CONTINUA L'AZIONE D'INGERENZA DEL VATICANO. QUESTA VOLTA TOCCA AI FARMACISTI.
IL PAPA ARRIVA AD INVITARE QUESTI A "RIFIUTARSI" DI FORNIRE LE MEDICINE RITENUTE "IMMORALI" DALLA CHIESA CATTOLICA AI PAZIENTI CHE LO RICHIEDONO CON LA NECESSARIA PRESCRIZIONE MEDICA.
SECONDO LA CHIESA SAREBBE “GIUSTO” RICONOSCERE ANCHE A COSTORO L'OBIEZIONE DI COSCIENZA RICONOSCIUTA AI MEDICI.
L'INVITO DELLA CHIESA SI ESERCITA IN MODO EVIDENTE COME STATO SOVRANO DEL VATICANO CHE CHIEDE AI CITTADINI DI UNA ALTRO STATO SOVRANO DI VIOLARE LA LEGGE IN VIGORE PER TRE ORDINI DI MOTIVI:
1. L'INVITO È FATTO AD UNA CATEGORIA DI FEDELI E NON A TUTTI I FEDELI
2. L'INVITO È A COMMETTERE UN ATTO ILLEGALE CONTRO LA LEGGE ATTUALE CHE LO VIETA E QUINDI CONTRO LO STATO ITALIANO
3. L'INVITO RAPPRESENTA ANCHE UNA PROPOSTA DI MODIFICA DI QUELLA LEGGE ARROGANDOSI UN DIRITTO POLITICO CHE NON PUÒ AVERE.
QUINDI NON PUÒ AGIRE COME "CHIESA" PERCHÈ ESSA PARLEREBBE A TUTTI I FEDELI SENZA DISTINZIONI DI CATEGORIE. NON ISTIGHEREBBE ALCUNI FEDELI A VIOLARE LA LEGGE ED INFINE NON SI FAREBBE PROMOTRICE DI UNA PROPOSTA DI LEGGE TRASFORMANDOSI IN UN SOGGETTO POLITICO.
PERCIÒ È CHIARO CHE NON PUÒ AGIRE COME CHIESA MA COME STATO SOVRANO CHE “INTERFERISCE” CON UN ALTRO STATO, PURE SOVRANO.
A TALE PROPOSITO SUGGERISCO LA LETTURA DELL'ARTICOLO DI MICHELE AINIS SUL LASTAMPA DAL TITOLO "Libera Chiesa in debole Stato". L'ARTICOLISTA FA UNA RICOGNIZIONE STORICA DELLA NASCITA DEGLI STATI NAZIONALI A CAUSA DELLA SEPARAZIONE DEL POTERE POLITICO DA QUELLO RELIGIOSO CON LA LOTTA DELLE INVESTITURE (1057-1122). IN PRATICA SENZA L’EMANCIPAZIONE DALLA RELIGIONE NON POTREBBERO ESISTERE GLI STATI NAZIONALI. INOLTRE LA CHIESA CATTOLICA È L’UNICA RELIGIONE IL CUI VERTICE, IL PAPA, È POSTO A CAPO DI UNO STATO.
Raffaele B.
RAINEWS24
Benedetto XVI ai farmacisti: obiezione di coscienza su aborto e eutanasia.
Federfarma: non e' attuabile
Citta del Vaticano 29 ottobre 2007
L'obiezione di coscienza dei farmacisti è un "diritto riconosciuto" quando si tratti di fornire medicine "che abbiano scopi chiaramente immorali, come per esempio l'aborto e l'eutanasia". Lo ricorda Benedetto XVI, chiedendo che i farmacisti, importanti "intermediari tra i medici e i pazienti" "facciano conoscere le implicazioni etiche dell'uso di alcuni farmaci".
"In questo campo - afferma il Papa - non è possibile anestetizzare le coscienze, per esempio circa gli effetti di molecole che hanno lo scopo di evitare l'annidamento di un embrione o di cancellare la vita di una persona".
