SE SI VOLEVA “COMPLICARE” UN CASO, CHE A QUANTO PARE, È GIA STATO RISOLTO DA PIÙ DI MEZZO SECOLO, CI SI È RIUSCITI SENZ’ALTRO. LA NOSTRA COSTITUZIONE LO PREVEDE AGLI ARTICOLI 13 E 32 IN MODO INEQUIVOCABILE, (VEDERE SOTTO). VERAMENTE NON SI RIESCE A CAPIRE PERCHÉ NON LO SI VOGLIA RICONOSCERE.
SI È AFFERMATO DA PIÙ PARTI ANCHE DALLA CHIESA “NO ALLA EUTANASIA” E “NO ALL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO”. GIUSTO, MA POI LA QUESTIONE NASCE NEL MOMENTO IN CUI SI CERCA DI STABILIRE IL “CONFINE” FRA LORO.
QUI SI È APERTA UNA BATTAGLIA “IDEOLOGICA” AL CUI CENTRO PERÒ NON C’È PIÙ IL CITTADINO-MALATO CON LA SUA VOLONTÀ E SOFFERENZA.
NO, C’È L’IDEA O MEGLIO LA “CONVINZIONE” DI ALCUNI CHE SEMBRA “PREVALERE” SUGLI ALTRI E CHE PER QUESTO LO SI VUOLE “IMPORRE” A TUTTI ANCHE A COSTO DI NON RICONOSCERE QUELLA PARTE DELLA COSTITUZIONE E DI CONSEGUENZA NEMMENO LA VOLONTÀ E LA SOFFERENZA INDICIBILE (E NON SOLO FISICA) DEL CITTADINO-MALATO WELBY.
RISULTA EVIDENTE A TUTTI ORMAI CHE WELBY È MANTENUTO IN VITA ARTIFICIALMENTE DA PIÙ DI DIECI ANNI DA UNA MACCHINA SENZA ALCUNA SPERANZA DI GUARIGIONE E DA TUTTI CONFERMATO.
EGLI HA ESPRESSO IN PIÙ MODI LA VOLONTÀ DI NON ESSERE PIÙ “CURATO” DA 88 GIORNI ORMAI E DI ESSERE “ACCOMPAGNATO” VERSO LA SUA “MORTE NATURALE” (CHE AVVERREBBE CERTAMENTE SE NON FOSSE PIÙ SOSTENUTO DA UNA MACCHINA) OVVIAMENTE SENZA SOFFERENZA, QUINDI CON SEDAZIONE. EPPURE ANCORA NON SI PUÒ FARE SENZA ESSERE INCOLPATO DI “OMICIDIO” O DI “EUTANASIA” PUNITO CON ALMENO 15 ANNI DI CARCERE.
MA L’EUTANASIA È QUANDO SI INTERVIENE “ATTIVAMENTE” SUL MALATO TERMINALE (CHE È PERFETTAMENTE IN GRADO DI VIVERE AUTONOMAMENTE SENZA MACCHINE) PER CAUSARNE O ACCELERARNE LA MORTE.
MA CIÒ È DIVERSO DALL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO DI CUI SI PARLA. È COSÌ DIFFICILE CAPIRLO?
Raffaele B.
CORRIERE DELLA SERA
Welby, i pm impugnano l'ordinanza
20 dicembre 2006
«Ha il diritto di non curarsi». Ma secondo la bozza di parere del Consiglio superiore di Sanità non è «accanimento terapeutico»
ROMA - La Costituzione riconosce la libertà del paziente di rifiutare le cure e quindi il medico ha la facoltà, ma non il diritto, di curare. Lo sostiene la procura di Roma impugnando l'ordinanza che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Piergiorgio Welby per chiedere l'interruzione delle cure. Di avviso contrario il Consiglio Superiore di Sanità: secondo una prima bozza del parere sul caso, le cure applicate all'uomo non sarebbero accanimento terapeutico. Il ministro Livia Turco vuole nel frattempo andare a trovare Welby «per capire se le cure che riceve sono adeguate».
SI È AFFERMATO DA PIÙ PARTI ANCHE DALLA CHIESA “NO ALLA EUTANASIA” E “NO ALL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO”. GIUSTO, MA POI LA QUESTIONE NASCE NEL MOMENTO IN CUI SI CERCA DI STABILIRE IL “CONFINE” FRA LORO.
