mercoledì, ottobre 26, 2005

IRAQ, ADDIO VERITÀ

L’ARTICOLO IN CALCE È UNA ULTERIORE CONFERMA, (COME SE C’È NE FOSSE ANCORA BISOGNO) CHE IN IRAQ NON VI SONO “REPORTERS INDIPENDENTI” IN GRADO DI RACCONTARE I “FATTI REALI” CHE AVVENGONO IN QUEL PAESE. QUEI POCHI CHE LO FANNO RISCHIANO DOPPIAMENTE LA VITA SIA PER COLPA DEI “RIBELLI” E TERRORISTI CHE LI SCAMBIANO PER GIORNALISTI AL SERVIZIO DELI AMERICANI (EMBEDDED),  CHE DAGLI AMERICANI CHE INVECE SANNO CHI SONO MA NON FANNO MISTERO CHE NON LI VOGLIONO SUL CAMPO SENZA IL LORO PERMESSO E TANTOMENO CHE FACCIANO SERVIZI SENZA LA LORO “CENSURA”.  MOLTI REPORTES INDIPENDENTI SONO STATI UCCISI DAL “FUOCO AMICO”. D’ALTRA PARTE NESSUNO PIÙ LO NEGA QUINDI E’ UFFICIALE: DALL’IRAQ NON GIUNGE PIÙ NESSUNA VERITÀ DA MOLTO TEMPO. L’UNICA “CAMPANA” E’ QUELLA DEGLI AMERICANI.
Raffaele


Il “giornalismo del topo” è l’unico modo in cui possiamo raccontare l’Iraq
di Matthew Lewin
Press Gazette, 13 ottobre 2005
Robert Fisk, il notoriamente intrepido corrispondente dell’Independent dal Medio Oriente, ha rivelato che la situazione in Iraq adesso è così pericolosa che non sa se potrà continuare a fare servizi dal paese.
Fisk, che in precedenza aveva accusato i colleghi di praticare un "giornalismo da hotel" in Iraq, ha detto che un "giornalismo da topo" è ora il meglio che lui riesca a fare nel paese.
Fisk, la cui nuova storia del Medio Oriente, The Great War for Civilisation, è stata appena pubblicata, ha definito giornalismo da topo la pratica di comparire all’improvviso sul luogo dove è accaduto qualcosa e restare giusto il tempo di sapere cosa è successo, prima che arrivino gli uomini armati.
Parlando in una libreria di Golders Green [un quartiere della zona nord di Londra NdT], ha detto: "Non potete immaginare quanto vadano male le cose in Iraq.
"Poche settimane fa, ero andato a trovare un uomo il cui figlio era stato ucciso dagli americani, ed ero a casa sua da cinque minuti quando fuori in strada sono comparsi alcuni uomini armati.
"E’ dovuto andare a ragionare con loro perché non mi portassero via. E questo era un qualunque sobborgo di Baghdad, non il triangolo sunnita o Falluja.
"Siamo arrivati al punto in cui, ad esempio, quando sono andato a dare un’occhiata sul luogo di una enorme bomba, in una stazione di autobus, sono balzato fuori dalla macchina e ho scattato due foto prima di essere circondato da una folla di iracheni inferociti.
"Sono saltato di nuovo in macchina e sono scappato. Io questo lo chiamo “giornalismo del topo” – ed è tutto quello che possiamo fare adesso.
"Se vado a trovare qualcuno in un posto particolare, mi do 12 minuti, perché è quanto secondo i miei calcoli ci vuole a un uomo con un telefono cellulare per chiamare sul posto degli uomini armati con una macchina.
"Quindi, dopo 10 minuti me ne vado. Non essere avidi. Ecco com’è il giornalismo in Iraq."
"Adesso questo paese è un inferno – un disastro.
"Il Ministero della sanità, che è gestito in parte dagli americani, non diffonde alcuna cifra sulle vittime civili; il personale semplicemente non è autorizzato a darci queste cifre.
"Una delle gioie delle potenze occupanti è che i giornalisti non possono muoversi. Quando vado fuori Baghdad in macchina, mi ci vogliono due settimane a pianificarlo, perché le strade sono infestate di ribelli, checkpoint, uomini incappucciati e tagliagole. Ecco com’è.
"E’ quasi impossibile avere accesso a informazioni indipendenti al di fuori di Baghdad o Bassora. La maggior parte dei giornalisti che riescono a spostarsi lo fanno come membri di convogli militari con unità destinate alla loro protezione.
"L’ultima volta che sono andato a Najaf, la strada era disseminata di veicoli americani bruciati, veicoli della polizia distrutti, checkpoint abbandonati e uomini armati. Questo è oggi l’Iraq – è in uno stato di anarchia, e molte zone di Baghdad sono di fatto adesso nelle mani dei ribelli"…

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

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Versione originale in inglese sul PRESSE GAZETTE
 

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