Papa Ratzinger lo ha detto nell'udienza concessa ai partecipanti al congresso internazionale dei farmacisti cattolici, rimarcando che "il farmacista deve invitare ciascuno a un sussulto di umanita', perche' ogni essere sia protetto dalla concepimento fino alla morte naturale e perche' i farmaci svolgano davvero il proprio ruolo terapeutico".
Nel suo discorso, Papa Ratzinger ha esortato a combattere la mentalita' che "anestetizza le coscienze per esempio sugli effetti delle molecole che hanno come scopo quello di non permettere l'annidamento (e lo sviluppo) dell'embrione o di abbreviare la vita di una persona". "Il farmacista - ha sottolineato - deve invitare ciascuno a un sussulto di umanita' perche' la vita umana sia difesa dal concepimento alla morte naturale".
Rivolgendosi ai partecipanti al Congresso Internazionale dei Farmacisti cattolici, Benedetto XVI ha affrontato anche il problema del progresso della medicina, che porta grandi benefici ma talvolta espone i pazienti ai rischi di una incontrollata sperimentazione. "Nessuna persona - ha scandito - puo' essere utilizzata in maniera sconsiderata come un oggetto per realizzare sperimentazioni terapeutiche che devono svilupparsi secondo protocolli rispettosi delle norme etiche fondamentali".
Reazione di Federfarma: obiezione di coscienza non è attuabile
Immediata la risposta del segretario di Federfarma, Franco Caprino. I farmacisti, dice, hanno "l'obbligo di garantire ai cittadini di trovare in farmacia i medicinali prescritti dal medico", così come è previsto dalla legge. "Secondo Caprino, quindi, l'obiezione di coscienza per i farmacisti non è attuabile - conclude - poiché costringerebbe i cittadini ad aprire una vera e proprio caccia alle farmacie dove è possibile reperire il farmaco in questione".
LASTAMPA
Libera Chiesa in debole Stato
Troppe le ingerenze vaticane nella politica italiana
MICHELE AINIS Martedì 30/10/07
Negli ultimi tempi la laicità si è trasformata in un prezzemolo buono per ogni salsa. Ma se tutti sono laici, allora questa parola non significa più nulla: tanto varrebbe sbarazzarsene. È una tentazione irresistibile, davanti alle acrobazie verbali che ci consegna l’esperienza. Nel dibattito pubblico ricorre l’appello verso una «sana» laicità pronunziato da Benedetto XVI e dai suoi predecessori; ma ricorre inoltre, e per esempio, il monito col quale un capo dello Stato (Scalfaro) definisce «sacra» la laicità delle istituzioni, che è un po’ come dichiarare ateo il Padreterno. Insomma abbiamo in circolo pontefici laici e presidenti ieratici. D’altra parte, «laos» era in origine il popolo di Dio; evidentemente stiamo riportando a nudo le radici.
In realtà queste radici hanno alimentato lo sviluppo degli Stati nazionali. Perché lo Stato nasce laico, o altrimenti non sarebbe nato. Nasce quando il potere politico divorzia da quello religioso, attraverso un processo storico che ha origine nella Lotta delle Investiture (1057-1122), trova la sua prima sistemazione teorica nella dottrina dello Stato di Thomas Hobbes, viene poi codificato dalla Costituzione francese del 1791, quando la libertà di fede sancisce la definitiva emancipazione dello Stato rispetto alla cura degli affari religiosi. Come diceva Locke, la salvezza delle anime non ricade fra i compiti dello Stato. Sicché la laicità si risolve in un’indicazione puramente negativa, che vieta alla legge di farsi contaminare da valori religiosi. Evoca il «muro» fra Stato e chiese di cui parlava Jefferson, e ripete in qualche modo il verso di Montale: «codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».
