prescrizione, la pena, le prove, la procedura). Il "lodo Alfano" doveva essere, nelle intenzioni del mago di Arcore, il sortilegio finale. Nessuno processo per Iddu. Impunità piena. Ma il diavolo ci ha messo la coda e il processo a Berlusconi, imputato di aver corrotto il testimone David Mills, può riservare ancora qualche sorprendente esito.

La spina che affligge Iddu è questa: è vero, dopo la vergogna del "lodo Alfano", Berlusconi non può essere processato, ma Mills sì. E se i giudici dovessero concludere che corruzione c'è stata e il testimone si è lasciato corrompere, chi volete che sia il corruttore in un processo che vede al banco soltanto due imputati (Mills e Berlusconi) e un unico fatto da valutare (i 600 mila dollari finiti nei conti dell'avvocato d'affari inglese)? Berlusconi si sarebbe salvato da una condanna, ma non salverebbe la faccia. Con tutto quel che potrebbe significare per il suo futuro istituzionale e per la sua immagine internazionale.

Ecco perché, con una nuova mossa di "giustizia creativa", il drappello dei suoi avvocati-parlamentari pretende che il processo Mills "muoia" fuori dell'aula del tribunale, fuori dal processo, fuori da ogni rito conosciuto e praticato finora. Chiedono che i giudici chiudano la porta e se ne vadano a casa.

I consiglieri del mago sanno quel che accadrebbe se la luce in aula restasse accesa. I giudici dovrebbero, per il "lodo Alfano" sospendere il giudizio per Berlusconi e concluderlo per Mills (il processo di fatto è finito e prima di Natale ci potrebbe una sentenza); dovrebbero dare la parola sulla sospensione al pubblico ministero che proporrebbe l'incostituzionalità del "lodo". E, vista la ragionevolezza dell'obiezione (la legge non è uguale per tutti?), a decidere sarebbe la Consulta: altro rischio che il mago non vuole affrontare non fidandosi dei suoi trucchi. Per farla breve, tutto potrebbe tornare in alto mare con scenari, per il mago, poco tranquillizzanti.

Ecco allora che gli avvocati non si presentano in aula per inconsueti impegni parlamentari, nonostante sia venerdì. Lavorano a un piano e hanno bisogno di tempo. Ecco perché. Hanno presentato in Cassazione una richiesta di ricusazione contro il giudice di Milano, Nicoletta Gandus. Dicono: quella toga è prevenuta contro Berlusconi, non può giudicarlo, non è né serena né imparziale. La mossa è assai bizzarra. Se Berlusconi grazie al "lodo" non può essere giudicato, che senso ha chiedere la ricusazione del giudice?

Ma è la giustizia creativa, bellezza!

E' vero che la Gandus non giudicherà Berlusconi (accusato di essere il corruttore), ma potrebbe giudicare Mills (accusato di essere il corrotto). Screditare l'imparzialità del giudice dà al mago di Arcore la possibilità di svalutare la possibile condanna dell'avvocato d'affari inglese (che, al contrario, non ha mai ricusato il giudice).

Gli avvocati e consiglieri di Berlusconi puntano così a trasferire in Cassazione - e nel Palazzo - la battaglia per affondare il processo e salvare la faccia. Sulla decisione della Suprema Corte contano di far pesare il ricatto, tutto politico, della riforma della giustizia. Che, invece di risolvere le inefficienze e i ritardi del sistema penale e del processo civile, si occuperà in via prioritaria di giudici e pubblico ministeri e, soprattutto, del Csm di cui - minaccia il governo - andranno rivisti i compiti, il sistema elettorale, la sezione disciplinare e in definita, l'autogoverno della magistratura. E chissà che, dinanzi a tante pressioni, in Cassazione le eccellentissime toghe non convengano che sia meglio l'uovo oggi che la gallina domani. Bocciando il giudice di Milano e quindi anche la credibilità dell'eventuale condanna di David Mills.

giovedì, settembre 18, 2008

ALITALIA E IL PRINCIPIO DELL’ITALIANITÀ

Per la seconda volta Alitalia perde il “compratore” CAI che “abbandona” il tavolo del negoziato. Non intende più continuare le “trattative” come richiesto dalla CGIL e dalle altre sigle per cui questa volta il “NO” come risposta la da il CAI sfilandosi.

Trattative condotte con la “pistola alla tempia” a tutto il sindacato a cui avevano lasciato un'unica scelta: “firmare”, altrimenti ci sarebbe stato il “fallimento”. In queste condizioni non c’era alcuno spazio per negoziare e la firma, eventualmente messa, avrebbe avuto il valore di una “estorsione” consumata al livello dei solo rappresentanti sindacali.

Nel momento in cui la CGIL e le altre sigle (a differenza di altri) hanno chiesto altro tempo per discuterne con i lavoratori, per ottenere anche il loro consenso, il CAI “rinuncia”, tempo “scaduto” anche se la data ultima era il 30 set 2008.

La prima volta si è avuta l’abbandono di AirFrance-Klm nell’aprile scorso, vedi
ALITALIA – PRIMA PATATA BOLLENTE DEL CAVALIERE. Ma guarda, allora Berlusconi “sostenne” la CGIL e i piloti affinché “non firmassero”. Oggi invece li “accusa” di fare lo stesso con il CAI. Due pesi e due misure che denunciano la sua “doppiezza”.

Le responsabilità del fallimento dell’Alitalia, che si trascina da almeno un decennio, sono molte e si possono ascrivere alle tre categorie secondo l’ordine di gravità: 1) politiche, 2) manageriali e 3) sindacali.

Durante la “vera” trattativa con Air-France/Klm, furono certamente i sindacati ad “ostacolare” e questo fu una responsabilità “sindacale”. Ma in corso d’opera ci furono diverse “intromissioni” di Berlusconi ed altri, (si era in piena campagna elettorale), con dichiarazioni pubbliche “contro” la compagine francese “allontanandola” definitivamente, essendo il Cavaliere il nuovo capo del governo in-pectore, in base ai sondaggi molto favorevoli. Questo fu una responsabilità “politica”.

Così la trattativa falliva lo stesso anche se tutti i sindacati fossero stati d’accordo! Leggi sull’ANSA del 08-04-2008 dichiarazione di Berlusconi
E su Alitalia: finisca dissennata trattativa su Air France. Leggi sull’ANSA del 09/04/2008 Alitalia: Berlusconi, Ha risposto numero enorme imprenditori.

Se tutti i managers che si sono succeduti hanno fatto del loro “peggio” nel “distruggere” la compagnia, i politici hanno fatto ancora “peggio” “nominandoli” e pagati loro buonuscite da capogiro. In ultimo i sindacati a cui resta solo l’osso da rosicchiare.

Ora, la questione “politica” diventa ancora più centrale perché Berlusconi ha fatto dell’Italianità della compagnia un principio inderogabile altrimenti “perde” la faccia. La sua “famosa” cordata “italiana” non ha retto alla “sfida” di rifondare la compagnia di bandiera, nonostante fosse stata offerta loro solo la “polpa” scaricando sulla “collettività” tutti i “debiti”.

Air-France/Klm invece si sarebbe accollato tutto “rilanciando” la compagnia alla quale avrebbe lasciato il nome e la bandiera. A partire da qui sta la prima e grave colpa di Berlusconi e del suo governo. Pensiamoci bene!
Raffaele B.

REPUBBLICA
Alitalia, tre scenari per il dopo Fallimento, piano B o stranieri
(18 settembre 2008)
Cosa succede adesso che la cordata degli imprenditori italiani ha ritirato l'offerta? Ci sono almeno tre possibilità. La più catastrofica è il fallimento.
La risposta in pochi giorni. Fantozzi: "Voleremo finchè ci sono soldi"
Ma la compagnia perde due milioni di euro al giorno e le casse sono vuote

di CLAUDIA FUSANI

Il fallimento. Ipotesi più drammatica: Az, che perde due milioni di euro al giorno, sopravvive qualche giorno, magari anche qualche settimana, non si trova un'altra soluzione e il commissario Fantozzi deve portare i libri in tribunale. E' l'anticamera del fallimento, procedura che può durare anche un paio d'anni. Con la modifica delle legge Marzano, decisa in agosto dal governo proprio per il dossier Alitalia, il commissario potrà anche vendere isolatamente alcuni asset (punti di forza dell'azienda) come alcuni slot (rotte e orari). Insomma, una volta avviata la procedura, Alitalia sarà venduta a pezzi per avere i soldi per pagare i debiti con i fornitori.

