sabato, ottobre 31, 2009

STEFANO CUCCHI – UN ALTRO OMICIDIO DI STATO?

Come nel caso di Federico Aldrovandi avvenuto nel 2005 a Ferrara per il quale quattro poliziotti furono alla fine di una ‘lunga battaglia’ condannati a 3 anni e 6 mesi di reclusione per ‘eccesso colposo’ che però grazie all’indulto del 2006 non sconteranno la sentenza, leggi Wikipedia. Comunque se la famiglia non avesse ‘combattuto’ contro un muro di gomma il caso sarebbe stato archiviato come morte accidentale.

Anche questo caso stava per prendere la stessa ‘direzione’ ma di fronte all’insistenza della famiglia che è riuscita a coinvolgere i media ed internet divulgando le foto strazianti delle condizioni in cui era ridotto Stefano, ora la magistratura se ne occupa sebbene con una accusa contro ‘ignoti’ (ma non erano le forze dell’ordine che lo tenevano in custodia?) e l’interessamento di tutte le forze politiche, poi si vedrà quali effettivamente!

Sembra evidente, alla luce delle precedenti esperienze, che la vicenda potrà avere un esito ‘concludente’ e che si potrà arrivare all’accertamento della ‘verità’ solo se si manterrà viva l’attenzione dei media e della gente e di quelle forze politiche a cui stanno veramente a cuore il funzionamento della giustizia. Altrimenti finirà con un nulla di fatto ed i ‘colpevoli’ resteranno impuniti e dopo verrà il turno di qualcun altro.

Infatti il ministro
La Russa ha già la ‘certezza’ che i carabinieri non c’entrano! Ma allora se non sono stati loro che l’hanno arrestato, chi è stato? Se il ministro sa qualcosa lo deve dire! Molte persone ‘coinvolte’ in questo caso non ‘parlano’ oppure fanno a ‘scaricabarile’ di responsabilità. Anche qui c’è il muro di gomma da ‘superare’ altrimenti si aggiungerà un altro ‘mistero’ ai già tanti ‘misteri’ di omicidi ‘inspiegabili’ cui le forze dell’ordine e quindi lo Stato sono ‘implicati’.

Attenzione! Si raccomanda solo pubblico adulto per vedere le ‘
Le immagini del corpo di Stefano Cucchi’. Consiglio altresì di leggere questo articolo su l’Antefatto.
Raffaele B.

http://www.youtube.com/watch?v=4uBUwuB6S1E
cioccolatoevaniglia
28 ottobre 2009
I familiari di Stefano Cucchi: "Vogliamo sapere che cosa è successo"
"Vogliamo sapere che cosa è successo", il padre e la sorella di Stefano Cucchi, non si spiegano la morte del ragazzo di 31 anni, avvenuta in circostanze non chiare all'Ospedale Pertini di Roma dopo l'arresto per possesso di 20 gr. di marijuana. Rainews24

*** ULTIMISSIMA ***
ILSOLE24ORE
Caso Cucchi: i Nas al Pertini a prendere la cartella clinica
31 ottobre 2009

Il presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, Ignazio Marino, ha inviato i carabinieri del Nas al reparto destinato al ricovero dei detenuti dell'ospedale Pertini, dove è morto il detenuto Stefano Cucchi, per raccogliere tutta la documentazione disponibile presso il reparto stesso.

«La documentazione - ha sottolineato Marino - sarà messa a disposizione dell'ufficio di presidenza della commissione d'inchiesta per una prima istruttoria e mi auguro che dall'analisi del lavoro effettuato dai medici al momento del ricovero di stefano cucchi possano emergere elementi che aiutino a fare chiarezza su cosa sia realmente accaduto. Nei prossimi giorni la commissione deciderà anche se aprire formalmente un'inchiesta sulla vicenda dal punto di vista dell'efficienza, dell'efficacia e della qualità dell'assistenza medica.