Questa idea si specchia nell’articolo 7 della Costituzione italiana, che dichiara l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa. Al contempo, esso riconosce la sovranità della Chiesa cattolica, e perciò la riconosce come Stato. Uno Stato enclave, ma pur sempre uno Stato, che intrattiene relazioni diplomatiche con 176 Paesi. Insomma il cattolicesimo è l’unica confessione religiosa il cui organo di governo è posto al vertice d’uno Stato sovrano. Ma dal fatto che la Santa Sede sia uno Stato derivano vincoli e divieti. A una garanzia in più (e quale garanzia!) fa da contrappeso un limite in più. Quindi se un monaco buddista o un rabbino ebreo possono ben intervenire sulle vicende legislative della Repubblica italiana, non può farlo il Vaticano. Qui, difatti, non viene in campo la libertà di religione. Non viene in campo una questione di diritto costituzionale, bensì una questione di diritto internazionale. Quando non i parroci, ma il governo stesso della Chiesa attraverso la Cei invita per esempio a disertare un referendum, è come se a pronunziare quell’invito fosse il presidente francese Sarkozy. E la reazione dovrebbe essere affidata ai nostri rappresentanti diplomatici, se vogliamo prendere sul serio l’articolo 7.
D’altronde, che accadrebbe se il premier italiano si scagliasse contro i principi che governano il diritto della Chiesa? Gli argomenti, diciamo così, non mancherebbero. Il diritto canonico non conosce la separazione dei poteri, dato che il Pontefice è al vertice del potere legislativo, esecutivo, giudiziario: una concentrazione che a suo tempo Cavour aveva definito come «il più schifoso despotismo». Non conosce il suffragio universale per la preposizione alle cariche ecclesiastiche. Non conosce la certezza del diritto, sepolta da un sistema di dispense e privilegi. Non conosce la libertà di culto, giacché qualunque offesa alla religione cattolica riveste la natura di reato. Non conosce la regola della maggiore età, dal momento che le leggi ecclesiastiche obbligano tutti i battezzati che abbiano compiuto 7 anni. Non conosce il principio d’eguaglianza fra i sessi, negando il sacerdozio femminile. Ma neppure lo riconosce all’interno del sesso maschile, dato che laici e chierici hanno una differente capacità giuridica, dato che i diritti politici restano in appannaggio ai sacerdoti, e dato infine che questi ultimi sono una casta con proprie norme, sanzioni, tribunali.
In breve, la Chiesa è retta da un ordinamento dove il potere politico coincide con quello religioso, e dove vengono smentite le più elementari regole dello Stato di diritto. Eppure da quel pulpito piovono scomuniche e indirizzi per condizionare la vita pubblica italiana. Basterà rievocare un episodio: il 16 marzo scorso Benedetto XVI ha esortato all’obiezione di coscienza in difesa della vita non solo farmacisti e medici, ma anche i giudici italiani. Sennonché i giudici - afferma la Costituzione - «sono soggetti soltanto alla legge»; l’unica obiezione di coscienza che viene loro consentita è impugnare la legge per incostituzionalità. Se potessero rifiutarsi di rendere giustizia appellandosi ai propri umori e amori personali, verrebbe scardinato non tanto lo Stato di diritto, bensì lo Stato in sé e per sé, l’ordine civile.
Tuttavia le nostre istituzioni hanno risposto, ancora una volta, col silenzio. Un silenzio complice, non soltanto perché la degenerazione d’un regime democratico in regime clericale (diceva Salvemini) avviene gradualmente, e te ne accorgi quando si è già consumata; non soltanto perché altrove i governi reagiscono con una protesta diplomatica, come ha fatto Zapatero nel 2005, dopo la scomunica ecclesiastica dei matrimoni gay; ma infine perché tale atteggiamento implica una cessione di sovranità. Peraltro in molti casi gli interventi della Santa Sede vengono sollecitati proprio da chi ci rappresenta: è accaduto in agosto, quando Prodi ha chiesto l’aiuto della Chiesa per far pagare le tasse ai cittadini, ottenendo una dichiarazione del segretario di Stato vaticano. Appelli come questo rivelano tutta la debolezza della classe politica italiana, ma il loro effetto è legittimare le istituzioni di uno Stato straniero all’esercizio d’un anomalo ruolo di supplenza sulle nostre istituzioni. Che perciò si spogliano della propria laicità, e insieme della propria sovranità.