Il piano B del premier. Governo e maggioranza continuano a dire che "un piano B non esiste". Anzi, per Berlusconi "siamo di fronte a un baratro". E ripete, come fa da almeno tre giorni: "Tutta colpa della Cgil". E però, vista come s'era messa la situazione fin dall'inizio di questa trattativa surreale, possibile che il Cavaliere non abbia una carta segreta da giocare? Qualcuno ci crede. O mostra di crederlo. Di certo non sembra possibile un rilancio Cai visto che oggi in meno di mezz'ora i dodici "capitani coraggiosi" hanno votato all'unanimità la rinuncia all'investimento. Insomma, una rinuncia affatto sofferta e forse decisa da giorni. Una nuova Cai, con altri imprenditori? In fondo adesso c'è già un piano industriale, un'offerta di contratto e una controproposta dei sindacati che ricalca i contratti delle compagnie straniere. Insomma, le cose sono molto più chiare, le carte in tavola e la maggior parte del lavoro è già fatto. Se qualcuno si affaccia per vederle sa già a cosa va incontro.

L'asse italo-tedesco. O italo-franco-olandese. O, ancora, con gli spagnoli di Iberia e con gli inglesi di British Airways. Insomma, lo scenario 3 prevede l'acquirente straniero. Vorrebbe dire portare le lancette dell'orologio indietro ad aprile, quando Spinetta stava per chiudere l'acquisto di Az da parte di Air France.

Oggi, appena un'ora dopo l'annuncio che Compagnia aerea italiana aveva rinunciato all'offerta, ai microfoni di Radiocor un portavoce di Lufthansa dice: "La compagnia considera molto interessante il mercato italiano e osserva con grande interesse" quanto succede in Italia. E' un'affermazione di qualche peso visto che finora Lh, Ba, Af-Klm non avrebbero mai manifestato interesse con il commissario Fantozzi. Va detto che la cordata Cai prevedeva il socio straniero solo in quota di minoranza. E che la tensione con i sindacati era altissima. Oggi, invece, tra le novità di una giornata al cardiopalma, c'è stato anche il fatto che i sindacati del cosiddetto fronte del no hanno detto sì a un contratto che ricalca quello di una di queste grandi compagnie. Insomma, se arriva un acquirente straniero adesso, trova la strada spianata. O quasi. E tutto sommato fa anche un buon affare.

Restano, però, due ostacoli, che sembrano insormontabili. Il primo: Berlusconi ha fatto dell'italianità di Alitalia una questione di principio. Può rinunciarci adesso che ha "perso"? Il secondo: un acquirente straniero fa un'offerta con la consapevolezza di contraddire il capo del governo? La soluzione per Alitalia passa una volta di più dal nodo della politica.

mercoledì, settembre 17, 2008

SCUOLA – MINISTRA GELMINI E IL MAESTRO UNICO

Ho pensato di inserire due commenti presi da un unico quotidiano il messaggero di cui il primo è di Giorgio Israel in “Maestro unico/1: una cura razionale” favorevole alla politica del ministro dell’istruzione Gelmini e l’altro di Vincenzo Cerami in “Maestro unico/2: così non va, solo indietro” totalmente contro la ministra.

L’idea di mettere a confronto due visioni opposte della scuola mi pare interessante perché permette di cogliere le sostanziali differenze fra i due opposti ragionamenti.

Il
primo commento si basa sull’attribuzione al solo personale docente “sindacalizzato” la colpa del cattivo stato della scuola ma non ancora allo sfascio solo grazie ad una quota di docenti eroi che <<continuano a concepire la loro professione come una missione educativa basata sulla trasmissione della conoscenza>> frase retorica in realtà per evitare di dire quelli “non sindacalizzati”. insomma docenti che non discutono mai le misure che i ministri (tutti) fanno sulla scuola. Obbediscono e insegnano! Inoltre non dice che la scuola è fondamentale per lo sviluppo del paese.

Il
secondo commento si basa sull’attribuzione alla politica (ai governi) la colpa maggiore del cattivo stato della scuola con continue “riforme” e “controriforme” ad ogni legislazione per cui tutte le politiche su di essa si sono dimostrate inadeguate. Si basa sul concetto che la scuola è la chiave di volta del paese che non può mai essere “definanziata” ma “finanziata” sempre nell’ambito della “razionalizzazione” beninteso per evitare gli sprechi, per meglio adeguare i propri standard che servono per vincere le sfide della competizione mondiale in un progresso che non si arresta mai, altrimenti si perde. Riconosce il diritto di critica da parte di tutti gli operatori della scuola sulle misure adottate dai governi, perché stare zitti se si pensa che siano sbagliate? Evidenzia che le ultime misure della ministra, quali il grembiulini, il voto in condotta e il maestro unico, peggiorano addirittura la situazione perché si fermano solo alla facciata del problema senza risolverlo. Infine rivaluta i valori e le differenze fra le persone perché portatrici di “cultura” contro una omologazione che è solo deleteria ed asservimento, cioè il suo contrario.

La scuola viene invece vista da questo governo e quindi dalla Gelmini come un “costo” da ridurre anziché un “investimento” da accrescere e per questo prevede una riduzione sostanziale dei fondi con la scusa di “razionalizzare” per eliminare gli “sprechi”. I soldi così “risparmiati” possono essere dirottati ad altre priorità quale per esempio la copertura dell’ICI abolita anzichè "reinvestirli" nella scuola!
Raffaele B.

ILMESSAGGERO
Maestro unico/1: una cura razionale (favorevole alla Gelmini)
di Giorgio Israel

ROMA (15 settembre) - L’anno scolastico si apre in una fase cruciale per il futuro della scuola italiana. È da augurarsi che prevalgano atteggiamenti razionali e costruttivi, che si prenda atto dei problemi anziché oscurarli con gli slogan, le fasce nere al braccio e le occupazioni di scuole. Si ripete ogni giorno che nessun paese come l'Italia ha tanti insegnanti mal pagati e frustrati. Non è razionale ignorarlo e chiedere altre infornate di precari.

L'era della scuola come ammortizzatore sociale è finita ed è irresponsabile tentare di perpetuarla. La nostra scuola è afflitta dal bullismo, dalla mancanza di disciplina e dal disordine. Non è razionale opporre alle misure del ministro Gelmini sul ripristino del voto in condotta, dei voti in pagella e del recuperi dei debiti formativi, il solito "ben altro servirebbe" , che si riduce a riproporre ostinatamente le ricette che hanno condotto all'attuale situazione. Grandinano sulla nostra scuola valutazioni negative che collocano a livelli molto bassi i nostri studenti, soprattutto per le conoscenze matematiche e linguistiche.

Nell'impossibilità di ignorare questi fatti, troppi si comportano come se dipendessero da tutto salvo che dalla scuola: per loro, è come se si trattasse degli effetti di una grandinata su un magnifico vigneto. Tutto ciò è ridicolo. I pessimi rendimenti della scuola italiana non sono effetto del destino cinico e baro.

È quindi da sperare che, di fronte ai provvedimenti presi dal Ministro Gelmini e da quelli che seguiranno ci si astenga da agitazioni inconsulte e irragionevoli; tanto più in quanto basta guardare ai sondaggi in rete dei maggiori quotidiani per constatare che questi primi provvedimenti ottengono gradimenti dall'80% al 90%. È inutile illudersi di essere maggioranza solo perché si strilla di più, parlare a sproposito di "rivolta delle famiglie", opporsi a tutti i costi avanzando quelle che Mario Pirani ha definito critiche "fastidiose e inconcludenti mosse in nome di uno slogan tipico degli eserciti destinati alla sconfitta: "indietro non si torna"". Quando "Famiglia Cristiana" accusa il Ministro di procedere senza dibattiti e confronti con il mondo della scuola, e senza consultare esperti, "solo con le competenze di casa sua, la madre e la sorella maestre" non soltanto ricorre a polemiche di infimo livello, ma rivela il vero intento: quel che si vuole non è tanto il dialogo quanto il continuare a considerare come referente principale e unico "competente" quel complesso sindacale-psico-pedagogico-docimologico che domina la scuola da trent'anni e che è responsabile del suo stato attuale. Altrimenti, si dice, "la scuola resterà, come diceva don Milani, un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati". Il fatto è che la scuola che cura i sani e rifiuta i malati è proprio quella di oggi, più di quella di ieri. Dopo aver predicato per decenni contro la "scuola di classe", essa è stata finalmente realizzata, appiattendo tutti verso il livello più basso anziché motivare tutti a elevarsi verso l'alto. In nome dell'interesse primario per il "malato" abbiamo creato una scuola dequalificata che lascia soltanto ai figli dei colti e dei ricchi la possibilità di andare avanti mentre i "malati" sono condannati a restare tali, se non ad ammalarsi più gravemente. È probabile che oggi don Milani, da persona intelligente e intellettualmente onesta, si metterebbe le mani nei capelli nel vedere a cosa ha condotto la demagogia egualitarista e prenderebbe le distanze dal "donmilanismo", a differenza chi si crogiola nel conservatorismo delle idee preconcette e degli interessi costituiti.

