lunedì, aprile 02, 2007

IL CONGRESSO DS E LA MINORANZA

ALL'INDOMANI DEL CONGRESSO DS SULLE TRE MOZIONI CHE HA SANCITO LA VITTORIA DEL "PARTITO DEMOCRATICO" LEGGIAMO CHE LA MINORANZA "CONTRARIA" DI MUSSI NON HA NESSUNA INTENZIONE DI FARNE PARTE E PAVENTA LA CREAZIONE DI UNA NUOVA FORMAZIONE DI SINISTRA.

IL CONGRESSO È STATO RICHIESTO PROPRIO DALLA MINORANZA INSIEME AL VOTO SEGRETO. AD ESSO HANNO PARTECIPATO 250.000 ISCRITTI, 50.000 IN PIÙ DEL CONGRESSO PRECEDENTE CON UN'AMPIEZZA FORMIDABILE, HANNO DISCUSSO LE MOZIONI ED HANNO DECISO IN MODO DEMOCRATICO CON IL VOTO SEGRETO.

IL COMPORTAMENTO DELLA MINORANZA CHE COSÌ DIMOSTRA DI NON RICONOSCERE LA DECISIONE DEL CONGRESSO RISULTA INCOMPRENSIBILE E PONE ALCUNI INTERROGATIVI:

1. PERCHÈ CHIEDERE IL CONGRESSO E POI NON RICONOSCERSI NELLA SUA DECISIONE?
2. PERCHÈ DIRE CHE ...NON SI SA CHE COSA È IL PD
3. PERCHÈ DIRE CHE ...SCOMPARE LA SINISTRA
4. PERCHÉ DIRE CHE ...VIENE A MANCARE L'AGGANCIO AL SOCIALISMO EUROPEO
5. PERCHÈ DIRE CHE ...VA BENE LA MINORANZA DENTRO DS MA NON NEL PD

AL PUNTO 1. È INCOMPRENSIBILE A MENO CHE SI RIFIUTI LA DEMOCRAZIA DI PARTITO OPPURE CHE SE NE AVESSE GIÀ L'INTENZIONE DI SEPARARSI E CHE SI SIA VOLUTO PER QUESTO IL CONGRESSO, PER MISURARE LA PROPRIA FORZA PER UN USO DIVERSO. AMBEDUE I CASI SI QUALIFICANO "POCO NOBILI".

AL PUNTO 2. TUTTI SANNO CHE COSA È IL PD, ESSO È L'ULIVO CHE DIVENTA UN SOLO PARTITO DOPO 15 ANNI DI ESPERIENZA POLITICA ASSIEME, LE NUOVE GENERAZIONI CONOSCONO DI PIÙ PROPRIO L'ULIVO. QUESTO MUSSI "NON POTEVA NON SAPERLO" MA FA FINTA DI IGNORARLO PER "DRAMMATIZZARE".

AL PUNTO 3. TUTTI SANNO CHE LA SINISTRA NON SCOMPARE AFFATTO PERCHÈ ESSA È NEL CARATTERE DELLO STESSO ULIVO CHE GOVERNA E FA POLITICA NEL CAMPO DELLA SINISTRA CHE COMPRENDE PARTE DEL CENTRO FINO ALLA SINISTRA RADICALE. ESSO È RISULTATA SEMPRE VINCENTE CONTRO IL CENTRODESTRA DI BERLUSCONI, OGNI VOLTA CHE SI PRESENTA UNITO. SOTTO QUESTO PUNTO DI VISTA L'ULIVO RAPPRESENTA LA SINISTRA PERCHÈ SENZA DI ESSO, LA SINISTRA PERDE! POI QUESTA DECISIONE È STATA VOTATA DALLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI ISCRITTI NON MENO DI SINISTRA DEGLI ALTRI E COSTORO CONFLUIRANNO NELLA NUOVA FORMAZIONE CON QUESTI CARATTERI POLITICI. PURE QUESTO MUSSI NON PUÒ NON SAPERLO, EPPURE "DRAMMATIZZA" ANCHE QUI.