QUI SI È APERTA UNA BATTAGLIA “IDEOLOGICA” AL CUI CENTRO PERÒ NON C’È PIÙ IL CITTADINO-MALATO CON LA SUA VOLONTÀ E SOFFERENZA.
NO, C’È L’IDEA O MEGLIO LA “CONVINZIONE” DI ALCUNI CHE SEMBRA “PREVALERE” SUGLI ALTRI E CHE PER QUESTO LO SI VUOLE “IMPORRE” A TUTTI ANCHE A COSTO DI NON RICONOSCERE QUELLA PARTE DELLA COSTITUZIONE E DI CONSEGUENZA NEMMENO LA VOLONTÀ E LA SOFFERENZA INDICIBILE (E NON SOLO FISICA) DEL CITTADINO-MALATO WELBY.
RISULTA EVIDENTE A TUTTI ORMAI CHE WELBY È MANTENUTO IN VITA ARTIFICIALMENTE DA PIÙ DI DIECI ANNI DA UNA MACCHINA SENZA ALCUNA SPERANZA DI GUARIGIONE E DA TUTTI CONFERMATO.
EGLI HA ESPRESSO IN PIÙ MODI LA VOLONTÀ DI NON ESSERE PIÙ “CURATO” DA 88 GIORNI ORMAI E DI ESSERE “ACCOMPAGNATO” VERSO LA SUA “MORTE NATURALE” (CHE AVVERREBBE CERTAMENTE SE NON FOSSE PIÙ SOSTENUTO DA UNA MACCHINA) OVVIAMENTE SENZA SOFFERENZA, QUINDI CON SEDAZIONE. EPPURE ANCORA NON SI PUÒ FARE SENZA ESSERE INCOLPATO DI “OMICIDIO” O DI “EUTANASIA” PUNITO CON ALMENO 15 ANNI DI CARCERE.
MA L’EUTANASIA È QUANDO SI INTERVIENE “ATTIVAMENTE” SUL MALATO TERMINALE (CHE È PERFETTAMENTE IN GRADO DI VIVERE AUTONOMAMENTE SENZA MACCHINE) PER CAUSARNE O ACCELERARNE LA MORTE.
MA CIÒ È DIVERSO DALL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO DI CUI SI PARLA. È COSÌ DIFFICILE CAPIRLO?
Raffaele B.
CORRIERE DELLA SERA
Welby, i pm impugnano l'ordinanza
20 dicembre 2006
«Ha il diritto di non curarsi». Ma secondo la bozza di parere del Consiglio superiore di Sanità non è «accanimento terapeutico»
ROMA - La Costituzione riconosce la libertà del paziente di rifiutare le cure e quindi il medico ha la facoltà, ma non il diritto, di curare. Lo sostiene la procura di Roma impugnando l'ordinanza che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Piergiorgio Welby per chiedere l'interruzione delle cure. Di avviso contrario il Consiglio Superiore di Sanità: secondo una prima bozza del parere sul caso, le cure applicate all'uomo non sarebbero accanimento terapeutico. Il ministro Livia Turco vuole nel frattempo andare a trovare Welby «per capire se le cure che riceve sono adeguate».
RECLAMO PROCURA - Nel reclamo la procura chiede che il tribunale civile affermi l'esistenza del diritto del malato ad interrompere il trattamento terapeutico non voluto. I pm parlano di «palese contraddizione» nell'ordinanza del giudice del tribunale civile di Roma, Angela Salvio. Gli articoli 32 e 13 della Costituzione, sottolineano, indicano «l'esistenza di un vero e proprio 'diritto a non curarsi', ossia di un'assoluta libertà del paziente di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia faccia il suo corso. Il medico, dunque, ha la potestà o la facoltà di curare e non il diritto di curare». Non si tratta, aggiungono, «di agevolare un 'diritto a morire', bensì di una scelta cosciente tesa ad evitare ulteriori ed inutili sofferenze al paziente irrimediabilmente malato». Ad esaminare il reclamo sarà ancora il tribunale civile, ma non più in sede monocratica, come avvenuto per il procedimento definito dal giudice Salvio, bensì in composizione collegiale…CONTINUA
QUIRINALE
LA COSTITUZIONE ITALIANA
DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
TITOLO I
RAPPORTI CIVILI
Art. 13.
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
QUIRINALE
LA COSTITUZIONE ITALIANA
DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
TITOLO I
RAPPORTI CIVILI
Art. 13.
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
Art. 32.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
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