Il conservatorismo si nutre di slogan ripetuti ossessivamente senza riguardo ai fatti. Il più clamoroso di questi slogan è la formula secondo cui la scuola elementare italiana sarebbe una delle migliori del mondo e l'introduzione del maestro unico distruggerebbe il "fiore all'occhiello" della nazione. Si citano statistiche che proverebbero tale qualità, tra cui un recentissimo rapporto Ocse che, nel sottolineare la generale catastrofe della scuola italiana, salverebbe le primarie. Non si dice però che anche questo rapporto riguarda dati meramente strutturali e non ha preso in esame la qualità degli apprendimenti: che l'Italia investa nella scuola primaria più risorse della media Ocse è evidente (visto il numero di maestri!) e soltanto per questo si colloca in buona posizione. Ma ciò non dice nulla sui risultati di tali investimenti! Difatti, la stessa Ocse ha osservato che il vero problema è che i fondi sono spesi esattamente all'opposto di quanto fa la Corea del Sud dove vi sono meno professori e meglio pagati. E pure entro il quadro Ocse - le cui primarie sfigurano rispetto a quelle di diversi paesi emergenti - le classi elementari italiane hanno un numero di alunni inferiore alla media e tempi netti di insegnamento molto bassi.

Chi ripete lo slogan che la scuola primaria italiana è tra le migliori del mondo sfrutta la buona fede di chi crede che essa sia sempre la stessa e non sa che è stata rivoltata come un calzino dal 1985 in poi. Essa è piuttosto il fiore all'occhiello del pedagogismo dell'autoapprendimento, dell'"apprendere ad apprendere" in barba alle conoscenze, del "meglio una testa vuota ben fatta che una testa piena". È la scuola in cui non si insegnano i "fatterelli" della storia come ha scritto una maestra su questo giornale bensì si studia la linea del tempo, le dinamiche astratte dei processi storici, le "cause" del crollo degli imperi senza conoscere un solo impero reale. È la scuola in cui la geografia è studio astratto della "spazialità", analisi del "davanti", "dietro", "sopra" e "sotto" (orrendamente chiamati "indicatori topologici"). È la scuola in cui la matematica è ridotta a manipolazioni con disegni e colori. È una scuola frantumata in miriadi di "offerte formative" disparate: sicurezza, privacy, prevenzione incendi, progetti di canto, teatro, danza, fotografia ecc.
Si guardi inoltre al percorso formativo attuale di un maestro. Non sono pochi i corsi di laurea che permettono di diventare maestri seguendo una trentina di ore di matematica e di storia moderna (soltanto moderna), con casi limite in cui la matematica è opzionale rispetto a materie come la pediatria. La componente psicopedagogica è dilatata in modo esorbitante fino a occupare l'80% del corso di studio relegando la parte disciplinare alla misera quota restante. Così otterremmo maestri specializzati capaci di produrre un mirabile intreccio di competenze? In realtà, oggi noi formiamo psicopedagoghi dotati di un'evanescente infarinatura di conoscenze disciplinari. Per cui, la polemica contro il maestro unico "tuttologo" è priva di qualsiasi serio fondamento.

Va comunque detto che se la scuola italiana (non soltanto la primaria) non va a fondo del tutto è per merito di migliaia di insegnanti che continuano a concepire la loro professione come una missione educativa basata sulla trasmissione della conoscenza e che, non a caso, sono considerati da certi teorici dell' "apprendere ad apprendere" come il più grande ostacolo al dominio incontrastato delle loro fallimentari teorie.

ILMESSAGGERO
Maestro unico/2: così non va, solo indietro (contro Gelmini)
di Vincenzo Cerami

ROMA (15 settembre) - È innegabile che la nostra scuola ha urgente bisogno di sostanziali riforme per risalire la graduatoria europea che ci vede agli ultimi posti. Servono interventi strutturali capaci di restituire dignità e credibilità alle nostre aule scolastiche e alle nostre università. È impresa delicata perché sono in gioco il nostro futuro e la futura classe dirigente.

Tutte le politiche fin qui adottate si sono dimostrate inadeguate, e quest’ultima del Ministro Gelmini peggiora addirittura le cose. Le peggiora perché si ferma alla facciata del problema, non affronta la questione in senso risolutivo, rimandando alle calende greche una vera rinascita dell’istruzione pubblica italiana. In questi giorni, infatti, non si parla d’altro che di grembiulini e di maestro unico, come se fossero la panacea d’ogni male. È solo fumo negli occhi.

Alla notizia dei provvedimenti sul tavolo del governo che riguardano la scuola e l’Università, l’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, si è affrettata a chiedere in maniera netta e inequivocabile al Ministro Gelmini di tornare indietro nelle sue decisioni. Ci ricorda che pur occupando, nella classifica internazionale, il posto umiliante dopo il Cile, abbiamo forse le più funzionali ed eccellenti elementari del pianeta. Guai a toccarle. Tornare all’insegnante unico è andare indietro, per più ragioni. Oggi il mondo è più complesso e rapido rispetto all’epoca dei grembiulini col fiocco. Accanto alla didattica classica sono necessari gli insegnamenti dell’inglese e dell’informatica, ad alto livello. Difficile trovare in un unico docente tutte le conoscenze necessarie. Senza contare che bene fa ai bambini adeguare il proprio carattere alle diverse personalità degli insegnanti. Anzi, più maestri cambiano in aula, meno corrono il rischio di incappare in quello sbagliato, capace di far danni irreversibili, vista la tenera età della scolaresca. Non si vede poi come garantire il tempo pieno con i tagli pesantissimi al corpo docente. Sempre l’Ocse ci ricorda l’utilità di estendere al pomeriggio le attività pedagogiche. Se ne giovano i bambini, che possono approfondire il lavoro mattutino e imparare anche a convivere nella socialità. Se ne giovano le famiglie e specialmente le madri lavoratrici, visto che non sono costrette ad abbandonare l’impiego.

La messa in disparte di ben 87.000 insegnanti sembra più una vendetta che un provvedimento razionale, come se le colpe del mal funzionamento della scuola fosse tutta loro, individualmente. È una visione semplicistica e riduttiva del problema. Se molti docenti hanno difficoltà a fare il loro mestiere è perché sono carenti le strutture e i metodi; sono fatiscenti le scuole, specialmente in periferia. Non si può insegnare bene in una scuola che perde dignità e autorevolezza. Senza contare che le mitologie consumistiche della nostra società tolgono carisma e importanza al sapere. Difficile insegnare oggi ai ragazzi che nella vita ci sono valori più importanti del denaro. Non dimentichiamo l’inchiesta condotta tra le ragazzine delle medie, di cui il settanta per cento sogna di diventare una Velina per fidanzarsi con un Vip e fare la spesa con la sua carta di credito. La desolazione di valori in cui i ragazzi si trovano a vivere non ha come responsabile soltanto la scuola, ma anche le famiglie, la televisione, il mito dilagante della ricchezza. In quasi tutte le aule del Paese l’insegnante è più povero dello studente, e in una realtà dove il denaro è l’unica cosa che conta, quale potere di convinzione può mai avere l’insegnante? È un clima diverso che va instaurato nel nostro Paese. È necessario tornare a vergognarsi di essere ignoranti, e ridare speranze al futuro.

Una riforma della scuola non può essere separata da un’analisi accorta della società. Competitività e merito vanno portati in primo piano, guai a quella scuola che vuole omologare i ragazzi e renderli tutti uguali. In classe vanno esaltate le differenze, per accrescere il senso critico degli alunni. Come ha scritto opportunamente De Rita, bisogna rifondare la nostra scuola ricominciando da zero, altro che grembiulino e taglio di risorse. Non si abbia fretta, perché si fa peggio. Ma è certo che bisogna agire subito, con calma e oculatezza. Per non sbagliare un’altra volta.

martedì, settembre 16, 2008

OMICIDIO ABDUL – NON PUÒ CHE ESSERE RAZZISMO

Alla luce delle tragiche vicende di questi ultimi anni in particolare al nord, nel milanese appunto, come si può pensare di escludere il “razzismo” e “xenofobia” come veri moventi dell’uccisione del ragazzo italiano con la pelle scura?