AL PUNTO 4. LO STESSO SOCIALISMO EUROPEO SI TROVA IN FASE DI CAMBIAMENTO PER RISPONDERE PIÙ EFFICACEMENTE ALLE NUOVE SFIDE DELLA GLOBALIZZAZIONE. PER QUESTO I PARTITI SOCIALISTI EUROPEI GUARDERANNO CON PIÙ INTERESSE AL NUOVO PD CHE AD UN IMPROBABILE FORZA DI SINISTRA PRODOTTA DALLA SCISSIONE. ANCHE QUESTO NON PUÒ NON ESSERE NOTO A MUSSI CHE PERÒ CONTINUA A "DRAMMATIZZARE".

AL PUNTO 5. PERCHÈ NON FARE LA MINORANZA IN PD? L'UNICA DIFFERENZA È CHE ESSENDO IL PARTITO PIÙ GRANDE SI "CONTA" DI MENO PROPORZIONALMENTE (MENO POLTRONE) E QUINDI NON "CONVIENE" ALLA MINORANZA PER PURO INTERESSE DI BOTTEGA, MA NEMMENO QUESTO È NOBILE.

LA SCISSIONE PER CREARE UNA NUOVA FORMAZIONE, NELLA GIÀ VARIEGATA GALASSIA DI SINISTRA DOVE SI TROVANO UN CERTO NUMERO DI SOGGETTI TUTTI "ORGOGLIOSI" DELLA LORO “IDENTITÀ” E PER NIENTE INCLINI A UNIRSI IN UN UNICO SOGGETTO SIGNIFICATIVO, SI DIMOSTRERÀ UNA INUTILE FATICA ANCHE PERCHÈ ALLA FINE DOVRÀ COMUNQUE "SCENDERE A PATTI" CON IL PD PER IL GOVERNO DEL PAESE.
Raffaele B.

L’UNITÀ
D’Alema: no alle scissioni preventive
Umberto De Giovannangeli

La sfida per la pacificazione dell'Afghanistan. La scommessa del Partito Democratico. In questa intervista esclusiva a l'Unità, Massimo D'Alema si muove a tutto campo, da ministro degli Esteri a presidente dei Ds. A Silvio Berlusconi dice: "A essere variabile è lui, non certo la maggioranza". E al leader della sinistra Ds, Fabio Mussi, dice: "Quella che si sta delineando è una scissione senza pathos".

Anche dopo l'approvazione definitiva del decreto legge sul rifinanziamento delle missioni all'estero, l'Afghanistan resta al centro dell'attenzione. Giovedì scorso c'è stato un nuovo attacco, il terzo, contro una pattuglia italiana a Herat. Al di là delle polemiche interne, non pensa che l'inasprimento delle azioni armate dei Talebani, imponga un ripensamento della missione in Afghanistan?