IL PAPA ARRIVA AD INVITARE QUESTI A "RIFIUTARSI" DI FORNIRE LE MEDICINE RITENUTE "IMMORALI" DALLA CHIESA CATTOLICA AI PAZIENTI CHE LO RICHIEDONO CON LA NECESSARIA PRESCRIZIONE MEDICA.
SECONDO LA CHIESA SAREBBE “GIUSTO” RICONOSCERE ANCHE A COSTORO L'OBIEZIONE DI COSCIENZA RICONOSCIUTA AI MEDICI.
L'INVITO DELLA CHIESA SI ESERCITA IN MODO EVIDENTE COME STATO SOVRANO DEL VATICANO CHE CHIEDE AI CITTADINI DI UNA ALTRO STATO SOVRANO DI VIOLARE LA LEGGE IN VIGORE PER TRE ORDINI DI MOTIVI:
1. L'INVITO È FATTO AD UNA CATEGORIA DI FEDELI E NON A TUTTI I FEDELI
2. L'INVITO È A COMMETTERE UN ATTO ILLEGALE CONTRO LA LEGGE ATTUALE CHE LO VIETA E QUINDI CONTRO LO STATO ITALIANO
3. L'INVITO RAPPRESENTA ANCHE UNA PROPOSTA DI MODIFICA DI QUELLA LEGGE ARROGANDOSI UN DIRITTO POLITICO CHE NON PUÒ AVERE.
QUINDI NON PUÒ AGIRE COME "CHIESA" PERCHÈ ESSA PARLEREBBE A TUTTI I FEDELI SENZA DISTINZIONI DI CATEGORIE. NON ISTIGHEREBBE ALCUNI FEDELI A VIOLARE LA LEGGE ED INFINE NON SI FAREBBE PROMOTRICE DI UNA PROPOSTA DI LEGGE TRASFORMANDOSI IN UN SOGGETTO POLITICO.
PERCIÒ È CHIARO CHE NON PUÒ AGIRE COME CHIESA MA COME STATO SOVRANO CHE “INTERFERISCE” CON UN ALTRO STATO, PURE SOVRANO.
A TALE PROPOSITO SUGGERISCO LA LETTURA DELL'ARTICOLO DI MICHELE AINIS SUL LASTAMPA DAL TITOLO "Libera Chiesa in debole Stato". L'ARTICOLISTA FA UNA RICOGNIZIONE STORICA DELLA NASCITA DEGLI STATI NAZIONALI A CAUSA DELLA SEPARAZIONE DEL POTERE POLITICO DA QUELLO RELIGIOSO CON LA LOTTA DELLE INVESTITURE (1057-1122). IN PRATICA SENZA L’EMANCIPAZIONE DALLA RELIGIONE NON POTREBBERO ESISTERE GLI STATI NAZIONALI. INOLTRE LA CHIESA CATTOLICA È L’UNICA RELIGIONE IL CUI VERTICE, IL PAPA, È POSTO A CAPO DI UNO STATO.
Raffaele B.
RAINEWS24
Benedetto XVI ai farmacisti: obiezione di coscienza su aborto e eutanasia.
Federfarma: non e' attuabile
Citta del Vaticano 29 ottobre 2007
L'obiezione di coscienza dei farmacisti è un "diritto riconosciuto" quando si tratti di fornire medicine "che abbiano scopi chiaramente immorali, come per esempio l'aborto e l'eutanasia". Lo ricorda Benedetto XVI, chiedendo che i farmacisti, importanti "intermediari tra i medici e i pazienti" "facciano conoscere le implicazioni etiche dell'uso di alcuni farmaci".
"In questo campo - afferma il Papa - non è possibile anestetizzare le coscienze, per esempio circa gli effetti di molecole che hanno lo scopo di evitare l'annidamento di un embrione o di cancellare la vita di una persona".