Molti fatti lo dimostrano. Chi ricorda, solo negli ultimi due anni, si sono avuti:
l’incendio del campo rom di Opera alle porte di Milano, la caccia al clandestino sui mezzi pubblici, ai pestaggi in piazza Prealpi di ragazzini italiani ma con la pelle più scura, l’uccisione di una transessuale pestata a morte dopo un rapporto sessuale, fino alle discriminazioni istituzionali, come il divieto di iscrivere agli asili nido i figli di genitori immigrati non ancora in regola con il permesso di soggiorno. Tanti episodi che “alimentano” il clima razzista e xenofobo e di ossessione securitaria che ingigantiscono la paura e portano gli individui più “fragili” a credere di potersi fare giustizia da soli con l’approvazione della loro gente e delle loro autorità che tanto hanno puntato ed ancora puntano su questi “sentimenti” per lucrare voti. Leggi
Abdul, ucciso a sprangate per il colore della sua pelle su Carta.Blog

Fausto e Daniele Cristofoli potevano chiamare la polizia e tutto si sarebbe risolto in modo normale. Ma no invece hanno voluto farsi giustizia da soli! Il clima lo consente! Rincorrere i presunti “ladri” di biscotti o anche fosse per i soldi, come credevano, per “accopparli”, specialmente se negri. Una follia! A meno che non fossero mossi allo stesso tempo dall’odio e dall’idea dell’impunità che deriva dal clima medesimo!

Ne il
ILGIORNO si denuncia che essi continuavano a picchiare la vittima anche dopo che cadde. Se fosse provato cadrebbe miseramente la scusa dell’unico colpo sfortunato! Insomma pare che l’intera dinamica sia tutta da verificare, come sotto riportato AGI perfino che ci sia stato il furto!

Escludere il movente del “razzismo” fa parte del clima teso a non voler riconoscere il problema che esiste ed è sotto gli occhi di tutti. Il rifiuto di riconoscerlo significa almeno due cose:
1) non voler affrontare il problema
2) non volersi assumere la responsabilità della loro forsennata politica di esclusione.

A Milano c’è stato un sindaco leghista che, nel ’93, diede l’Ambrogino d’oro a tutte le vittime della strage di via Palestro, tranne una: il marocchino Driss Moussafir (non dimentichiamo il suo nome) dilaniato mentre dormiva su una panchina. E oggi c’è il sindaco Moratti, che ha cercato di cacciare dalle scuole i bambini immigrati, secondo lei «illegali». Leggi il commento
Il coraggio incivile sull’Unità sotto riportato.

Ancora la Moratti, sindaco di Milano non ha potuto che riconoscere la bestialità di tale atto, tanto che andrà a parlare con il padre della vittima in
Milano: Moratti, Incontrero' Il Padre Di Abdul su ASCA, ma tra le sue parole di condanna non vi è la parola “razzismo”.

Il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza
Riccardo De Corato su ASCA respinge con “sdegno” l’etichetta razzista alla città di Milano. Non è questa la realtà, dice. Ma qual è la realtà, allora? Quando non si voleva parlare di mafia si diceva che “parlandone” si faceva un torto alla Sicilia. È vero il contrario invece!

Infine dal
sondaggio ancora in corso del Corriere della Sera (giornale di Milano) sulla domanda :Abdul ucciso a Milano. Pensate che in Italia stia crescendo il razzismo? Sì =74.2% e No= 25.8%.
Raffaele B.
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ULTIMISSIMA DAL SOLE24ORE
Avvenire: «Aggressione razzista». I baristi «Solo paura»
17 settembre 2008 Paolo Crecchi

Ancora una volta, la Chiesa non ci sta. E se Famiglia Cristiana aveva evocato lo spettro fascista, parlando della nuova stagione politica italiana, stavolta scendono in campo i vescovi: il brutale assassinio di Abdul Guiebre, ha scritto ieri Avvenire, è razzismo eccome.

Una presa di posizione che sconfessa il coro di rassicurazioni intonato dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi, dal prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi, da una foltissima schiera di uomini politici e diretto, sembra incredibile, dal pm Roberta Brera. La quale ha soavemente spiegato di non aver concesso l’aggravante dell’odio razziale «perché un conto è dire sporco negro a uno mentre si sta sragionando per la rabbia, un conto è sprangarlo per il colore della sua pelle».

Dunque Fausto e Daniele Cristofoli, padre e figlio, stavano sragionando perché le ombre («negri? Sulle prime non ce ne siamo neanche accorti», hanno spiegato ieri al giudice per le indagini preliminari) si sono avventate su un pacchetto di biscotti e forse anche sull’incasso della nottata, lasciato inspiegabilmente in bella vista sul bancone. Non lo hanno preso, questo no, ma come potevano saperlo Fausto e Daniele? E dunque ecco l’inseguimento, gli insulti («negri di merda, adesso vi ammazziamo tutti e poi andiamo a scopare le vostre madri») e quindi le sprangate. «Una sola», si difende Daniele. «Legittima difesa», aggiungono i suoi avvocati. Difficile che il giudice accetti una simile giustificazione, ma l’accusa di omicio potrebbe essere derubricata da volontario a preterintenzionale: e chissà se reggerebbe a questo punto l’aggravante dei futili motivi, almeno quelli imputati alla coppia dal pm Roberta Brera. «Un furto è sempre un furto, no?», si sfoga amaro il padre di Abdul, Assane Guiebre: «Condanna a morte...».

«Ma non lo hanno ucciso per un pacco di biscotti», ha scritto Avvenire, che denuncia come sia stato il colore della pelle a scatenare la furia degli assassini: «Proprio per questa paura dello straniero che si respira qui e altrove occorre avere il coraggio di dire che il razzismo, con la file di Abdul Guiebre, c’entra».

Avrebbero infierito anche su un ragazzo milanese i due baristi? «Eccessiva», scrive l’organo dei vescovi, «quest’ansia di rassicurarsi che non è successo niente, il non voler vedere il segnale di un livido incanaglimento in una città che, una volta, per due pacchi di biscotti benevola avrebbe borbottato: ragazzo, va a lavura’».

In realtà, ancora domenica sera la signora Tina Cristofoli - moglie e madre dei due assassini - ribadiva come lei fosse ormai diventata «definitivamente razzista, perché degli immigrati non se ne può più: sporcano, rubano, sono strafottenti... Vadano a casa loro». Casa di Abdul era l’Italia, tuttavia, potendo vantare il ragazzo la cittadinanza italiana malgrado le radici affondassero nel Burkina Faso. Gli avvocati devono aver consigliato maggior prudenza alla signora Tina che ieri, dopo le prime ammissioni di rammarico, ha ulteriormente corretto il tiro: «Se potessi vorrei dire alla mamma del ragazzo ucciso che mi dispiace tantissimo. Non pretendo il perdono perché capisco che sia impossibile: mio figlio è ancora vivo e il suo no. Ma comprensione per quello che è successo... Se i ragazzi non fossero scappati sarebbe andata diversamente, è stata la fuga a scatenare la reazione».

Daniele, 31 anni, ha spiegato al gip di aver agito per difendere il padre Fausto, 51, curiosamente minacciato a duecento metri dal bar dove pensavano fosse avvenuto il furto: «Ho sferrato un colpo alla cieca, lui aveva davanti tre aggressori». E l’inseguimento, addirittura col furgone? «All’origine della tragedia - hanno spiegato i legali - c’era proprio il timore che fosse stato rubato l’incasso. C’è stata una rissa...».

Gli amici di Abdul, detto Abba, hanno fornito una ricostruzione diversa: «Siamo entrati nel bar e non c’era nessuno. Abba ha preso un pacchetto di Ringo, ma non l’ha nascosto: lo teneva in mano e l’avrebbe pagato se avesse visto i proprietari. Ma non c’era nessuno e allora sì, ce ne siamo andati... Neanche il tempo di uscire e hanno cominciato a gridarci negri di merda. Abbiamo reagito».

Reagito con il lancio di una bottiglia e la minaccia di un manico di scopa. Fausto e Daniele Cristofoli si sono lanciati all’inseguimento a bordo del furgoncino dal quale stavano scaricando le brioches. Abba è scivolato. Daniele lo ha colpito con la sbarra di ferro utilizzata per alzare e abbassare la saracinesca. Il ragazzo è entrato subito in coma, erano le sei del mattino, ed è morto all’ora di pranzo.

Il gip Micaela Curani deciderà domani se trattenere in carcere i due omicidi, ma il provvedimento cautelare appare probabile: sussiste il pericolo di fuga e né padre né figlio sono incensurati. Il primo, addirittura, ha scontato sette anni di reclusione per rapina a mano armata.