Certamente noi siamo preoccupati per il moltiplicarsi di episodi di violenza, di guerriglia, di terrorismo in Afghanistan. In verità, questo non e' purtroppo un fatto nuovo. È del tutto strumentale da parte della destra affermare che siamo di fronte a un cambiamento di situazione sul campo. È drammatico doversi riferire ad una tragica contabilità, ma non possiamo dimenticare che nel corso della missione sette valorosi militari italiani hanno perso la vita ed un numero elevato di essi sono rimasti spesso seriamente feriti in attacchi contro il contingente italiano. Ciononostante, mai da parte di chi era allora al Governo si e' ritenuto di dover fornire non so quali equipaggiamenti speciali e men che meno di dover cambiare la natura della missione. Questo tema del mutamento delle sfide su terreno, piu' o meno repentino e addirittura riferito all'arco di pochi giorni, è stato enormemente enfatizzato per fini poco nobili. Tutti sappiamo che il vero cambiamento non riguarda la situazione in Afghanistan, ma piu' banalmente il diverso scenario dei numeri tra la Camera e il Senato. Si e' cercato di colpire il Governo al Senato dove la maggioranza è piu' ristretta, speculando cinicamente sulla situazione bellica dell'Afghanistan. Ciò posto, non si può negare che l'accresciuta iniziativa da parte dei Talebani, anche se non parlerei di un'offensiva generalizzata, incrementa i pericoli per le nostre forze armate. Noi ci siamo fatti carico di questa situazione e ci regoleremo prontamente anche sulla base delle richieste che in questi giorni farà lo stato maggiore, fornendo alle forze armate italiane i mezzi necessari per una loro piu' adeguata protezione. Al di là di questo aspetto, è tuttavia evidente che il deteriorarsi delle condizioni dell'Afghanistan, non solo nel campo della sicurezza, induce ad una piu' approfondita riflessione sulle prospettive della missione internazionale alla quale l'Italia partecipa e di cui l'aspetto militare rappresenta solo un elemento, pur importante. Mi pare che emerga l'esigenza di un forte rilancio dell'impegno a tutto campo della comunità internazionale. Sul piano militare, certamente è in corso un rafforzamento, perché arrivano nuovi contingenti; anche nella zona Ovest, di cui noi abbiamo la responsabilità, con un impegno in mezzi e uomini tra i piu' rilevanti, arriveranno rinforzi forniti da altri Paesi. La questione però non è soltanto quella di rafforzare il presidio militare. Si pone il problema di un rilancio politico, tema che noi abbiamo proposto già nella discussione in sede di Consiglio di Sicurezza del 20 marzo scorso. L'esigenza di questo cambio di passo ha trovato una prima risposta nella nuova risoluzione (n.1746) per il rinnovo della missione civile (UNAMA), che contiene diverse indicazioni interessanti. In primo luogo, essa riflette le nostre proposte di un'agenda politica internazionale in grado di impegnare maggiormente, in primo luogo, i Paesi della regione e piu' intensamente tutta la comunità internazionale a garantire il successo della difficile transizione afghana, sia sul piano politico-istituzionale che su quello della ricostruzione economica. Inoltre, la nuova risoluzione ci impegna ad assicurare pieno sostengo allo sforzo di riconciliazione nazionale con quelle forze disponibili ad abbandonare la violenza, il terrorismo e ad integrarsi in un processo democratico; un programma, vorrei ricordare, che e' stato lanciato dal Governo Karzai e che è oggi forse l'iniziativa politicamente piu' rilevante in corso in Afghanistan.

Dentro questa agenda c'è, ai primo posti per l'Italia, la Conferenza internazionale di pace. Per Berlusconi e Fini è una proposta impraticabile, velleitaria, agitata da D'Alema per tenere buona la sinistra radicale. Come intende smentirli?
Per il Dipartimento di Stato quella che abbiamo avanzato è "una proposta costruttiva, che merita di essere approfondita". Ed è ciò che in questo caso conta di piu', certo di piu' delle considerazioni strumentali. Noi abbiamo proposto in modo preciso un'iniziativa che riteniamo possa essere posta nell'agenda politica internazionale non nell'immediato, ma come un momento culminante di una serie di passaggi...

Quali?
Ne cito tre che hanno un particolare rilievo. La prima tappa sarà il vertice di fine maggio del G8 con l'Afghanistan e il Pakistan. La seconda - e si tratta di un'iniziativa italiana gia' in fase di realizzazione - la Conferenza sulla giustizia e sullo stato diritto, che promuoviamo in Italia con il governo afghano e con le Nazioni Unite: si tratta di un aspetto fondamentale nel processo di costituzione di uno Stato democratico. A seguire, la Conferenza di Islamabad sui temi dello sviluppo economico dell'intera Regione circostante l'Afghanistan. Dopo questi appuntamenti di grande rilevanza, siamo convinti che si potrebbe arrivare a una vera e propria Conferenza internazionale per la pace, che potrebbe rappresentare il momento culminante dell'agenda politica per l'Afghanistan nel corso del 2007.