Papa Ratzinger lo ha detto nell'udienza concessa ai partecipanti al congresso internazionale dei farmacisti cattolici, rimarcando che "il farmacista deve invitare ciascuno a un sussulto di umanita', perche' ogni essere sia protetto dalla concepimento fino alla morte naturale e perche' i farmaci svolgano davvero il proprio ruolo terapeutico".
Nel suo discorso, Papa Ratzinger ha esortato a combattere la mentalita' che "anestetizza le coscienze per esempio sugli effetti delle molecole che hanno come scopo quello di non permettere l'annidamento (e lo sviluppo) dell'embrione o di abbreviare la vita di una persona". "Il farmacista - ha sottolineato - deve invitare ciascuno a un sussulto di umanita' perche' la vita umana sia difesa dal concepimento alla morte naturale".
Rivolgendosi ai partecipanti al Congresso Internazionale dei Farmacisti cattolici, Benedetto XVI ha affrontato anche il problema del progresso della medicina, che porta grandi benefici ma talvolta espone i pazienti ai rischi di una incontrollata sperimentazione. "Nessuna persona - ha scandito - puo' essere utilizzata in maniera sconsiderata come un oggetto per realizzare sperimentazioni terapeutiche che devono svilupparsi secondo protocolli rispettosi delle norme etiche fondamentali".
Reazione di Federfarma: obiezione di coscienza non è attuabile
Immediata la risposta del segretario di Federfarma, Franco Caprino. I farmacisti, dice, hanno "l'obbligo di garantire ai cittadini di trovare in farmacia i medicinali prescritti dal medico", così come è previsto dalla legge. "Secondo Caprino, quindi, l'obiezione di coscienza per i farmacisti non è attuabile - conclude - poiché costringerebbe i cittadini ad aprire una vera e proprio caccia alle farmacie dove è possibile reperire il farmaco in questione".
LASTAMPA
Libera Chiesa in debole Stato
Troppe le ingerenze vaticane nella politica italiana
MICHELE AINIS Martedì 30/10/07
Negli ultimi tempi la laicità si è trasformata in un prezzemolo buono per ogni salsa. Ma se tutti sono laici, allora questa parola non significa più nulla: tanto varrebbe sbarazzarsene. È una tentazione irresistibile, davanti alle acrobazie verbali che ci consegna l’esperienza. Nel dibattito pubblico ricorre l’appello verso una «sana» laicità pronunziato da Benedetto XVI e dai suoi predecessori; ma ricorre inoltre, e per esempio, il monito col quale un capo dello Stato (Scalfaro) definisce «sacra» la laicità delle istituzioni, che è un po’ come dichiarare ateo il Padreterno. Insomma abbiamo in circolo pontefici laici e presidenti ieratici. D’altra parte, «laos» era in origine il popolo di Dio; evidentemente stiamo riportando a nudo le radici.
In realtà queste radici hanno alimentato lo sviluppo degli Stati nazionali. Perché lo Stato nasce laico, o altrimenti non sarebbe nato. Nasce quando il potere politico divorzia da quello religioso, attraverso un processo storico che ha origine nella Lotta delle Investiture (1057-1122), trova la sua prima sistemazione teorica nella dottrina dello Stato di Thomas Hobbes, viene poi codificato dalla Costituzione francese del 1791, quando la libertà di fede sancisce la definitiva emancipazione dello Stato rispetto alla cura degli affari religiosi. Come diceva Locke, la salvezza delle anime non ricade fra i compiti dello Stato. Sicché la laicità si risolve in un’indicazione puramente negativa, che vieta alla legge di farsi contaminare da valori religiosi. Evoca il «muro» fra Stato e chiese di cui parlava Jefferson, e ripete in qualche modo il verso di Montale: «codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».