Resta inascoltato intanto l’appello del signor Assane a non trasformare la tragedia in una battaglia politica. Ma anche ieri è proseguito lo scambio di accuse tra centrodestra e centrosinistra, mentre proseguono le manifestazioni contro il razzismo. Il coordinamento dei collettivi studenteschi ha indetto un corteo per domani con partenza alle 9 da largo Cairoli. Il centro sociale Cantiere sta organizzando un secondo corteo per sabato. L’Associazione antirazzista invita per una manifestazione a Roma il 4 ottobre. Accuse al clima xenofobo arrivano pure dai sindacati confederali e dalle Acli milanesi.

Il centrodestra rigetta le accuse e replica imputando alla sinistra l’istigazione a «un odio gratuito», come ha ribadito il leghista Davide Boni. Probabile che i funerali di Abba si trasformino in una grande manifestazione: di certo l’uscita di Avvenire ha rotto il fronte del “non è successo niente”, e strappato ai nostalgici di falce e martello e agli antagonisti in genere il monopolio della protesta. Se i tre ragazzi fossero stati milanesi, ecco la convinzione che sta facendo breccia nel grande cuore lumbard, i due baristi non si sarebbero davvero accaniti così.
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ULTIMA DALL'ANSA ***
Avvenire: giovane ucciso, e' razzismo
'Avere il coraggio di dire che c'entra con la fine di Guiebre'
2008-09-16 13:06

(ANSA) - ROMA, 16 SET- Dietro l'assassinio di Abdul Guiebre, il giovane italiano di colore ucciso a Milano sabato notte, c'e' l'ombra del razzismo. Non ha dubbi il quotidiano Avvenire. La moglie dell'arrestato, nonche' madre dell'altro, avrebbe ammesso di essere razzista, e di esserlo diventata 'vedendo quello che succede nel quartiere'.'Proprio per questa paura dello straniero - osserva il giornale dei vescovi - occorre avere il coraggio di dire che il razzismo, con la fine di Abdul Guiebre, c'entra'.

ILGIORNO
RAGAZZO UCCISO / IL RACCONTO DELL'AMICO
"Abdul era steso a terra ma continuavano a picchiarlo"

Cernusco sul Naviglio, 16 settembre 2008 - Ripete gli insulti rivolti all’amico, ripercorre quel crescendo di violenza: "Hanno continuato a picchiarlo e insultarlo anche mentre era a terra, un occhio chiuso e uno aperto". Spiega che non sono stati loro i primi a colpire e che, alla vista delle spranghe, hanno cercato di difendersi con "le bottiglie trovate nel cestino dei rifiuti" e, alla fine, con "un manico di scopa trovato a terra". Ma senza successo.
CONTINUA

AGI
RAGAZZO UCCISO: DAL FURTO ALLA RISSA, TANTI I PUNTI DA CHIARIRE
(AGI) - Milano, 15 set. - Abdul Guibre sarebbe stato ucciso a sprangate perchè due baristi credevano avesse rubato l'incasso della serata e qualche pacco di biscotti. Non sarebbe morto perche' la sua pelle era nera. Restano tanti pero' i dubbi sulla ricostruzione di quanto accaduto domenica mattina, in via Zuretti, a Milano.

Tradotto in linguaggio giudiziario il quadro finora emerso e' che Fausto e Daniele Cristofoli, 51 e 31 anni, proprietari del bar milanese 'Shining', devono difendersi dall'accusa di concorso in omicidio volontario con l'aggravante dei futili motivi, ma non con quella dell'odio razziale.

Queste le prime conclusioni alle quali sono approdati gli investigatori che, tuttavia, per avere una prospettiva più nitida, attendono i risultati dell'autopsia e la visione dei filmati girati dalle telecamere delle banche e delle aziende vicine al luogo del delitto. Restano tanti i punti nebbiosi della vicenda. Anzitutto non e' certo che il furto ci sia stato davvero.

I Cristofoli, interrogati sia dal pm che dai poliziotti, dicono di avere visto Abdul e i due amici correre via con qualcosa tra le mani, ma il presunto bottino non e' stata trovato, tant'e' che i compagni della vittima non sono stati denunciati per furto. Quel che appare certo, stando ai racconti di padre e figlio, e' che i due hanno avuto la percezione di un furto, quando, mentre erano intenti alle operazioni di carico - scarico della merce dal loro chiosco mobile - hanno visto uscire quei ragazzi dal bar, senza averli scorti entrare. "I miei assistiti - ha rivelato l'avvocato, Marco Bolchini - non li avrebbero rincorsi se avessero creduto di essere stati derubati solo dei biscotti; li hanno inseguiti perchè avevano paura di aver perduto l'incasso della serata".

I soldi però non sono stati portati via. Altro aspetto poco chiaro e' la dinamica della rissa. Per Elisabetta Radici, l'altro legale dei commercianti, Abdul sarebbe stato colpito con un colpo soltanto, dall'asta di ferro usata per aprire e chiudere il chiosco di cui erano titolari.

Se davvero si fosse trattato di un sola sprangata, verrebbe dimostrata, e' l'argomento portato dagli avvocati, la non volontà di accanirsi sul ragazzo e ucciderlo. Un colpo sfortunato che, per il codice penale, potrebbe voler dire omicidio preterintenzionale e non volontario, qualora fosse stato sferrato nel corso di una rissa.

In proposito, bisognerà poi capire chi ha cominciato per primo a passare alle “vie di fatto” dopo una prima fase solo di insulti, tra cui anche quelli xenofobi. I ragazzi di origine africana hanno utilizzato come armi delle bottiglie e una scopa trovate nella spazzatura, i Cristofoli la spranga, ma i contendenti si attribuiscono a vicenda una mazza da baseball che, al momento, non si trova.

"L'ipotesi dell'eccesso di legittima difesa e', per ora, ancora tutta da maturare", puntualizza l'avvocato Radici, ma quella e' la strada per discolparsi che potrebbero seguire i due baristi.

Un percorso simile a quella che portò, in un'inchiesta dello stesso pm Roberta Brera, i gioiellieri Maiocchi, padre e figlio, a subire una condanna molto lieve per aver ucciso un ladro montenegrino che tentò una 'spaccata' nel loro negozio.

UNITA
Il coraggio incivile (Commento)
Maria Novella Oppo
16.09.08

A Milano non nascono i fiori, secondo una vecchia canzone. A Milano però nasce di tutto e non dal niente. A Milano c’è stato un sindaco leghista che, nel ’93, diede l’Ambrogino d’oro a tutte le vittime della strage di via Palestro, tranne una: il marocchino Driss Moussafir (non dimentichiamo il suo nome) dilaniato mentre dormiva su una panchina. E oggi c’è il sindaco Moratti, che ha cercato di cacciare dalle scuole i bambini immigrati, secondo lei «illegali». Ora, contro l’emergenza criminalità, ingiustamente assimilata all’immigrazione, ci sono perfino i soldati, mandati a farsi riprendere dalla tv proprio lì, dove è stato assassinato un ragazzo italiano, colpevole di essere nero. E il vicesindaco De Corato ha il coraggio incivile di andare in tv a dire che «parlare di razzismo a Milano è un’offesa per la città». Giusto la stessa reazione di chi, quando si parla di mafia, sostiene che si offende la Sicilia. Invece no, non si offende Milano dicendo la verità sui suoi amministratori che per anni hanno predicato e praticato il razzismo.

sabato, settembre 13, 2008

CARFAGNA - DOPPIA MORALITÀ SULLA PROSTITUZIONE

La ministra (nella foto) si erge a paladino della “morale” contro la “prostituzione” di strada come se quella nelle “case” invece fosse “moralmente” ineccepibile! Arriva perfino a dichiarare ai giornali che chi “vende” il proprio corpo lo fa “rabbrividire”. Non si era mai visto finora tanta doppiezza! Da quale pulpito arriva la lezione di tanta morale?

Cosa ha fatto la ministra fino a diventare quella che è oggi? Ha venduto le immagini del suo corpo nudo alle riviste e ai calendari guadagnando enormi somme! Molto di più di quanto guadagnano solitamente le prostitute di alto rango che “lavorano” in proprio.

Internet è pieno delle sue immagini! Vedi il
calendario della Carfagna oppure Mara Carfagna: ecco le immagini del calendario Max. Basta scrivere il nome della Carfagna in Google Immagini per vedere in numero pressoché illimitato di foto dello stesso tipo.

Chi può dire che vendere le immagini del proprio corpo nudo sia una cosa “diversa” dal vendere una prestazione sessuale? Si faccia avanti e lo dimostri! Dal punto di vista della “morale” è la stessa cosa! Ecco perché la stampa e i tabloid internazionali la coprono di ridicolo!

Se la ministra sentisse questa “contraddizione” dovrebbe dichiarare di “vergognarsi” in pubblico e dare le “dimissioni” per incompatibilità ed incompetenza. Ma non lo fa perché vive con questa doppia moralità come tutti i falsi moralisti.