L'Italia è impegnata attivamente per la liberazione di Adjmal Nashkbandi, l'interprete afghano rapito con Daniele Mastrogiacomo il 5 marzo. Se Kabul non tratta, e libera altri due Talebani, "uccideremo Adjmal", ha minacciato il mullah Dadullah.
Innanzitutto bisogna precisare che questa situazione interpella drammaticamente il governo afghano, così come e' avvenuto per le difficili scelte delle settimane scorse. Noi non avremmo certo potuto decidere in Italia quanto è stato fatto, perche' non era nelle nostre disponibilità. Per quanto ci riguarda, possiamo incoraggiare, sostenere, ma non spetta noi prendere decisioni che competono ad uno stato sovrano. Certamente ci siamo attivati, e lo stesso stiamo facendo ora anche nel chiedere al governo afghano spiegazioni sulle motivazioni dell'arresto del responsabile della vigilanza di Emergency, Rahmatullah Hanefi. Il nostro Ambasciatore a Kabul ha chiesto al governo afghano di poter visitare Ramatullah, perché, pur trattandosi di un cittadino afghano, e' indubbio che si tratta di una persona fortemente impegnata in un'iniziativa di solidarietà gestita da un'organizzazione umanitaria italiana. Allo stesso modo, abbiamo incoraggiato e salutato con favore la decisione della direzione di Repubblica di lanciare una sottoscrizione a favore della famiglia dell'autista di Mastrogiacomo barbaramente assassinato dai Talebani. Noi ci sentiamo pienamente coinvolti in questa tragica, dolorosa vicenda, nella quale vogliamo fare fino in fondo tutto ciò che è nelle nostre concrete possibilità, così come h anche sottolineato il presidente del Consiglio.

Il dibattito, e il voto, al Senato sul rifinanziamento delle missioni all'estero hanno fatto emergere "due opposizioni" e riproposto il tema della "maggioranza variabile". C'è chi la teme, chi la auspica. Per Massimo D'Alema?
Personalmente ho sempre votato per le missioni internazionali del nostro Paese, salvo l'eccezione motivata dell'Iraq, anche quando ero all'opposizione, e non mi sono mai sentito parte di una "maggioranza variabile". Io sono fermamente convinto che quello del sostegno alle missioni militari e civili dell'Italia nel mondo non sia un tema esclusivamente della maggioranza di governo. In un Paese civile è tema dell'intero arco delle forze politiche nazionali. L'anomalia semmai è il fatto che Berlusconi si è sottratto a questo dovere nazionale, per estremismo, per strumentalismo, per ragioni politicamente poco commendevoli. Dopo aver votato a favore alla Camera, si è astenuto al Senato, ma per il regolamento di Palazzo Madama cio' equivale ad un voto contrario. E' Berlusconi che è variabile, non la maggioranza; è variabile nel senso che è incostante, legato com'è ad obiettivi di natura tattica e non invece ad una coerenza di condotta politica per l'interesse nazionale. Naturalmente il problema, che è reale, è legato a due fattori. In primo luogo, al fatto che al Senato esiste una maggioranza molto ristretta anche a causa di una legge elettorale sgangherata e sciagurata, concepita apposta per rendere difficile la governabilità del Paese. In secondo luogo, perché alcuni dissidenti o obiettori, vengono meno a quello che definirei il dovere repubblicano di sostenere il Governo. Ciò naturalmente facendo salve le ragioni del dissenso, che rispetto. In Germania, dove la Spd ha governato con un solo voto di maggioranza per una intera legislatura, quando vi sono stati casi di obiezione di coscienza, chi dissentiva lo faceva pubblicamente, adducendole sue motivazioni, ma poi per disciplina sosteneva il Governo. Qui non c'entra il tema, che sento totalmente estraneo, delle maggioranze variabili. Detto questo, ritengo che l'Udc si sia comportata come un'opposizione democratica, responsabile, non diversamente da come si comportano le forze all'opposizione, di destra o di sinistra, in tutti i Paesi europei. Ma ciò che in Europa sarebbe semplicemente normale, nel contesto italiano merita un particolare encomio.