Marino ha sottolineato che «si tratta di una tragedia che lascia sgomenti e anche per questo serve il massimo rigore nell'appurare la verità e tutte le eventuali responsabilità».
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L’UNITÀ
Stefano è stato assassinato. La Russa assolve i carabinieri
di Toni Jop
31 ottobre 2009
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«Omicidio preterintenzionale», l’ipotesi di reato è questa, l’ha formulata il pm romano Vincenzo Barba per chiarire le cause e le responsabilità della morte di Stefano Cucchi. Ma se Luigi Manconi non avesse sbattuto in faccia all’opinione pubblica questa vergogna, come sarebbe andata? Come tutte le altre volte, tutto si sarebbe spento con una notizia in cronaca. Invece, ecco la magistratura al lavoro, per ora contro ignoti. L’avvocato Fabio Anselmo si chiede perché «contro ignoti», dal momento che tutti gli spostamenti del ragazzo sono avvenuti in tempi certi e sempre sotto il «controllo» delle forze dell’ordine, quindi... Ma intanto si apre il fascicolo sotto lo sguardo di qualche milione di esseri umani che non si spiegano come sia possibile, oggi, finire i propri giorni tanto brutalmente - ieri le foto del corpo di Stefanohanno fatto il giro di mezzo mondo - tra le braccia dello Stato. Mentre dal roof garden politico e istituzionale del paese si alza un coro discretamente solidale: tutti vogliono chiarezza. Per ora pochi si chiedono perché dovesse stare in cella, in attesa di giudizio, un ragazzo che aveva in tasca un po’ di droga per uso personale.
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Nel coro, anche la voce di La Russa che tuttavia ci tiene a far sapere due cose. La prima: la sua convinzione «del comportamento corretto dei Carabinieri in questa occasione»; la seconda, meno elegante, è una precisazione a proposito della sua non competenza nel caso, dal momento che lui è ministro della Difesa e non dell’Interno o della Giustizia. Ma come sa che i carabinieri non c’entrano? Cosa sa? E se non sono stati i Cc, chi è stato?
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Sempre in area di maggioranza, Capezzone, il portavoce, trova il tempo di invocare che si evitino «i festival delle risse...e delle speculazioni» sulla sorte di un povero ragazzo morto «distrattamente » per cause naturali, come lascia intravvedere il referto del medico dell’ospedale Pertini di Roma. Ma aveva due vertebre rotte, il volto tumefatto, un occhio rientrato, segni di impatti violenti su tutto il corpo. E in sei giorni - tanto è durata l’agonia - non è riuscito a comunicare con un avvocato e nemmeno con la famiglia, tenuta in scacco per motivi che ora si possono solo immaginare e non sono commoventi. Un intero sistema ha operato con coerenza attorno alla morte di Stefano, a cominciare dalla legge attuale sulla tossicodipendenza. Ma chi lo ha ridotto in quelle condizioni? Torniamo indietro. La sera del 15 ottobre Stefano viene fermato dai carabinieri. All’una e trenta, con lui presente, perquisiscono l’abitazione di famiglia senza trovar niente di più di quel che già gli avevano sfilato dalle tasche. «Stava bene - ricorda la sorella Ilaria - e ci è stato detto di non preoccuparci, tanto sarebbe tornato a casa il giorno dopo, per così poco gli avrebbero dato i domiciliari ». Lo riportano via e lo ripresentano nell’aula del tribunale, a mezzogiorno. Lì, i famigliari constatano che il loro caro o è andato a sbattere contro un tir oppure...«Mio padre - spiega Ilaria - ha raccontato che aveva il viso gonfio e gli occhi tumefatti, irriconoscibile. Ma non gli ha chiesto nulla, quando se lo è trovato davanti, perché c’erano sempre i carabinieri accanto a lui e pensava che in poche ore sarebbe tornato a casa, lì avrebbe potuto chiarire cosa era successo ».
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Stefano viene visitato una prima volta alle 14 dello stesso giorno presso l’ambulatorio del Palazzo di Giustizia. Un arco di poche ore in cui stringere le indagini. Ma giusto ieri sera, il comandante provinciale dei Carabinieri Vittorio Tomasone ribadiva che «i Cc non hanno nulla a che fare con la morte del ragazzo e nemmeno con le ecchimosi», e rilanciava sostenendo che «noi lo abbiamo portato in tribunale dove ha parlato con il padre, dopodiché lo abbiamo consegnato agli agenti della polizia penitenziaria ». «Quindi - incalza l’avvocato Fabio Anselmo - vuol dire che l’hanno pestato il giudice e il Pm. Ci fa piacere che i Carabinieri dicano queste cose, noi non accusiamo nessuno, cerchiamo di vederci chiaro e non ce la facciamo, sa perché?», no, perché? «Il Pm non ci ha consegnato cartelle cliniche, niente foto dell’autopsia, si fa così?». Del resto, per tornare alla sensibilità del «sistema», conviene ricordare che la madre di Stefano ha saputo della morte del figlio solo quando è stata coinvolta nella procedura dell’autopsia. A nessuno era venuto in mente di non tenere in carcere un ragazzo epilettico con un po’ di droga in tasca e che aveva senza ombra di dubbio le ossa rotte. È diventato un caso nella piazza di Facebook, 12mila interventi on line. Capissimo che questa è la normalità, e non un caso.
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REPUBBLICA
Per la morte del giovane Aldrovandi poliziotti condannati a tre anni e 6 mesi
6 luglio 2009
I quattro agenti accusati di eccesso colposo nell'omicidio del ragazzo di 18 anni avvenuto nel 2005 a Ferrara. I genitori: "Volevamo che fossero restituiti rispetto e dignità a nostro figlio".
FERRARA - Il tribunale di Ferrara ha condannato a tre anni e sei mesi i
quattro poliziotti accusati di eccesso colposo nell'omicidio colposo di Federico Aldrovandi, il ragazzo di 18 anni morto il 25 settembre 2005 durante un intervento di polizia. Alla lettura della sentenza i genitori del ragazzo si sono abbracciati piangendo e in aula sono partiti applausi.