Con la sua legge si colpisce solo la “prostituzione povera” spingendola all’interno delle “case” dove è più difficile combattere lo “sfruttamento” delle donne ridotte in schiavitù dai racket malavitosi. Inoltre si acuirà il problema delle carceri e della giustizia già al collasso.

Invece di puntare su politiche di prevenzione e di aiuto alle donne coinvolte nella prostituzione, si preferisce politiche “repressive” e “moraliste” che non hanno mai risolto questo problema da “secoli”.

Alla donna ministra quindi non interessa “salvare” la donna ma “occultare” la prostituzione per puro “impatto mediatico” agli occhi dei “benpensanti” (altri falsi moralisti) e forse qui tutto sommato “recupera” una certa “coerenza”.
Raffaele B.

ASCA
PROSTITUZIONE: CARFAGNA, CHI VENDE IL SUO CORPO MI FA RABBRIVIDIRE

(ASCA) - Roma, 11 set - ''Come donna impegnata in politica e nelle istituzioni la prostituzione mi fa rabbrividire, mi fa orrore, non comprendo chi vende il proprio corpo, ma mi rendo conto che il fenomeno esiste e che purtroppo non puo' essere debellato, come la droga e va contrastato''. Lo ha detto il ministro Mara Carfagna nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi presentando il ddl contro la prostituzione. Cer/dnp/alf

ILSOLE24ORE
Prostituzione: Times, il ministro Carfagna sotto tiro
di Elysa Fazzino 12 settembre 2008

Il sesso a pagamento è sempre un argomento popolare e la stampa straniera non si lascia sfuggire l’occasione di parlarne: il disegno di legge sulla prostituzione è una delle notizie dall’Italia oggi più presente sui siti esteri d’informazione.

Il Times di Londra sceglie di fare il titolo sulle critiche che l’iniziativa ha scatenato contro il ministro delle Pari Opportunità: «L’ex showgirl Mara Carfagna sotto tiro per legge anti-prostituzione». La corrispondenza di Richard Owen comincia con l’attacco sferrato dalla rappresentante delle prostitute contro il ministro Carfagna «per avere condannato le donne che vendono il proprio corpo». L’articolo del Times riferisce che il ministro ha spiegato di volere combattere le organizzazioni criminali che fanno profitti «osceni» riducendo le donne in schiavitù. Ma è la frase che censura chi vende il proprio corpo a suscitare polemica: Owen riporta la reazione «piuttosto stupita» di Carla Corso, fondatrice del comitato dei diritti delle prostitute: «Dopotutto – ha affermato la Corso - la signora ha usato il suo corpo per arrivare dove è arrivata, facendo calendari. Basta aprire internet per vedere le sue grazie».

Ai lettori britannici il Times ricorda che il ministro Carfagna (di cui c’è una foto) ha gareggiato per Miss Italia, è stata una modella topless e una showgirl della tv. Inoltre, ricorda la vicenda delle intercettazioni delle telefonate tra la Carfagna e Silvio Berlusconi, definite «erotiche» dai media italiani. Quanto al disegno di legge, cita gli apprezzamenti di alcune organizzazioni cattoliche, ma anche il giudizio della Caritas, secondo cui non farebbe che spingere la prostituzione all’interno nelle case. La legge – scrive Il Times – fa parte del giro di vite del governo Berlusconi contro il crimine e l’immigrazione illegale e arriva nel cinquantesimo anniversario dell’abolizione dei bordelli in Italia. «E’ la prima iniziativa importante di Ms Carfagna come ministro», conclude l’articolo - «Da quando ha assunto l’incarico ha parlato contro le unioni di persone dello stesso sesso, l’aborto e le aggressioni e ha detto che la sua priorità è di aumentare il tasso delle nascite dell’Italia, tra i più bassi d’Europa».

Del tutto diverso – e decisamente positivo - il tono del Daily Mail, che pubblica una foto del ministro Carfagna mentre fa il gesto della vittoria. «L’Italia colpisce la prostituzione con leggi dure per ripulire le strade e punire i magnaccia». Il governo Berlusconi – scrive il tabloid britannico - «apre un nuovo fronte nella sua battaglia contro il crimine». Dopo avere spiegato l’iniziativa il Daily Mail cita le lodi di un’organizzazione cattolica per il «coraggio» del ministro Carfagna. «La sua nomina aveva suscitato ilarità a causa del suo passato di showgirl», commenta l’articolo. «Ma la trentaduenne laureata in legge si è guadagnata elogi per le nuove leggi per proteggere le donne da abusi sessuali e aggressori».

Il Telegraph avverte nel titolo che la nuova legge punirà «prostitute, magnaccia e clienti», parla di norme «dure» e ricorda che il governo Berlusconi ha promesso «tolleranza zero» contro il crimine. Nell’articolo viene data voce anche alle critiche di Pia Covre, del comitato dei diritti delle prostitute, secondo cui la legge «punisce solo le lavoratrici del sesso, non i trafficanti di donne», il governo non fa che «spingere il problema nel sommerso», imprigionare le prostitute e i loro clienti aggraverà il sovraffollamento delle carceri.

Fa molta strada un lancio dell’agenzia Ap, «Il governo italiano potrebbe far diventare la prostituzione di strada un crimine». La notizia parte spiegando che con questa misura il governo si propone di smantellare i racket della prostituzione. «Attualmente in Italia la prostituzione è legale, ma lo sfruttamento della prostituzione è proibito». La storia è su numerosi siti esteri, tra cui quelli del francese Nouvel Observateur e degli americani UsaToday, Washington Post, International Herald Tribune, San Francisco Chronicle, Chicago Herald Tribune.

venerdì, settembre 12, 2008

RIFIUTI – BAVAGLIO SULLE CONFESSIONI DI UN BOSS

Questa notizia è stata pubblicata in “sordina” e nella più completa indifferenza come fosse una delle tante a cui siamo abituati a sentire. In realtà questa non è la solita notizia, è invece una notizia “drammatica” ed “inquietante” allo stesso tempo.

La procura di Napoli, anziché avviare accertamenti sulla base delle varie “denunce” di “reati” pubblicati dai giornalisti Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi dell”Espresso” sulle confessioni di Gaetano Vassallo rese alla Giustizia, si “scaglia” pesantemente con “perquisizioni” e “sequestri” di computer e documenti contro l’Espresso stesso e questi giornalisti “rei” di aver “rivelato” quelle confessioni alla opinione pubblica.

Le confessioni “dischiudono” una grossa “rete di protezione” di cui “gode” da più di 20 anni la criminalità organizzata sullo smaltimento illegale dei “rifiuti tossici” che tanto “devastano” il territorio campano “avvelenando” tutti i cittadini.

Le “tangenti” pagate a schiere di funzionari, di poliziotti, di finanzieri, amministratori e politici (tra cui il sottosegretario all’economia Nicola Cosentino del governo Berlusconi), tutti al soldo della camorra, garantivano quella “rete di protezione” che ancora continua sotto il naso di tutti noi cittadini.

La procura di Napoli non trova di meglio che “intervenire” su chi “denuncia” non su chi è “accusato” di reati. L’intendo è chiaro: si vuole intimidire il giornalismo d’inchiesta e far tacere per sempre queste voci fuori dal controllo politico, specialmente quando si fanno nomi di politici eccellenti.

Se invece di "combattere" la camorra e la corruzione, ci si "scatena" contro i giornali e giornalisti che “denunciano”, non abbiamo nessuna speranza che questo duplice cancro italiano possa un giorno venire “sconfitto”.
Raffaele B.

ITALIA-NEWS
Rifiuti, perquisite redazione e abitazioni giornalisti de L'Espresso
venerdì 12 settembre 2008

Sono durate tutta la giornata le perquisizioni della Guardia di Finanza di Napoli negli uffici del settimanale "L'Espresso". Sette ore in cui gli agenti hanno visionato e sequestrato documenti, computer e agende telefoniche dei giornalisti. Sono state perquisite anche le abitazioni di due giornalisti, Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi, autori dell'inchiesta che ha fatto partire l'ordine di perquisizione da parte della Procura di Napoli.
L'inchiesta di copertina del settimanale "Così ho avvelenato Napoli" contiene, infatti, le confessioni di un imprenditore, Gaetano Vassallo, in merito allo smaltimento dei rifiuti tossici in Campania per conto della camorra.
L'imprenditore, nella sua confessione, ha fatto nomi di funzionari, politici, sindaci e manager di enti locali.
La redazione de L'Espresso oltre ad esprimere la piena solidarietà ai due giornalisti, fa sapere che continuerà nel suo lavoro di corretta informazione ai suoi lettori, esercitando pienamente il suo diritto di cronaca.