Un altro fronte caldissimo, che è stato al centro anche del vertice informale dei ministri degli Esteri della Ue qui a Brema, è quello mediorientale. Chiusura o dialogo con il nuovo governo di unità nazionale palestinese?
Ritengo che il governo di unità nazionale palestinese rappresenti indubbiamente un passo in avanti; tanto è vero che la sua formazione ha contribuito a sbloccare la situazione. Ciò per diverse ragioni. In primo luogo, ha determinato una frattura fra Hamas, o una parte di Hamas, e il fondamentalismo violento, terrorista. In secondo luogo, ha rafforzato la posizione del presidente Abu Mazen. Qui direi che avevamo ragione noi, Unione Europea, quando abbiamo incoraggiato questa soluzione, e lo abbiamo fatto - l'Italia e' stata tra i Paesi piu' attivi - anche attraverso il dialogo diretto con Abu Mazen, e anche di fronte a incertezze che vi erano nella leadership di Al-Fatah. Siamo pienamente consapevoli che nella sua piattaforma il governo di unità nazionale palestinese ha raccolto solo in parte le richieste che la comunità internazionale aveva avanzato, in particolare per quanto riguarda l'esplicito riconoscimento di Israele. Dobbiamo perciò continuare ad insistere con determinazione perché si arrivi al piu' presto ad una piena adesione ai principi che sono stati esposti dal Quartetto. Nel frattempo dobbiamo assumere nei confronti del Governo di unità nazionale un atteggiamento che dovrà tener conto di due elementi. In primo luogo, la necessità di adottare un approccio flessibile nei confronti della compagine di Governo e dei suoi singoli componenti. E' evidente che la comunità internazionale avrà rapporti con tutti quei ministri del governo palestinese che riconoscono Israele. Io stesso nei prossimi giorni riceverò Mustafa Barghuti (ministro dell'Informazione, ndr.), una personalità indipendente, che fa parte del governo, un uomo da sempre impegnato per il dialogo. E così si stanno comportando quasi tutti i Paesi europei. Anche gli Stati Uniti sembrano orientati su questa linea di pragmatismo. In secondo luogo, dobbiamo chiedere al Governo palestinese di agire con coerenza sul piano dei fatti. In particolare, dobbiamo esigere un fattivo impegno per fermare il lancio dei razzi Qassam da Gaza contro il territorio israeliano, e arrivare finalmente alla liberazione del caporale Shalit, che potrebbe rappresentare un segnale molto significativo di distensione e che potrebbe portare ad analoghi gesti generosi anche da parte israeliana, in particolare per quanto riguarda la liberazione necessaria dei parlamentari palestinesi detenuti in Israele.

E per quanto riguarda Israele?
Dobbiamo incoraggiare Israele a porre fine alle operazioni militari, che sono certamente divenute sporadiche, ma che tuttavia non si sono arrestate, nei territori palestinesi; ad estendere la tregua da Gaza alla Cisgiordania; e soprattutto ad accelerare il negoziato, il dialogo diretto, tra Abu Mazen e Olmert, che rappresenta in questo momento il fattore piu' importante di speranza. E la nostra speranza è che al piu' presto si passi da una discussione su temi importanti ma piu' immediati, come la sicurezza, e le misure volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione palestinese, a una discussione sui nodi aperti per quanto attiene alla definizione dello status finale. Perché è evidente che, anche per non perdere l'opportunità che deriva dal rilancio dell'iniziativa di pace araba, occorre accelerare il negoziato per definire i caratteri concreti di quella soluzione dei due Stati che ormai tutta la comunità internazionale individua come l'approdo, come la soluzione. Bisogna avere il coraggio di avviare una politica non di "gestione della crisi" ma di "soluzione della crisi". Altrimenti il tema dei due Stati rimane sospeso nell'alveo delle dichiarazioni di principio e non prende la concretezza necessaria per porre fine a questo troppo lungo e doloroso conflitto. Non bisogna perdere questa occasione: bisogna evitare che ancora una volta si avveri l'amara profezia di Abba Eban: "Il Medio Oriente, purtroppo, non si è mai perduta l'occasione per perdere l'occasione.