"Volevo che a mio figlio fossero restituiti giustizia, rispetto e dignità", ha detto il padre di Federico. "Mio figlio non era un drogato, era un ragazzo di 18 anni che amava la vita e che quella mattina non voleva morire". Sua moglie è sembra stata convinta della colpevolezza degli agenti: "Ci sono stati momenti in cui ho avuto paura che se la potessero cavare, ma in fondo ci ho sempre creduto. Ora quei quattro non devono più indossare la divisa".
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Inchiesta e processo hanno visto come parte fondamentale la famiglia Aldrovandi, la mamma Patrizia Moretti e il papà Lino, in prima linea per chiedere la verità, prima con il blog su Kataweb aperto nel gennaio 2006 e diventato uno dei più cliccati in Italia, poi lungo l'inchiesta e il processo, scanditi dalle perizie, dalla raccolta delle testimonianze, dalla ricostruzione faticosa delle cause della morte di Federico.
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Il pm Nicola Proto aveva chiesto condanne per tre anni e otto mesi a ciascuno dei quattro agenti. L'accusa è di aver ecceduto nel loro intervento, di non aver raccolto le richieste di aiuto del ragazzo, di aver infierito su di lui in una colluttazione imprudente usando i manganelli che poi si sono rotti. La parte civile, (Gamberini, Del Mercato, Anselmo e Venturi) ha ricostruito sotto quattro angolazioni diverse le difficoltà per raggiungere non la verità ma il processo stesso, sostenendo che la morte di Federico sia addebitabile alla colluttazione con gli agenti (nel corso della quale si ruppero due manganelli) e all'ammanettamento del giovane a pancia in giù con le mani dietro la schiena. Posizione che, secondo i loro consulenti, avrebbe causato un'asfissia posturale. A questa causa va aggiunta la tesi di un cardiopatologo dell'Università di Padova, il professor Thiene, secondo il quale il cuore avrebbe subito un arresto dopo aver ricevuto un colpo violento.

Per la difesa (Pellegrini, Vecchi, Bordoni, Trombini) l'agitazione del ragazzo quella mattina, prima e durante l'intervento di polizia, era dovuta all'effetto di sostanze assunte la notte prima al Link di Bologna con gli amici. Sostanze che lo avrebbe portato a uno scompenso di ossigeno durante la colluttazione. Tutte le difese hanno chiesto l'assoluzione piena degli imputati, che agirono rispettando le regole e il modus operandi previsto per interventi di contenimenti di persone fuori controllo (uso dei manganelli, metodo di ammanettamento e di contenzione o pressione sul corpo). Ancora oggi, tuttavia, nonostante l'intervento di oltre 15 tra i più affermati e riconosciuti esperti italiani (medico-legali, tossicologi, anestesiologi, cardiopatologi) non si è arrivati a chiarire con certezza le cause della morte.

Wikipedia
Il 6 luglio 2009 il tribunale di Ferrara, giudice Francesco Maria Caruso, ha condannato a tre anni e sei mesi i quattro poliziotti accusati di eccesso colposo nell'omicidio colposo di Aldrovandi. I quattro condannati, grazie all'indulto varato nel 2006, non sconteranno la loro pena.

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