UNITÀ
Inchiesta sui rifiuti, perquisita la redazione de L'Espresso
Pubblicato il: 12.09.08

Nell'ultimo numero de L'espresso si può leggere l'inchiesta «Così ho avvelenato Napoli». Il lavoro giornalistico, appena arrivato in edicola, assume però un risvolto giudiziario: sono state perquisite dai militari della Guardia di Finanza, la redazione del settimanale e le abitazioni dei giornalisti Gianluca Di Feo ed Emiliano Fittipaldi. La perquisizione, che ha portato al sequestro di computer e documenti, è stata disposta dalla procura di Napoli…
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*** IL REO ARTICOLO PUBBLICATO ***

ESPRESSO.REPUBBLICA
Così ho avvelenato Napoli
di Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi
11 settembre 2008

Le confessioni di Gaetano Vassallo, il boss che per 20 anni ha nascosto rifiuti tossici in Campania pagando politici e funzionari.

Temo per la mia vita e per questo ho deciso di collaborare con la giustizia e dire tutto quello che mi riguarda, anche reati da me commessi. In particolare, intendo riferire sullo smaltimento illegale dei rifiuti speciali, tossici e nocivi, a partire dal 1987-88 fino all'anno 2005. Smaltimenti realizzati in cave, in terreni vergini, in discariche non autorizzate e in siti che posso materialmente indicare, avendo anche io contribuito... Comincia così il più sconvolgente racconto della devastazione di una regione: venti anni di veleni nascosti ovunque, che hanno contaminato il suolo, l'acqua e l'aria della Campania. Venti anni di denaro facile che hanno consolidato il potere dei Casalesi, diventati praticamente i monopolisti di questo business sporco e redditizio. La testimonianza choc di una follia collettiva, che dalla fine degli anni Ottanta ha spinto sindaci, boss e contadini a seminare scorie tossiche nelle campagne tra Napoli e Caserta. Con il Commissariato di governo che in nome dell'emergenza ha poi legalizzato questo inferno.

Gaetano Vassallo è stato l'inventore del traffico: l'imprenditore che ha aperto la rotta dei rifiuti tossici alle aziende del Nord. E ha amministrato il grande affare per conto della famiglia Bidognetti, seguendone ascesa e declino nell'impero di Gomorra.

I primi clienti li ha raccolti in Toscana, in quelle aziende fiorentine dove la massoneria di Licio Gelli continua ad avere un peso. I controlli non sono mai stati un problema: dichiara di avere avuto a libro paga i responsabili. Anche con la politica ha curato rapporti e investimenti, prendendo la tessera di Forza Italia e puntando sul partito di Berlusconi.

La rete di protezione
Quando Vassallo si presenta ai magistrati dell'Antimafia di Napoli è il primo aprile. Mancano due settimane alle elezioni, tante cose dovevano ancora accadere. Due mesi esatti dopo, Michele Orsi, uno dei protagonisti delle sue rivelazioni è stato assassinato da un commando di killer Casalesi. E 42 giorni dopo Nicola Cosentino, il più importante parlamentare da lui chiamato in causa, è diventato sottosegretario del governo Berlusconi.

Vassallo non si è preoccupato. Ha continuato a riempire decine di verbali di accuse, che vengono vagliati da un pool di pm della direzione distrettuale antimafia napoletana e da squadre specializzate delle forze dell'ordine: poliziotti, finanzieri, carabinieri e Dia. Finora i riscontri alle sue testimonianze sono stati numerosi: per gli inquirenti è altamente attendibile.

Anche perché ha conservato pacchi di documenti per dare forza alle sue parole. Che aprono un abisso sulla devastazione dei suoli campani e poi, attraverso i roghi e la commercializzazione dei prodotti agro-alimentari, sulla minaccia alla salute di tutti i cittadini. Come è stato possibile?

"Nel corso degli anni, quanto meno fino al 2002, ho proseguito nella sfruttamento della ex discarica di Giugliano, insieme ai miei fratelli, corrompendo l'architetto Bovier del Commissariato di governo e l'ingegner Avallone dell'Arpac (l'agenzia regionale dell'ambiente). Il primo è stato remunerato continuativamente perché consentiva, falsificando i certificati o i verbali di accertamento, di far apparire conforme al materiale di bonifica i rifiuti che venivano smaltiti illecitamente. Ha ricevuto in tutto somme prossime ai 70 milioni di lire. L'ingegner Avallone era praticamente 'stipendiato' con tre milioni di lire al mese, essendo lo stesso incaricato anche di predisporre il progetto di bonifica della nostra discarica, progetto che ci consentiva la copertura formale per poter smaltire illecitamente i rifiuti".

Il gran pentito dei veleni parla anche di uomini delle forze dell'ordine 'a disposizione e di decine di sindaci prezzolati. Ci sono persino funzionari della provincia di Caserta che firmano licenze per siti che sono fuori dai loro territori. Una lista sterminata di tangenti, versate attraverso i canali più diversi: si parte dalle fideiussioni affidate negli anni Ottanta alla moglie di Rosario Gava, fratello del patriarca DC, fino alla partecipazione occulta dell'ultima leva politica alle società dell'immondizia.

domenica, settembre 07, 2008

ALEMANNO - FASCISMO TRA CINISMO E IDIOZIA

Affermare come fa Alemanno che furono le “leggi razziali” il male assoluto e non il “fascismo” come invece fece Fini nel recarsi in Israele 2003, dimostra o uno “smisurato cinismo” oppure una “assoluta idiozia” che disgiunge la causa dall’effetto.

Sarebbe come a dire che è l’arma il male e non invece l’assassino che lo usa! Una retorica tipica di una certa destra nostalgica che non vuole fare i conti fino in fondo con la storia.

Le “leggi razziali” furono emanate dal “fascismo” per usarle come arma di discriminazione e di sterminio. Quindi fu il “fascismo” l’autore e responsabile, nelle persone che lo costituivano e che lo appoggiavano anche “inconsapevolmente” e nessun altro.

Inoltre parlare di “cedimento” al “nazismo” germanico non diminuisce quella responsabilità ma anzi lo “aggrava” perché in più il fascismo “abdicò” in favore dei tedeschi consegnando loro (per collaborazione o per codardia non fa differenza) tutti i deportati, compresi i cittadini italiani destinati ai loro “forni crematori”.

Infine fu il fascismo di Mussolini, già al potere in Italia, ad aiutare il nazismo di Hitler a guadagnare il potere in Germania! Come si vede la storia “dimostra” in questo modo che la causa prima fu proprio il fascismo italiano!

Cosa vuole fare Alemanno? Revisionare la storia scambiando le cause con l’effetto? Sembra di si!
Raffaele B.


LASTAMPA
"Le leggi razziali un male assoluto, fascismo fenomeno più complesso"
7/9/2008

Il sindaco di Roma Alemanno in visita a Gerusalemme: «Molta gente aderì al progetto in buona fede»

MILANO
Le leggi razziali furono un male assoluto, il fascismo un fenomeno più complesso. Lo afferma il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a poche ore dalla visita al museo dell’Olocausto di Gerusalemme, dove si trova in pellegrinaggio con altri esponenti politici italiani. Nel febbraio del 2003 Gianfranco Fini, in procinto di recarsi in Israele, parlò del «fascismo come male assoluto», definizione criticata all’epoca proprio da Alemanno.

«Mi sembrava sbrigativo definirlo il male assoluto», spiega il primo cittadino della capitale. Un’affermazione «eccessiva» e «ingenerosa nei confronti di tanti che avevano aderito a quell’esperienza». Tuttavia, ricorda, «non criticai il viaggio di Fini». «Il fascismo fu un fenomeno più complesso» aggiunge. «Molte persone vi aderirono in buona fede e non mi sento di etichettarle con quella definizione. Il male assoluto sono le leggi razziali volute dal fascismo e che ne determinarono la fine politica e culturale».

Il perché lo precisa subito: «Fu un cedimento al nazismo e al razzismo biologico, che non era nelle corde iniziali del fascismo». In definitiva Alemanno appoggia la quella visita di Fini allo Yad Vashem. «Quella scelta, di dare un segnale così chiaro, è stata giusta. Ha contribuito a creare quella destra democratica che era mancata».

Comunità ebraica: "E' difficile separare le due cose "
«Le leggi razziali furono emanate dal regime fascista». Lo ha sottolineato il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, a Milano per la Giornata europea della Cultura Ebraica, a proposito delle dichiarazioni del sindaco di Roma Gianni Alemanno sulle leggio razziale definite «male assoluto». «Le leggi razziali sono state emanate dal regime fascista, convalidate dalla monarchia - ha detto Gattegna - quindi mi sembra difficile separare le due cose: ritengo che quando si tratta di argomenti così importanti è necessario anche essere molto cauti nelle dichiarazioni e più che singole frasi bisognerebbe approfondire la parte storica, gli avvenimenti e insegnare ai giovani questo passato tragico perchè non si ripeta mai più».