Dal ministro degli Esteri al presidente dei Ds. I Democratici di sinistra vanno ad un Congresso cruciale, per alcuni aspetti, drammatico. C'è davvero il rischio di una scissione?
Continuo a sperare che non accada e cercherò fino all'ultimo di evitarlo. Un partito è prima di tutto una comunità di donne e uomini che decidono di stare insieme perché condividono un'idea del Paese e un progetto di cambiamento. Davvero pensiamo che la nostra idea di cosa serve oggi all'Italia diverga a tal punto da doverci separare? Io non credo sia così. La scelta di separarsi apparirebbe come una sorta di scissione fredda, figlia più di una preconcetta volontà che non di una effettiva spinta. Noi abbiamo avuto un percorso congressuale ricco, che ha avuto un carattere democratico molto ampio. Vi hanno partecipato 250mila persone, 50mila persone in piu' dell'ultimo congresso. Si è chiesto un congresso democratico, soprattutto da parte della minoranza; si è chiesto il voto segreto, e il progetto del Partito democratico ha ricevuto il consenso, con il voto segreto, quindi senza neppure il sospetto di un condizionamento dall'alto, di oltre 200mila iscritti, che è un numero altissimo. Io penso che chi ha chiesto una discussione democratica di questa ampiezza, alla fine non potrà non tenere conto della volontà espressa con tale ampiezza, partecipazione e democraticità. Non si tratta di un progetto calato dall'alto, si tratta a questo punto della volontà di una larghissima maggioranza degli iscritti al nostro partito, che si sono pronunciati nel dibattito e nel voto nel modo piu' ampiamente democratico, e ritengo che tutto ciò meriti rispetto. Se invece l'idea era quella di andarsene comunque, non so perché si sia chiesto di discutere, di votare, e di votare col voto segreto. Insomma, sembrerebbe una linea di condotta non coerente che farebbe pensare si sia voluto il congresso non per discutere e per decidere insieme, ma soltanto per farne l'occasione per raccogliere delle forze per un'altra prospettiva. Io ho partecipato al congresso della mia sezione, innanzitutto. Ho discusso, ho ascoltato le motivazioni dei compagni che erano contrari: non c'è il clima della scissione. Non c'è. In quanti hanno obiettato sui caratteri, i contenuti, di questo nuovo partito, la scissione appare una "misura preventiva": siccome io ritengo che in questo partito non si ritroveranno i valori della sinistra, me ne vado. In tutto questo manca l'onere della prova. Non solo....

Cos'altro?
La scissione apparirebbe come un tentativo di fare una profezia che si autoavvera. E' chiaro che piu' si riduce la presenza di militanti della sinistra, piu' c'è il rischio che si riduca il peso dei valori della sinistra nel Partito democratico. Sarebbe una scissione senza pathos. Noi abbiamo vissuto il dramma dell'89: sinceramente siamo di fronte a qualcosa di cui non si riescono a capire le ragioni e non si riescono a cogliere neanche i sentimenti, se non il sentimento di distacco e di scetticismo. Ho sentito il mio amico Fabio Mussi pronunciare frasi molto enfatiche, che però non mi convincono nel merito. Vorrei discutere alcune delle sue affermazioni. Innanzitutto si dice: "Non si sa che cos'è il Partito Democratico". Il Pd è il punto d'arrivo dell'esperienza dell'Ulivo, cioè della piu' importante esperienza politica innovativa che ha segnato la storia italiana dell'ultimo quindicennio. In realtà c'è tutta una nuova generazione che non sa quali siano i partiti di cui parliamo io e Mussi, perché non li ha conosciuti, mentre sa benissimo che cosa è l'Ulivo. Si sa benissimo che cos'è il Partito democratico: è il compimento dell'esperienza politica e culturale che ha preso forma nell'Ulivo. Seconda affermazione enfatica, ma d'incerto fondamento: "Scompare la sinistra". Una frase drammatica che dà la sensazione che qui siamo di fronte ad un gioco di prestigio: puff, e la sinistra scompare... Non è così perché per la stragrande maggioranza degli italiani la forma moderna che ha assunto la sinistra in Italia, è esattamente l'Ulivo. E la novità vera è che la sinistra moderna che si è delineata in questa nuova stagione, l'Ulivo per l'appunto, si accinge ad assumere forma di partito. L'errore semmai lo compiono quelle componenti che hanno fatto parte dell'esperienza dell'Ulivo ma che in questo momento si sottraggono a questo impegno. C'è poi una terza affermazione enfatica...