Questa idea si specchia nell’articolo 7 della Costituzione italiana, che dichiara l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa. Al contempo, esso riconosce la sovranità della Chiesa cattolica, e perciò la riconosce come Stato. Uno Stato enclave, ma pur sempre uno Stato, che intrattiene relazioni diplomatiche con 176 Paesi. Insomma il cattolicesimo è l’unica confessione religiosa il cui organo di governo è posto al vertice d’uno Stato sovrano. Ma dal fatto che la Santa Sede sia uno Stato derivano vincoli e divieti. A una garanzia in più (e quale garanzia!) fa da contrappeso un limite in più. Quindi se un monaco buddista o un rabbino ebreo possono ben intervenire sulle vicende legislative della Repubblica italiana, non può farlo il Vaticano. Qui, difatti, non viene in campo la libertà di religione. Non viene in campo una questione di diritto costituzionale, bensì una questione di diritto internazionale. Quando non i parroci, ma il governo stesso della Chiesa attraverso la Cei invita per esempio a disertare un referendum, è come se a pronunziare quell’invito fosse il presidente francese Sarkozy. E la reazione dovrebbe essere affidata ai nostri rappresentanti diplomatici, se vogliamo prendere sul serio l’articolo 7.
D’altronde, che accadrebbe se il premier italiano si scagliasse contro i principi che governano il diritto della Chiesa? Gli argomenti, diciamo così, non mancherebbero. Il diritto canonico non conosce la separazione dei poteri, dato che il Pontefice è al vertice del potere legislativo, esecutivo, giudiziario: una concentrazione che a suo tempo Cavour aveva definito come «il più schifoso despotismo». Non conosce il suffragio universale per la preposizione alle cariche ecclesiastiche. Non conosce la certezza del diritto, sepolta da un sistema di dispense e privilegi. Non conosce la libertà di culto, giacché qualunque offesa alla religione cattolica riveste la natura di reato. Non conosce la regola della maggiore età, dal momento che le leggi ecclesiastiche obbligano tutti i battezzati che abbiano compiuto 7 anni. Non conosce il principio d’eguaglianza fra i sessi, negando il sacerdozio femminile. Ma neppure lo riconosce all’interno del sesso maschile, dato che laici e chierici hanno una differente capacità giuridica, dato che i diritti politici restano in appannaggio ai sacerdoti, e dato infine che questi ultimi sono una casta con proprie norme, sanzioni, tribunali.
In breve, la Chiesa è retta da un ordinamento dove il potere politico coincide con quello religioso, e dove vengono smentite le più elementari regole dello Stato di diritto. Eppure da quel pulpito piovono scomuniche e indirizzi per condizionare la vita pubblica italiana. Basterà rievocare un episodio: il 16 marzo scorso Benedetto XVI ha esortato all’obiezione di coscienza in difesa della vita non solo farmacisti e medici, ma anche i giudici italiani. Sennonché i giudici - afferma la Costituzione - «sono soggetti soltanto alla legge»; l’unica obiezione di coscienza che viene loro consentita è impugnare la legge per incostituzionalità. Se potessero rifiutarsi di rendere giustizia appellandosi ai propri umori e amori personali, verrebbe scardinato non tanto lo Stato di diritto, bensì lo Stato in sé e per sé, l’ordine civile.
Tuttavia le nostre istituzioni hanno risposto, ancora una volta, col silenzio. Un silenzio complice, non soltanto perché la degenerazione d’un regime democratico in regime clericale (diceva Salvemini) avviene gradualmente, e te ne accorgi quando si è già consumata; non soltanto perché altrove i governi reagiscono con una protesta diplomatica, come ha fatto Zapatero nel 2005, dopo la scomunica ecclesiastica dei matrimoni gay; ma infine perché tale atteggiamento implica una cessione di sovranità. Peraltro in molti casi gli interventi della Santa Sede vengono sollecitati proprio da chi ci rappresenta: è accaduto in agosto, quando Prodi ha chiesto l’aiuto della Chiesa per far pagare le tasse ai cittadini, ottenendo una dichiarazione del segretario di Stato vaticano. Appelli come questo rivelano tutta la debolezza della classe politica italiana, ma il loro effetto è legittimare le istituzioni di uno Stato straniero all’esercizio d’un anomalo ruolo di supplenza sulle nostre istituzioni. Che perciò si spogliano della propria laicità, e insieme della propria sovranità.