REPUBBLICA
Leggi razziali e fascismo
Irritazione ebraica per Alemanno

7 settembre 2008

Irritazione dopo le dichiarazioni del sindaco di Roma da Gerusalemme. Il presidente delle Comunità: "Mi sembra difficile separare le due cose"

Si accende la polemica dopo le dichiarazioni di Gianni Alemanno su fascismo e leggi razziali. Il sindaco di Roma, in visita in Israele con una delegazione politica italiana guidata dal presidente del Senato Schifani, ha rilasciato una intervista in cui condanna le leggi razziali, definendole il "male assoluto". Non così il fascismo. Il sindaco distingue la sua posizione da quella di Fini. Al giornalista del Corriere della Sera spiega: "Fu un fenomeno più complesso, caduto anche in seguito a quell'errore".
Una distinzione che non piace a molti esponenti della Comunità ebraica. Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche taglia corto: "Le leggi furono emanate dal regime fascista, mi sembra difficile separare le due cose. Bisogna essere cauti". Così Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, che taglia corto: "Le leggi razziali ci sono state perché c'è stato il fascismo".
Duro il Pd. "Alemanno smentisca", chiede più di un esponente.

venerdì, settembre 05, 2008

ELUANA ENGLARO E LA CONDANNA ALLA NON VITA

Di fronte ad un caso così drammatico ed allo stesso tempo così chiaro e lineare non si capisce l’assurda ostinazione di chi ancora si arroga il diritto di decidere per gli altri senza tenere conto nell’ordine né dal testamento di Eluana rappresentato dai genitori, né dalla scienza ed infine neppure dalla sentenza della magistratura.

Chi potrebbe mettere in discussione l’autenticità della volontà di Eluana che i genitori si affannano da 16 anni a far valere? Forse coloro che si oppongono ritengono di amarla più degli stessi genitori?

Chi potrebbe contestare il concetto scientifico della morte cerebrale riconosciuto da tutti? Recentemente l’Osservatore Romano ha tentato di rimetterla in discussione ma poi lo stesso Vaticano l’ha smentito! Quando l’encefalogramma è piatto dopo 6 ore (così recita la legge del 1970) non c’è più vita e reversibilità anche se il cuore continua a battere e il corpo a “vivere”. Sulla base di questo principio si possono donare gli organi per salvare altre vite recuperabili.

La magistratura l’aveva sentenziato e riconosciuto. "La libertà personale è intoccabile, intangibile. Deve esistere la libertà di vivere, non la condanna a vivere. La Cassazione lo ha detto bene, ha stabilito che si deve decidere ‘con’ Eluana, non ‘al posto’ né ‘per’. La scelta deve essere della persona, Eluana aveva fatto la sua. A 21 anni aveva una idea molto chiara di cos’è la vita…

Non si tratta di eutanasia perché il cervello di Eluana è morto da 16 anni e non può “sentire” più nulla. Solo l’alimentazione “artificiale” (non naturale) mantiene il suo corpo in uno stato “vegetativo” che perdura e che perdurerebbe ancora senza speranza e senza limiti oltre la sua stessa “morte”.

Credo che le istituzioni, qualunque possano essere le ragioni, non possono abbandonare questi genitori con il loro tremendo problema né impedire ad Eluana il suo definitivo riposo con una degna ed attesa sepoltura.
Raffaele B.

REPUBBLICA
I PADRONI DELLA VITA
di UMBERTO VERONESI
4 settembre 2008

L'ULTIMO NO a Eluana Englaro dalla Regione Lombardia contraddice la sentenza della magistratura, e l'editoriale dell'Osservatore Romano che avanza dubbi sulla morte cerebrale, riaprono il drammatico confronto su chi decide del nostro ultimo respiro.

La gente ha paura della propria morte, ma allo stesso tempo la vuole, o meglio vuole sapere che quando il momento verrà, se ne andrà in pace. Io sono d'accordo con il filosofo Hans Jonas, che, riflettendo sul problema della morte cerebrale, scrive: "Non è necessaria una ridefinizione della morte, ma forse soltanto una revisione del presunto dovere del medico di prolungare la vita ad ogni costo". Di fronte a un paziente che ha lesioni così gravi da non avere alcuna prospettiva di recupero, la domanda non è "il paziente è morto?" ma: "Che fare di lui?".

A questa domanda non si può certo rispondere con una definizione di morte ma con una definizione dell'uomo e di cos'è una vita "umana". In altre parole, il problema della nostra morte si è spostato dalla scienza (che ha il ruolo di definire i criteri per determinare la morte in base alle sue conoscenze) alla bioetica (che ha il compito di stabilire un equilibrio fra applicazione delle conoscenze della scienza e vita dell'uomo). La scienza continua a spostare i limiti della morte, ma al di là di questi confini non c'è la nostra esistenza naturale, in cui noi amiamo, ci emozioniamo, pensiamo, soffriamo; quella che noi medici difendiamo con tutte le nostre energie, la nostra intelligenza e il nostro amore.

C'è un limbo opaco e inquietante a metà fra la non-morte e la non-vita. Va ricordato che la bioetica è nata nel 1970 con Von Potter che, nel suo "Bioethics: a bridge to the future", sostiene che l'etica deve ispirarsi alla biologia dell'uomo e si dichiara preoccupato dello sviluppo di tecnologie che alterano gli equilibri dell'esistenza umana. Una tempesta si è abbattuta su questi equilibri con l'introduzione della vita artificiale, cioè quando a metà del secolo scorso sono state introdotte nei reparti di rianimazione delle macchine in grado di mantenere l'ossigenazione del sangue e il battito del cuore, anche se le funzioni cerebrali sono cessate.

Nasce così l'incubo della vita artificiale, come esito non voluto dei progressi della tecnologia. Per millenni l'uomo ha avuto paura di morire per le guerre, le malattie, le carestie, invece negli ultimi decenni ha iniziato a sviluppare una nuova paura che è ancora agli esordi del suo manifestarsi: la paura di vivere oltre il limite naturale della biologia. Molti si stanno rendendo conto della progressiva invasione della tecnologia nella vita umana fino a spostarne i confini all'infinito. Ha ragione l'Osservatore Romano: i principi del rapporto di Harvard che ha introdotto i criteri neurologici nella definizione di morte (da allora basata non solo sull'arresto cardiocircolatorio, ma anche sull'encefalogramma piatto), se non superati, sono in evoluzione. Troveremo altri criteri più sofisticati forse, e tecnologie ancora più potenti, ma dovremo allora rinunciare alla morte? È una prospettiva agghiacciante, che si associa all'immagine di un esercito crescente di corpi vegetanti chiusi nelle loro prigioni.

Come fare allora a ritrovare la nostra morte? Ritorniamo a Hans Jonas e riflettiamo sul concetto di vita. La svolta alla definizione di vita è venuta a fine '900, quando è stata identificata la vita biologica con il pensiero: se l'elettroencefalogramma è piatto, non c'è attività cerebrale e dunque non c'è vita. In Italia l'introduzione dei criteri neurologici per accertare la morte (sulla base dei parametri di Harvard) avvenne nel 1969 e nel 1970, con due decreti che poi vennero incorporati in una legge relativa al prelievo e al trapianto d'organo nel 1975.

Se i parametri di Harvard fossero superati e se effettivamente, dal punto di vista fisiopatologico, la morte cerebrale non provocasse la disintegrazione del corpo, ciò che non viene né superato né messo in discussione è l'irreversibilità dello stato che la morte cerebrale provoca. Per fare un esempio concreto pensiamo a Terry Schiavo, il caso americano che ha infiammato le cronache internazionali perché, dopo grandi polemiche, la sua vita artificiale fu interrotta. Ebbene, all'autopsia il cervello di Terry è risultato completamente devastato per cui è dimostrato che la ragazza non vedeva, non sentiva, non provava né fame né sete, né null'altro. La ricerca scientifica ci offre dei parametri certi, come appunto la morte cerebrale, oltre i quali la vita irreversibilmente non sarà mai più quella che noi conosciamo e chiamiamo vita. Dovrebbe spettare ad ognuno di noi decidere che fare.

QUOTIDIANO
Davanti a Eluana"Sei la più bella del mondo"
Con Beppino Englaro nella camera della figlia in coma da 16 anni: è dimagrita, ha i capelli corti e un sondino che la tiene in vita.
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