Quale sarebbe?
Non può mancare in Italia una grande forza del socialismo europeo. A parte il fatto che è per circa cinquant'anni di storia repubblicana la più grande forza della sinistra non era una forza socialista, nel senso che il maggiore partito della sinistra si chiamava Partito comunista; vorrei anche dire che la scissione non produrrebbe una grande forza del socialismo europeo, semplicemente determinerebbe la presenza di un nuovo movimento di un'assai frammentata sinistra nella quale non mi pare proprio che ci sia l'idea di dare vita ad un partito socialista europeo. Il leader della principale forza di questa frammentata sinistra radicale, che è Fausto Bertinotti, alla domanda se voglia fare un partito socialista, ha risposto, del tutto legittimamente, io sono comunista... Noi abbiamo tentato di fare prima del Pds, poi dei Ds, una grande forza del socialismo europeo. E abbiamo dato vita ad una importante forza del socialismo europeo. Tuttavia ci siamo anche resi conto che i Ds non sono sufficienti ad imperniare su di sé il bipolarismo italiano, a differenza di quello che accade generalmente negli altri Paesi. Proprio per risolvere questo problema vogliamo fare il Pd, una forza che rappresenti in Italia quello che i grandi partiti socialisti rappresentano nel resto d'Europa, un grande partito di governo, riformatore, che possa aspirare a dare al Paese un asse di governo stabile, robusto. E a contribuire ad uscire dalla frammentazione di un sistema politico che genera un bipolarismo tanto rissoso quanto in difficoltà ad esprimere governi stabili e coerenti del Paese. E d'altra parte non è forse una scelta figlia della nostra storia di questi anni? Il partito dei Ds, è bene ricordarlo, è nato proprio con questi obiettivi. Ma progressivamente ci siamo resi conto che l'unica possibilità di riuscirci è di costruire questo partito insieme ai cattolici riformisti a partire dall'esperienza dell'Ulivo..

Ma le minoranze lamentano poca chiarezza sul rapporto col Pse. Il Pd vi aderirà o no?
Voglio dirlo ancora una volta con assoluta chiarezza: il Pd non sarà una terza forza tra socialisti europei e conservatori. Noi vogliamo, con il Pse ma anche con altre forze, dare vita a una nuova e più grande sinistra europea; il Pd italiano contribuirà ad un allargamento e ad un rafforzamento del campo riformista, e non lo si può certo fare senza il Pse. D'altro canto, i leader socialisti europei guardano al Partito democratico in Italia come a un loro interlocutore e non certo all'improbabile partito socialista che dovrebbe nascere da questa scissione. Trovo davvero molto piu' appassionante l'idea di partecipare alla costituente del Partito democratico per portare lì le idee, i progetti, i valori della sinistra di ispirazione socialista in Italia, in un confronto aperto con altre correnti culturali, che è esattamente quella prospettiva di incontro fra culture, di rinnovamento nella sinistra per la quale lavoriamo da oltre dieci anni. Voglio fare un ultimo appello alle compagne e ai compagni della minoranza: proviamo ancora una volta a lavorare insieme, a discutere, a confrontarci. Il PD ha bisogno delle idee e della passione di tutti. Non decidete oggi come il nuovo partito sarà domani. Partecipate alla sua costruzione, e forse tra qualche mese vi troverete in un partito che non sarà poi così diverso da come lo volete.

Pubblicato il: 01.04.07
Modificato il: 01.04.07 alle ore 14.07

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